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Il dolore, contraddizione al desiderio di vita: riflessione su Luca 7,1-10

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04/10/2017

Tratto da:
Raffaela di Bose, Un grido che il Signore non può ignorare, monasterodibose.it/preghiera/vangelo-del-giorno/11811-un-grido-che-il-signore-non-puo-ignorare

Guida alla lettura

In questo breve commento a un passaggio cruciale del Vangelo di Luca – la guarigione del servo del centurione – Raffaela, monaca di Bose, pone in luce alcuni aspetti rilevanti della solidarietà che hanno un grande valore anche per i non credenti.
Primo: la solidarietà passa attraverso il saper ascoltare e il saper vedere la sofferenza degli altri. Solo così la compassione può farsi spazio nel nostro cuore e tradursi in intervento concreto. Secondo: la buona reputazione che il centurione, romano e pagano, aveva presso gli anziani di Cafarnao ci testimonia che quell’uomo aveva saputo «instaurare rapporti di fraternità, di aiuto vicendevole» al di là delle differenze di etnia e di religione. Fra loro si era dunque creata una situazione di autentica apertura, che è disposizione d’animo ben più elevata della “tolleranza” che tanto va di moda nei discorsi di oggi. Terzo: «nel mondo non siamo soli». E questo è un dato che è bene tenere presente anche in relazione al dolore che noi stessi proviamo in tante circostanze della vita. Non siamo soli, in questo mondo: e, quando soffriamo, è nostro diritto chiedere aiuto alle persone che ci circondano e che sono pronte a farci del bene, anche quando magari non ce lo aspetteremmo.
Raffaela aggiunge poi una notazione preziosa per i credenti, troppo spesso attratti da luoghi considerati miracolosi e che altro non sono che una triste industria dell’illusione. Agli occhi di Dio, chi è degno di ricevere un miracolo? Tutti e nessuno, risponde Raffaela. Nessuno, perché nessuno può vantare meriti tali da indurre il Signore del mondo a forzare il proprio agire. E nello stesso tempo tutti, perché Dio desidera che viviamo in pienezza e le nostre lacrime lo muovono a venirci in aiuto. Per il credente non si tratta dunque di pretendere guarigioni “inspiegabili”, ma di affidarsi con fiducia all’amore del Padre sapendo che il suo primo sostegno è la forza dello Spirito Santo, che ci aiuta ad affrontare ogni situazione difficile senza smettere di amare e di accettare di essere amati. Sta in questa reciprocità il primo e più importante miracolo, che può trasformare la nostra vita e la vita delle persone che ci sono vicine.

Siamo a Cafarnao. Gesù ha da poco chiamato i dodici, ha proclamato ai discepoli le beatitudini e consegnato loro i fondamenti del loro agire: amare i nemici, essere misericordiosi, non giudicare. Gesù ascolta e vede. Ci troviamo di fronte a un miracolo operato solo in base all’ascolto, addirittura un ascolto mediato da altre persone che riportano a Gesù la richiesta del centurione. Gesù ascolta il dolore e interviene, compie un miracolo a distanza. Il tema dell’ascolto è molto presente nel contesto di questa pericope: Gesù alla fine del capitolo precedente ha ricordato la necessità di ascoltare e mettere in pratica (cf. Lc 6,47-49) e all’inizio della nostra pericope si dice che tutto il popolo stava in ascolto di Gesù. Anche Gesù ascolta. Al nostro testo segue la resurrezione del figlio della vedova di Nain: qui Gesù vede, non c’è nessuna parola o richiesta. Gesù vede il dolore e interviene.
Il nostro testo ha un parallelo nel vangelo di Matteo (cf. Mt 8,5-13), dove tuttavia il centurione si presenta di persona e parla direttamente a Gesù, esprimendo la sua indegnità di accogliere il Signore in casa sua. In Luca 7,4 gli anziani dei giudei inviati a Gesù dicono: «Egli merita (è degno) che tu gli conceda…» e al v. 7 il centurione fa dire a Gesù, tramite i suoi amici inviati: «Io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te». Chi è degno di ricevere un miracolo?
Tutti e nessuno, potremmo rispondere. Nessuno, perché con le nostre azioni non possiamo assicurarci alcun potere sull’agire di Dio. Tutti, perché il dolore – qualsiasi dolore segnato dal potere della morte – costituisce una contraddizione al desiderio di vita che Dio ha per noi e lo spinge a intervenire. Perciò ciascun figlio di Adamo può avere la fiducia che il suo dolore sale direttamente davanti a Dio, è un grido che il Signore non può ignorare.
In questo testo assistiamo a un intervento corale: il centurione invia alcuni anziani dei giudei e poi alcuni amici come suoi portavoce presso Gesù. I primi intercedono descrivendolo come un uomo buono, che ama il popolo, che si è comportato come un amico. Quest’uomo pagano ha saputo instaurare rapporti di fraternità, di aiuto vicendevole. Ora i suoi amici intervengono a suo favore, si fanno carico della sua pena. In un altro episodio troviamo qualcosa di simile: gli uomini che calano il paralitico dal tetto davanti a Gesù perché lo guarisca, con la loro fede sollecitano il miracolo (cf. Lc 5,18-26 e par.). Nel mondo non siamo soli. Ci è possibile sperimentare l’aiuto reciproco. Tale aiuto e la cura l’uno dell’altro sono anche il fondamento della comunità cristiana.
«Pregate gli uni per gli altri», ammonisce l’apostolo Giacomo (cf. Gc 5,16), e Luca più volte presenta la preghiera comune come un ideale (cf. At 1,14; 12,5). La preghiera gli uni per gli altri, questa disposizione amichevole del cuore che ci spinge a intercedere per chi è nel bisogno, che ci spinge a vedere il dolore dei nostri fratelli e sorelle in umanità è un dono dello Spirito e insieme un frutto dell’esercizio costante nel ricevere la vita come un dono e nel discernere la fraternità come una responsabilità.

Il brano del Vangelo di Luca

Quando ebbe terminato di rivolgere tutte le sue parole al popolo che stava in ascolto, Gesù entrò in Cafarnao. Il servo di un centurione era ammalato e stava per morire. Il centurione l’aveva molto caro. Perciò, avendo udito parlare di Gesù, gli mandò alcuni anziani dei Giudei a pregarlo di venire e di salvare il suo servo. Costoro, giunti da Gesù, lo supplicavano con insistenza: «Egli merita che tu gli conceda quello che chiede – dicevano –, perché ama il nostro popolo ed è stato lui a costruirci la sinagoga». Gesù si incamminò con loro. Non era ormai molto distante dalla casa, quando il centurione mandò alcuni amici a dirgli: «Signore, non disturbarti! Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito. Anch’io infatti sono nella condizione di subalterno e ho dei soldati sotto di me e dico a uno: “Va’!”, ed egli va; e a un altro: “Vieni!”, ed egli viene; e al mio servo: “Fa’ questo!”, ed egli lo fa». All’udire questo, Gesù lo ammirò e, volgendosi alla folla che lo seguiva, disse: «Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!». E gli inviati, quando tornarono a casa, trovarono il servo guarito.

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