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La violenza nella Bibbia: scandalo e insegnamento

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25/05/2011

Titolo originale:
Paolo Ricca, Siamo autorizzati a censurare la Bibbia?, "Riforma", 30 novembre 2007

Guida alla lettura

In quest’ampia riflessione Paolo Ricca, teologo della Chiesa Evangelica Valdese, risponde al turbamento che un lettore della rivista “Riforma” confessa di provare di fronte a certe pagine violente della Bibbia, e in particolare al versetto finale del Salmo 137, che proclama “beato” chi sfracellerà sulla roccia i bambini dei Babilonesi, deportatori degli Ebrei e distruttori di Gerusalemme.
Di fronte allo scandalo del male evocato in una pagina che reputiamo sacra, l’unico atteggiamento da evitare – sostiene Ricca – è quello di esorcizzarlo espungendolo dal testo, o propugnandone una lettura metaforica, spirituale, come fecero spesso gli antichi Padri della Chiesa, nel pio tentativo di «disattivare l’odio e la violenza che da esso trasudano». Certe orribili parole vanno invece lasciate dove sono, perché hanno tre cose importanti da insegnarci.
Primo: ci ricordano che «la Bibbia è stata scritta da uomini, non da Dio» e porta quindi, insieme con la parola divina, il peso a volte insopportabile della nostra umanità. Solo una piena coscienza di questa doppia e irriducibile identità ci può mettere al riparo da una lettura fondamentalista del dato biblico, radice di ogni intolleranza. Secondo: documentano a cosa «può portare un amore sviscerato», un amore così assoluto da capovolgersi nell’odio più sfrenato. Questo amore-odio, sottolinea Ricca, non è solo lo sfondo perverso di fatti storici lontani da noi: è «il nostro ritratto segreto, il volto che non osiamo far vedere a nessuno». Terzo: ci fanno toccare con mano «la novità di Gesù», che ha amato i suoi nemici e chiede a noi di fare altrettanto. In questo senso, conclude Ricca, l’orrore suscitato da certi versetti, se da un lato chiude il cuore, dall’altro lo può «aprire a una preghiera di confessione di peccato e pentimento», e anche – aggiungiamo noi – all’impegno sempre rinnovato di combattere il male e la sofferenza che, credenti o meno, incontriamo in ogni giorno della nostra vita.
«Leggendo la Bibbia di seguito e senza “filtri”, ci si può trovare di fronte a brani che non sono né rasserenanti, né particolarmente condivisibili. L’esempio più emblematico è forse nelle parole del Salmo 137, che si apre ricordando che «là, presso i fiumi di Babilonia, sedevamo e piangevamo ricordandoci di Sion» e si chiude affermando «beato chi afferrerà i tuoi bambini e li sbatterà contro la roccia!». Non siamo così ingenui da ignorare che la Bibbia è nata in una determinata situazione storica che va riconosciuta, ma non è sempre facile partire da parole così lontane dalla nostra sensibilità per aprire il cuore alla preghiera. D’altra parte, ci sentiremmo autorizzati a censurare il testo biblico, tagliando l’ultimo versetto del Salmo?».

