Guida alla lettura
Del primo frammento ci colpiscono la sofferenza fisica di Antonietto – indimenticabili, nella sobrietà dei tratti, quegli occhi ancora vivi nel volto già inghiottito dall’agonia – e l’angosciata delicatezza del padre, che richiama con briciole di pane stormi di passeri a rasserenare un poco le ultime ore del bimbo.
Del secondo, il conflitto – così familiare per coloro che perdono un figlio – fra l’apparente continuità della vita («discorro, lavoro…») e il dolore sordo che riemerge ad ogni istante, portando a nudo una ferita che non si rimargina («Come si può ch’io regga a tanta notte?»).
Del terzo, composto dopo il ritorno in Italia, il senso della lontananza incolmabile, il tormento così umano per non aver saputo proteggere il piccolo dal male e dalla morte, e quel dialogo sempre più intimo con quella “voce d’anima”, che se da un lato, come è stato scritto, «offre la possibilità di un dialogo immediato e subito compreso, che contrasta stranamente con la drammatica vicenda degli uomini incapaci di comprendersi» (Mario Oliveri e Terenzio Sarasso, Antologia della letteratura italiana, volume terzo, tomo secondo, Paravia, Torino 1966, p. 584), dall’altro espone però al rischio di un ripiegamento solipsistico sul dolore e nel dolore, di un progressivo isolamento che compromette ogni possibilità di elaborazione del lutto e adesione alla realtà. Non a caso, gli stessi Oliveri e Sarasso riconoscono altrove come il canto del poeta abbia «la tragica fissità di un dramma senza conforto, di un dolore senza scampo» (op. cit. p. 583).
La silloge “Il dolore” è composta da sedici liriche, composte in tempi diversi e raggruppate in sei sezioni. La prima (Tutto ho perduto) contiene due poesie dedicate al fratello scomparso in gioventù. La seconda (Giorno per giorno) contiene, come abbiamo visto, i diciassette frammenti per Antonietto. Anche la terza (Il tempo è muto) include tre liriche dedicate al figlio. La quarta (Incontro a un pino) è costituita da una poesia di guerra. La quinta (Roma occupata) si articola in cinque composizioni ispirate agli eventi bellici successivi all’8 settembre 1943. La sesta sezione (I ricordi), infine, contiene quattro liriche: due ancora dedicate alla guerra (di una, “Non gridate più”, abbiamo parlato in questa rubrica il 12 agosto 2009: Cessate d’uccidere i morti) e due – a modo di chiusa pacata e solenne – ai ricordi, «echi degli addii a minuti che parvero felici», e alla terra dei cui venti, pur impetuosi, «il grido dei morti è più forte».
«Nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…»
E il volto già scomparso
ma gli occhi ancora vivi
dal guanciale volgeva alla finestra,
e riempivano passeri la stanza
verso le briciole dal babbo sparse
per distrarre il suo bimbo…
2
Ora potrò baciare solo il sogno
le fiduciose mani…
E discorro, lavoro,
sono appena mutato, temo, fumo…
Come si può ch’io regga a tanta notte?...
9
Inferocita terra, immane mare
mi separa dal luogo della tomba
dove ora si disperde
il martoriato corpo…
Non conta… Ascolto sempre più distinta
quella voce d’anima
che non seppi difendere quaggiù…
M’isola, sempre più festosa e amica
di minuto in minuto,
nel suo segreto semplice…
Biografia
Nel 1912 si trasferisce a Parigi: viene a contatto con l’ambiente artistico internazionale e conosce Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Picasso, Giorgio De Chirico, Amedeo Modigliani.
Nel 1914 torna in Italia. Allo scoppio della guerra si arruola volontario e combatte sul Carso: in trincea scopre un’umanità povera e dolente, che ritroveremo nei versi di “Porto sepolto” e “Allegria di naufràgi”, primi documenti di una poesia che, dopo D’Annunzio, riparte dalla parola nuda, essenziale.
Dopo la guerra lavora a Parigi, dapprima come corrispondente del giornale “Il Popolo d’Italia”, e in seguito come impiegato all’ufficio stampa dell’ambasciata italiana. Nel 1921 si trasferisce a Roma e lavora all’ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Nel 1925 aderisce al fascismo firmando il “Manifesto degli intellettuali fascisti”.
Negli anni Trenta è inviato speciale per “La gazzetta del popolo”: viaggia in Egitto, Corsica, Olanda e nell’Italia meridionale, raccontando le esperienze vissute in “Il povero nella città” e “Il deserto e dopo”.
Dal 1936 al 1942 insegna Letteratura italiana all’Università di San Paolo del Brasile. In quegli anni, muore di appendicite il figlio Antonietto. La sofferenza immensa del poeta si rifletterà nelle raccolte “Il dolore” e “Un grido e Paesaggi”.
Dopo il rientro in Italia, il poeta viene nominato Accademico d’Italia e, per chiara fama, professore di Letteratura moderna e contemporanea all’Università di Roma. Caduto il regime fascista, mantiene un ruolo attivo nell’ambiente letterario e culturale, e conserva l’incarico accademico fino al 1965. Pubblica altre raccolte (come “La terra promessa”) e tiene ovunque conferenze e letture. Muore a Milano il 2 giugno 1970.
Lo stile di Ungaretti è scabro ed essenziale, e segna l’inizio alla corrente poetica che prenderà ben presto il nome di “ermetismo”. La metrica è libera, senza rime e con versi spesso brevissimi, ma di grande efficacia espressiva.