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Cessate d'uccidere i morti

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12/08/2009

Giuseppe Ungaretti, Cessate d'uccidere i morti
Tratto da: Vita d'un uomo. Tutte le poesie, Mondadori 1969, 19a edizione 2005

Guida alla lettura

Solo chi sa fare silenzio dentro e intorno a sé, solo chi sa ascoltare in profondità, può sperare di non soffocare la forza vitale che pulsa nel proprio cuore: è il messaggio profondo che Giuseppe Ungaretti ci offre in questa delicata lirica.
Un insegnamento che ritroviamo, per esempio, nel libro “Il silenzio, via verso la vita”, di Roberto Mancini (Edizioni Qiqajon, 2002): un volume prezioso soprattutto per i giovani, perché le riflessioni che contiene sono davvero in grado di accompagnare con sapienza le grandi scelte che caratterizzano quell’età.
Di ascolto e silenzio ci parla spesso anche la Bibbia: tutta la fede di Israele e dei Cristiani nasce dall’ascolto; e sul valore del silenzio ci ammaestra, ad esempio, uno straordinario passo del primo libro dei Re: «Il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce, ma il Signore non era nel vento. Dopo ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo ancora ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Infine ci fu il mormorio di un vento leggero... lì era il Signore» (cf. 1 Re 19, 11-12).
Oggi, alle donne e agli uomini nel XXI secolo, questa poesia dice essenzialmente due cose. Primo: il “non ascolto” è certamente alla radice di tanti conflitti che insanguinano il mondo, ma anche e soprattutto del nostro modo, spesso aggressivo e irriflesso, di gestire le relazioni con gli altri, con noi stessi, con la natura (pensiamo allo spietato atto d’accusa rappresentato da quell’erba “lieta dove non passa l’uomo”). Una modalità in cui prevale la logica del possesso e del dominio contro quella della condivisione e della responsabilità, in cui troppo spesso ci arrendiamo alla tentazione di realizzarci da soli, senza gli altri, e magari anche contro gli altri.
Secondo: il vero ascolto, al contrario, può far sì che anche la perdita più dolorosa, come la morte di un figlio, se assunta ed elaborata nel profondo del cuore, diventi fonte di vita e di speranza. Un messaggio valido per i credenti, certo, ma validissimo anche per chi non crede, perché – come anche ci insegna la psicologia – l’interiorizzazione delle persone che abbiamo amato, del bene offerto e ricevuto, ed eventualmente del male reciprocamente perdonato, è operazione di crescita esistenziale alla portata di tutti, davvero degna della nostra comune umanità.
Cessate d’uccidere i morti,
non gridate più, non gridate
se li volete ancora udire
se sperate di non perire.

Hanno l’impercettibile sussurro,
non fanno più rumore
del crescere dell’erba,
lieta dove non passa l’uomo.

Biografia

Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888 da genitori di Lucca, emigrati per motivi di lavoro. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morirà due anni dopo la sua nascita. La madre è fornaia e con molti sacrifici riesce a far studiare il figlio in una delle più prestigiose scuole di Alessandria. L’amore per la poesia nasce durante gli anni della giovinezza.
Nel 1912 si trasferisce a Parigi: viene a contatto con l’ambiente artistico internazionale e conosce Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Picasso, Giorgio De Chirico, Amedeo Modigliani.
Nel 1914 torna in Italia. Allo scoppio della guerra si arruola volontario e combatte sul Carso: in trincea scopre un’umanità povera e dolente, che ritroveremo nei versi di “Porto sepolto” e “Allegria di naufràgi”, primi documenti di una poesia che, dopo D’Annunzio, riparte dalla parola nuda, essenziale.
Dopo la guerra lavora a Parigi, dapprima come corrispondente del giornale “Il Popolo d’Italia”, e in seguito come impiegato all’ufficio stampa dell’ambasciata italiana. Nel 1921 si trasferisce a Roma e lavora all’ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Nel 1925 aderisce al fascismo firmando il “Manifesto degli intellettuali fascisti”.
Negli anni Trenta è inviato speciale per “La gazzetta del popolo”: viaggia in Egitto, Corsica, Olanda e nell’Italia meridionale, raccontando le esperienze vissute in “Il povero nella città” e “Il deserto e dopo”.
Dal 1936 al 1942 insegna Letteratura italiana all’Università di San Paolo del Brasile. In quegli anni, muore di appendicite il figlio Antonietto. La sofferenza immensa del poeta si rifletterà nelle raccolte “Il dolore” e “Un grido e Paesaggi”.
Dopo il rientro in Italia, il poeta viene nominato Accademico d’Italia e, per chiara fama, professore di Letteratura moderna e contemporanea all’Università di Roma. Caduto il regime fascista, mantiene un ruolo attivo nell’ambiente letterario e culturale, e conserva l’incarico accademico fino al 1965. Pubblica altre raccolte (come “La terra promessa”) e tiene ovunque conferenze e letture. Muore a Milano il 2 giugno 1970.
Lo stile di Ungaretti è scabro ed essenziale, e segna l’inizio alla corrente poetica che prenderà ben presto il nome di “ermetismo”. La metrica è libera, senza rime e con versi spesso brevissimi, ma di grande efficacia espressiva.
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