La scelta più sbagliata sarebbe proprio tagliare l’ultimo versetto del Salmo 137 – probabilmente la parola più scandalosa di tutta la Bibbia, orribile, inammissibile e letteralmente irripetibile. Non è solo «lontana dalla nostra sensibilità», è lontana dall’Evangelo e anche, nella sua violenza disperata e omicida, lontana da Dio stesso. Ma, anche se quella frase non possiamo e non vogliamo neppure ripeterla, non la dobbiamo per nessun motivo cancellare, come ha fatto invece il Concilio Vaticano II che, nella Liturgia delle Ore, ha effettivamente “censurato” gli ultimi due versetti del Salmo 137. Lo apprendo, non senza sorpresa, dal grande commentario “Il libro dei Salmi”, di Gianfranco Ravasi (3 volumi, Edizioni Dehoniane, quinta edizione 1991).
No, quei versetti terribili non vanno censurati, cioè soppressi, così come non vanno soppressi diversi altri passi della Bibbia (soprattutto nell’Antico Testamento, ma alcuni anche nel Nuovo, specialmente nell’Apocalisse), che urtano non solo la nostra sensibilità odierna, ma anche la nostra stessa fede, e che quindi non vorremmo trovare nel libro che per noi è Parola di Dio, cioè, come diceva Lutero, «vita e sostanza della Chiesa». Basti pensare a tutti i passi in cui si parla di persone, città o interi popoli «votati allo sterminio» (Deuteronomio 7, 2 e molti altri passi), oppure a leggi efferate come quella che imponeva di lapidare i «figli ribelli» (Deuteronomio 21, 18-21) o di lapidare la ragazza che venisse trovata non più vergine quando si sposava (Deuteronomio 22, 20-21). L’elenco potrebbe continuare.
Ma perché i versetti del Salmo 137 (e tutti i passi analoghi) non devono essere cancellati dalla Bibbia? Per alcune ragioni che esporrò tra un istante. Prima però desidero ricordare che c’è un altro modo di cancellarli: è il modo scelto a suo tempo dai “padri della chiesa” i quali li hanno spiritualizzati, interpretandoli metaforicamente. Il commentario di Ravasi, citato poco fa, offre al riguardo ampia documentazione. Ecco, a esempio, la spiegazione di Girolamo: «Siccome è impossibile che non penetri nei sensi dell’uomo e fino al midollo il fuoco della passione, nel Salmo si loda e si dice beato colui che subito stronca, sul nascere, i cattivi pensieri e contro la roccia li schianta; la roccia, poi, non è altri che il Cristo». Nella stessa linea troviamo Ambrogio da Milano: «Beato colui che stritola contro Cristo i pensieri malvagi e sensuali», e Agostino: «Chi sono i figli di Babilonia? Sono i cattivi pensieri nascenti...; quando sono ancora piccoli, sfracellali alla pietra che è Cristo!».
L’interpretazione metaforica e “spirituale” dei bambini (che diventano passioni insane e pensieri cattivi) e della roccia (che diventa Cristo) annulla evidentemente ogni scandalo, introduce nel versetto un intento pio e virtuoso, facendogli dire il contrario di quello che dice, cioè sopprimendolo. Anche nel nostro tempo si sono avute interpretazioni metaforiche, come quella del poeta e teologo della liberazione Ernesto Cardenal, citato ancora da Ravasi: «Babele armata di bombe! Devastatrice! Beato colui che afferra i tuoi figli – le creature dei tuoi laboratori – e li scaglia contro una roccia». Tutte queste e altre analoghe interpretazioni sono, in realtà, fughe lontano da un testo, che non riusciamo, giustamente, ad accettare. Sono tentativi (vani) di esorcizzarlo, di addomesticarlo, di disattivare l’odio e la violenza che da esso trasudano. Questi versetti che sognano una vendetta feroce e spietata e dichiarano “beato” chi la eseguirà, devono essere lasciati lì dove sono e come sono, perché hanno qualcosa da insegnarci. Che cosa? Quali sono le ragioni per le quali sarebbe sbagliato cancellarli dalla Bibbia? Ne indicherò tre.
1. La prima è che versetti come questi (e i passi biblici affini) ci ricordano con un’evidenza inconfutabile che la Bibbia è stata scritta da uomini, non da angeli, da uomini, non da Dio. Essa quindi porta, insieme al suo messaggio divino, anche il peso della nostra umanità. «Umana, troppo umana» (potremmo dire con Nietzsche) è la Bibbia, con le sue ingenuità, le sue contraddizioni, le sue discutibili ricostruzioni storiche, i suoi spropositi scientifici, il suo modo troppo umano di parlare di Dio (un Dio con tanto di braccia, mani, dita, volto, occhi, cuore, e così via; un Dio che parla, si commuove, si adira, si pente), anche se la Bibbia sa bene che «Dio non è un uomo come me» dice Giobbe (9,32). (...)
