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Uomini e animali, ci ritroveremo nella gioia

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21/02/2018

Tratto da:
Paolo Ricca, «Fido» è morto: che ne sarà di lui?, Riforma, 19 ottobre 2007

Guida alla lettura

In questo bellissimo brano Paolo Ricca, teologo della Chiesa Evangelica Valdese, riflette sul destino ultraterreno degli animali. E’ un tema su cui la Bibbia non dice nulla di diretto e di esplicito, ma dice molto di indiretto, se viene letta con sapienza e intelligenza spirituale. Ed è quanto Ricca fa, con la consueta capacità di approfondire, rispetto a tre elementi centrali della rivelazione biblica: la creazione, il patto successivo al diluvio, la visione messianica. In tutti e tre i casi gli animali sono accanto a noi, e ricevono la stessa promessa di vita, e di vita piena, anche dopo la morte.
Chiunque abbia avuto un animale domestico conosce bene il dolore per la sua perdita. L’infinito rimpianto, la compassione che suscita quella sofferenza così pura e innocente. Ricca offre una speranza a tutti coloro che sono rimasti “orfani” dei loro amati animali, e anzi allarga la prospettiva biblica a tutte le creature viventi, dunque anche agli animali selvatici e alle piante.
«Sembra troppo bello per essere vero», ha commentato un bambino di otto anni in un tema sull’argomento. E’ vero: è talmente bello da parere impossibile. Ma questa è la speranza che anima i credenti, anche rispetto alla propria stessa vita. Ed Enzo Bianchi, fondatore di Bose, qualche anno scrisse eloquentemente in un articolo: che paradiso sarebbe senza Fido?
Dunque la speranza di una vita oltre la vita c’è anche per gli animali, e dal punto di vista biblico è più che fondata. Ed è una speranza che per un cristiano è bello condividere anche con chi non crede, ma ha amato un gatto, un cane, un cavallo, un coniglio, e ha sofferto per la sua morte. Intanto, nell’attesa di ritrovarci, c’è un modo per onorare i nostri amici scomparsi e celebrare la vita: dedicare un po’ di amore e di solidarietà anche a queste creature, quando sono abbandonate e senza padrone, quando sono meno fortunate di quelle che hanno condiviso con noi un tratto del cammino. Anche gli animali possono essere poveri e senza casa. Senza nulla togliere alla compassione dovuta ai nostri simili, anche per loro è giusto impegnarsi, perché non soffrano più e possano godere della bellezza del mondo. E’ una chiamata a cui tutti siamo chiamati a dare una risposta di umanità.
“Nei giorni scorsi è morto il mio cane: una cardiopatia associata a un edema polmonare lo ha stroncato nel giro di poche (ma quanto sofferte!) ore di agonia. Vorrei sapere: per i nostri animali domestici, c’è speranza? La loro fine segna il loro definitivo distacco dalla vita? Saranno tutti, e per sempre, dissolti nel nulla? Non li rivedremo mai più? Che senso ha, allora, il loro dolore? Il cristianesimo non ha nulla da dire su di loro e per loro? Grazie”.