Essendo realmente, e non apparentemente, umana, è bene che anche gli aspetti negativi dell’umanità siano presenti e non vengano cancellati. Noi chiamiamo “Sacra” la Scrittura (Antico e Nuovo Testamento), e facciamo bene perché lo è. Ma non dobbiamo dimenticare che la Bibbia è anche profana, come lo siamo noi, perché l’hanno scritta persone come noi, certo scelte, istruite e ispirate da Dio, certo con una fede incomparabilmente superiore alla nostra, ma pur sempre uomini e donne come noi, radicalmente umani, terrestri e fallibili come noi. I versetti del Salmo 137 documentano in modo inequivocabile che la Bibbia è anche un documento umano, legato a una storia, con tutto il peso che ha questa parola. L’umanità della Bibbia è il vaso d’argilla nel quale Dio ha posto e nascosto il tesoro dell’Evangelo.
2. C’è una seconda ragione per non cancellare quei versetti. Essi documentano dove può portare un amore sviscerato com’era comprensibilmente quello dell’ebreo deportato a Babilonia per Gerusalemme ormai rasa al suolo e il Tempio ridotto a un cumulo di macerie. Un amore talmente smisurato da tramutarsi in odio altrettanto smisurato per Babilonia, la Devastatrice, che non soltanto aveva tolto agli ebrei l’indipendenza e la libertà, ma aveva distrutto la cosa più preziosa e più sacra che avevano: Gerusalemme, la «città di Dio» (Salmo 87, 3), e il Tempio, nel quale Dio doveva «dimorare in perpetuo» (I Re 8, 13). Un amore che diventa «odio perfetto» (Salmo 139, 22), talmente perfetto da diventare omicida. Così possono essere o diventare i nostri amori: trasformarsi nel loro contrario – amori che producono odio. Nel caso dell’autore sconosciuto del Salmo 137, oltre al dolore per la patria «sì cara e perduta», c’è il sordo rancore verso il nemico che, dopo avergli tolto le cose più preziose della vita, si prende gioco di lui chiedendogli di cantare «le canzoni di Sion» (v. 3), mentre i suoi occhi sono pieni di lacrime. Tutto questo è molto umano: l’amore ferito e calpestato, il dolore, lo scherno, l’odio perfetto, il desiderio di vendetta. Quei versetti sono anche, purtroppo, il nostro ritratto segreto, il volto che non osiamo far vedere a nessuno. Siamo stati capaci (e lo siamo ancora) di sbattere i bambini contro la roccia. L’hanno fatto i soldati dei Savoia ai bambini valdesi durante le persecuzioni; l’hanno fatto innumerevoli altri uomini alle donne incinte, sventrandole e uccidendo con loro anche il frutto del loro grembo; l’hanno fatto i nazisti mandando innumerevoli bambini ebrei nelle camere a gas (andate a vedere, se potete, il «Memoriale dei Bambini» a Yad Vashem, in Gerusalemme: non lo dimenticherete più). Insomma: quello che gli ebrei avrebbero voluto fare, ma probabilmente non hanno mai fatto (sbattere contro la roccia i bambini babilonesi), l’abbiamo fatto noi, in tante occasioni. Non scandalizziamoci dunque troppo per quel terribile versetto: siamo più terribili noi, con i nostri amori che producono odio.
3. C’è infine un terzo motivo per non cancellare quei versetti, che è sufficiente menzionare: essi ci fanno toccare con mano la novità di Gesù, che ci chiede di amare i nostri nemici e di pregare per quelli che ci perseguitano (Matteo 5, 44). Essi ci fanno dunque apprezzare più che mai, per contrasto, la novità dell’Evangelo, che del resto è presente già nell’Antico Testamento: «Se il tuo nemico ha fame, dagli del pane da mangiare; se ha sete, dagli dell’acqua da bere…» (Proverbi 25, 21) – parola citata dall’apostolo Paolo in Romani 12, 20.
Concludo rispondendo alla domanda del nostro lettore: il versetto del Salmo 137 può «aprire il cuore alla preghiera»? Certo è un versetto, come ho già detto, irripetibile, che chiude il cuore anziché aprirlo. Può però, proprio per l’orrore che suscita, aprire il cuore a una preghiera di confessione di peccato e pentimento, di cui proprio noi abbiamo un gran bisogno.

Biografia

Paolo Ricca nasce a Torre Pellice (in provincia di Torino) nel 1936. Dopo aver conseguito la maturità classica a Firenze, studia Teologia a Roma, negli Stati Uniti e a Basilea (Svizzera), ove consegue il dottorato con una tesi sull’escatologia del Vangelo secondo Giovanni.
Consacrato pastore della Chiesa valdese nel 1962, esercita il ministero a Forano e a Torino, e segue il Concilio Vaticano II per conto dell’Alleanza Riformata Mondiale. Dal 1976 al 2002 insegna Storia della Chiesa e, per alcuni anni, Teologia Pratica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma.
Membro per quindici anni della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Ginevra), opera in diversi organismi ecumenici ed è per due mandati presidente della Società Biblica in Italia.
Attualmente è professore ospite presso il Pontifico Ateneo Sant’Anselmo di Roma e dirige la collana “Lutero. Opere scelte” dell’editrice Claudiana di Torino.
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