«Fido» è morto: che ne sarà di lui? Così ho riassunto la lettera del nostro lettore, che pone una bella domanda, ahimè alquanto trascurata dalla teologia cristiana sia classica sia moderna, con pochissime eccezioni. La prima è ovviamente quella di Francesco d’Assisi (1182-1226), che secondo quanto scrive il suo primo biografo Tommaso da Celano «chiama col nome di fratello tutti gli animali, benché in ogni specie prediliga quelli mansueti». Una seconda eccezione è Albert Schweitzer (1875-1965), che riassunse la sua vita e il suo pensiero nel principio del “rispetto per la vita” in ogni sua manifestazione: «Un uomo è morale soltanto quando considera sacra la vita come tale, quella delle piante e degli animali tanto quanto quella dei suoi simili, e quando si dedica ad aiutare ogni vita che ne ha bisogno». Una terza eccezione è Karl Barth (1886-1968), che nella sua “Dogmatica” ha dedicato agli animali (ma anche alle piante) molte pagine estremamente suggestive e istruttive, nel quadro della dottrina della creazione, ma non solo.
Queste eccezioni, purtroppo, non hanno fatto scuola. La pur bella e pregevole “Encyclopédie du protestantisme” pubblicata a Ginevra e Parigi in prima edizione nel 1995 e in seconda “rivista, corretta e accresciuta” nel 2006, contiene una voce sugli angeli (il che va benissimo), ma non una sugli animali e tanto meno sulle piante (il che va malissimo). Speriamo in una terza edizione ulteriormente “corretta e accresciuta” che contenga queste voci ora mancanti. La loro mancanza rivela una lacuna, per non dire un vuoto, che sta dentro di noi. Anche la “Dogmatica” in tre volumi di Gerhard Ebeling, peraltro eccellente, parla molto della Natura, ma non specificatamente di animali e piante. Ne parla invece il nostro lettore, con una domanda molto specifica: c’è un aldilà per gli animali? Per quelli domestici, dice lui, ma io allargherei il discorso a tutti.
La sua domanda però ne contiene molte altre, a cominciare da quella fondamentale della differenza tra l’uomo e l’animale, molto netta nel racconto biblico, che parla di un “dominio” dell’uomo sugli animali (Genesi 1, 28). Va però precisato che questo dominio non comportava, all’inizio, il diritto dell’uomo di uccidere gli animali per cibarsene. Questo diritto venne affermato solo più tardi, dopo il diluvio (Genesi 9, 3). La differenza tra l’uomo e l’animale è stata espressa, tra gli altri, in termini classici da Tommaso d’Aquino il quale, pur sostenendo che Dio è in qualche modo “presente” in tutte le cose da lui create, quindi anche negli animali, afferma però che tutti gli animali, anche quelli superiori, sono «situati a grande distanza dall’immagine di Dio» (“longe a similitudine divina remota”), «mentre l’uomo si dice formato “a immagine e somiglianza” di Dio». La differenza, secondo la tradizione biblica, è questa, ed è grande. In altre tradizioni religiose invece, soprattutto orientali, la differenza sembra meno netta, tanto che in quelle che credono nella reincarnazione (il Buddismo e alcune correnti dell’Induismo) la differenza è così labile che l’anima dell’uomo può cadere così in basso da finire, almeno provvisoriamente, nel corpo di un animale – dottrina, questa, impensabile nel quadro del pensiero biblico.
Detto questo, resta però il fatto innegabile – tutti lo sanno, ma non sempre lo ricordano – che l’uomo è un mammifero come tanti altri animali, è dunque anche lui anzitutto un animale. Aristotele lo definiva animale “razionale” (in greco: loghikón) e “politico” (in greco: politikón), ma pur sempre un animale. Prima di lui già il racconto biblico della creazione aveva significativamente accostato l’uomo al mondo animale, collocando la sua creazione non in un giorno speciale riservato a lui solo, ma associandolo nello stesso giorno, il sesto, alla creazione degli animali terrestri. Prima di parlare della differenza, occorrerebbe dunque illustrare la vicinanza e comune appartenenza delle due condizioni, quella animale (che tra l’altro ha la precedenza nell’ordine della creazione) e quella umana (che segue). In questo quadro non è forse inutile riferire una considerazione di carattere generale sul rapporto uomo-animali fatta dallo scrittore francese Montaigne (1533-1592), segnalatami dal pastore Angelo Cassano di Locarno (Ticino), che ringrazio. Nei suoi celebri “Essais” Montaigne rimprovera all’uomo il suo orgoglio e la sua presunzione quando si arroga il diritto di giudicare gli animali: «Come può l’uomo conoscere, con la forza della sua intelligenza, i moti interni e segreti degli animali? Da quale confronto fra essi e noi deduce quella bestialità che attribuisce loro? Quando mi trastullo con la mia gatta, chi sa se essa non faccia di me il suo passatempo più di quanto io faccia con lei?». Noi li consideriamo bestie; forse anche loro ci considerano bestie. In fondo, comprendiamo poco di loro, come loro comprendono poco di noi. Perciò «bisogna che osserviamo la parità che c’è tra noi. Noi comprendiamo approssimativamente il loro sentimento, così le bestie il nostro, pressappoco nella stessa misura». Dunque, dice Montaigne, il rapporto uomo-animali non va impostato in termini di superiorità e inferiorità, ma di parità. Queste considerazioni ci introducono bene alla domanda del nostro lettore: «C’è un aldilà per gli animali?».
A questa domanda non c’è, che io sappia, nella Sacra Scrittura, che è la nostra guida e norma nelle questioni di fede e vita, una risposta diretta ed esplicita. Ci sono però tre ordini di pensieri che consentono una risposta relativamente sicura, benché indiretta. Il primo è la creazione, il secondo è il patto, il terzo è la promessa messianica.
1. Nella visione biblica la creazione è anzitutto creazione di animali (e piante). L’uomo viene dopo, ed è confinato sulla terra, mentre gli animali popolano anche il cielo e il mare. Come sarebbe vuoto il creato se ci fosse solo l’uomo! Non sarebbe il creato uscito dalle mani di Dio. Un creato senza animali è biblicamente impensabile. Ecco perché insieme a Noè vengono salvati nell’arca anche gli animali: questo può valere come figura di una salvezza comune. Persino il Mar Morto, secondo il profeta Ezechiele, non resterà per sempre morto e quindi senza pesci: dal Tempio uscirà un torrente che vi si immergerà rendendo le sue acque “sane” (47, 5) e quindi anch’esse popolate di animali marini (v. 9). Insomma, gli animali fanno parte integrante della creazione, e non c’è alcun motivo per ritenere che non facciano parte (in forme che, certo, non possiamo immaginare) della nuova creazione, cioè di un nuovo cielo e una nuova terra (il mare, a quanto pare, purtroppo, non ci sarà più, secondo Apocalisse 21, 1, a meno di una bella sorpresa finale; comunque ci sarà un grande fiume e acqua in abbondanza).
2. Non solo gli animali sono benedetti da Dio, come la coppia umana, in vista della procreazione (Genesi 1, 22 e 28), ma essi sono inclusi ed esplicitamente menzionati nel Patto che Dio stabilisce con Noè, il cui simbolo è l’arcobaleno (Genesi 9, 8-17). Questo patto è “perpetuo” (v. 16) e il suo contenuto è la vita che, in tutte le sue espressioni e manifestazioni, non sarà più distrutta. Chi è nel Patto – e gli animali ci sono – non è nella morte, ma nella vita. L’uomo e gli animali sono ugualmente mortali (Ecclesiaste 3, 19-21!!), ma, in virtù del Patto, la loro morte non è definitiva.
3. Secondo Isaia 11, 6-9 la promessa messianica è un mondo animale riconciliato al suo interno («il lupo abiterà con l’agnello») e con l’uomo («il lattante si trastullerà sul buco del serpente»). Questa promessa, che associa uomini e animali, può essere collegata con il discorso di Paolo sulla creazione che ora è «sottoposta alla vanità», cioè alla morte, e perciò «geme insieme ed è in travaglio», ma «sarà anch’ella liberata dalla servitù della corruzione», cioè restituita a una vita senza la morte dentro (Romani 8, 20-23). In questa creazione liberata, come ho detto al punto 1, ci sono anche gli animali.
C’è dunque speranza per «Fido»? Sì, come c’è per il suo padrone e per tutti. C’è però una sottile insidia che può annidarsi nella domanda del nostro lettore e che è bene segnalare. L’insidia è di considerare l’Aldilà una sostanziale fotocopia dell’Aldiquà e il mondo futuro una semplice replica (migliorata) di quello attuale. Sarà invece un mondo nuovo, e non si insisterà mai abbastanza sulla portata di questo aggettivo. I rapporti tra le persone e quelli con gli animali non saranno più quelli odierni, ma saranno trasfigurati, cioè trasformati in rapporti completamente diversi, luminosi, trasparenti, felici, perché saranno unificati in Dio, che sarà «tutto in tutti» (I Corinzi 15, 28).

Biografia

Paolo Ricca nasce a Torre Pellice (in provincia di Torino) nel 1936. Dopo aver conseguito la maturità classica a Firenze, studia Teologia a Roma, negli Stati Uniti e a Basilea (Svizzera), ove consegue il dottorato con una tesi sull’escatologia del Vangelo secondo Giovanni.
Consacrato pastore della Chiesa valdese nel 1962, esercita il ministero a Forano e a Torino, e segue il Concilio Vaticano II per conto dell’Alleanza Riformata Mondiale. Dal 1976 al 2002 insegna Storia della Chiesa e, per alcuni anni, Teologia Pratica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma.
Membro per quindici anni della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Ginevra), opera in diversi organismi ecumenici ed è per due mandati presidente della Società Biblica in Italia.
Attualmente è professore ospite presso il Pontifico Ateneo Sant’Anselmo di Roma e dirige la collana “Lutero. Opere scelte” dell’editrice Claudiana di Torino.
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