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L'essere umano e Dio di fronte alla violenza – Parte 1

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21/05/2014

Tratto da:
André Wénin, Dalla violenza alla speranza, Edizioni Qiqajon, Monastero di Bose, Magnano (BI) 2005, p. 77-79

Guida alla lettura

Pubblichiamo questa settimana la prima parte di una riflessione di André Wénin, teologo e biblista belga, sulla violenza presente nella Bibbia: una violenza che imbarazza i credenti e che spesso, per questo motivo, viene bandita dalla liturgia e dall’insegnamento insieme ai testi che la contengono. Wénin ci invita invece a «prendere la Bibbia così com’è», cercando di capire non soltanto il perché della violenza in essa contenuta, ma anche il perché del nostro disagio e del nostro rifiuto.
Tutto parte da una considerazione di enorme portata esistenziale: la Bibbia «non è un libro di verità religiose» e non racconta un mondo ideale, ma descrive senza mezzi termini la realtà aspra in cui gli esseri umani vivono e che spesso costruiscono con le proprie mani. La Bibbia, in altre parole, è qualcosa di molto diverso da un rassicurante manualetto finalizzato al raggiungimento del benessere interiore e alla realizzazione di sé: perché non solo «non sottrae il lettore alla sua realtà più quotidiana e più dura, ma al contrario ve lo riporta con insistenza, come per invitarlo a cercare Dio al cuore stesso della propria vita, con le contraddizioni che ne fanno parte».
Da questa tesi discende un importante corollario: la Bibbia, con le sue molteplici incongruenze, «non offre un messaggio definitivo e concluso», ma presuppone un lettore attivo che sappia dialogare con il testo e, attraverso la propria intelligenza, sappia trarne il senso profondo, il contenuto di verità. Senza questo faticoso lavoro di confronto, il senso «andrà perduto per sempre» e la persona resterà prigioniera dei fondamentalismi, degli schematismi, dei preconcetti e, in ultima analisi, di immagini false di sé e di Dio.
Nel seguito della riflessione Wènin approfondirà questi concetti e, illustrandoli con esempi tratti dalla Bibbia, ne mostrerà l’importanza per una vita spirituale matura: nella seconda parte, in particolare, affronterà l’interpretazione dell’episodio di Giuseppe venduto dai fratelli (Genesi, capitolo 37); nella terza, infine, svilupperà il tema della violenza con specifico riferimento all’immagine di Dio e al ruolo che egli svolge nella storia dell’uomo.
Spesso i cristiani sono a disagio di fronte alle pagine violente dei due Testamenti della loro Bibbia, cosa alla quale vengono implicitamente incoraggiati dalla prassi liturgica e catechetica che tende a occultare questi testi difficili. Eppure bisogna avere il coraggio di prendere la Bibbia così com’è: un libro a immagine della vita, pieno di contraddizioni e incoerenze, di istanze innovative e conservatrici, un libro che è anche pieno di violenza e che per giunta sembra si diverta a moltiplicare maliziosamente le immagini di Dio, senza esitare a mescolarle alla violenza degli uomini.
Una visione realistica della Bibbia letta nel suo insieme può contribuire a smontare le immagini che ce ne facciamo e le conseguenti immagini di Dio. Una tale visione permette anche ad altre immagini di emergere: la Bibbia non è un libro di verità religiose, ma un libro che riflette la vita degli umani e la loro storia; il suo Dio non è un “puro spirito”, ma un Dio che si lascia coinvolgere corpo e anima nella storia, senza paura di “immergervisi”, di compromettersi, anche con ciò che semina la sventura. Questo tipo di prospettiva sul Libro ha due corollari.
In primo luogo, se nella Bibbia c’è tanta violenza è forse segno che, nella sua preoccupazione di narrare Dio e la sua alleanza con gli umani, essa non può semplicemente passare accanto a ciò che segna profondamente l’esistenza umana, a livello individuale e collettivo, e in particolare la violenza: in fondo, sarebbe un’immagine fuorviante. Infatti, non solo la Bibbia non sottrae il lettore alla sua realtà più quotidiana e più dura, ma al contrario ve lo riporta con insistenza, come per invitarlo a cercare Dio non al di fuori della sua condizione concreta, ma al cuore stesso della propria vita, con le contraddizioni e le violenze che ne fanno parte. Qui la questione viene in un certo senso rovesciata. Il problema non è più sapere perché la Bibbia sia violenza, ma perché noi opponiamo resistenza quando ci rimanda alla violenza che tocca la nostra vita: quella della quale siamo stati o siamo ancora vittime, a volte a nostra insaputa; quella che siamo noi a causare, forse senza rendercene conto; quella che ci circonda e che ci lascia così spesso ciechi, sguarniti, impotenti.
In secondo luogo, con le sue incongruenze di ogni genere, la Bibbia non offre un messaggio definitivo e concluso. Al contrario essa presuppone dei lettori attivi, pronti a mettere tutta la propria intelligenza al servizio dell’emergere di un senso che appartenga nel contempo al testo e a loro, a livello individuale e comunitario. Su questo punto il mondo cristiano trarrebbe profitto se si mettesse alla scuola degli ebrei e della loro pratica della lettura della Bibbia, condotta in forma assolutamente dialogica. Ogni lettore ha la responsabilità di far emergere dal suo confronto con il testo un senso che andrà perduto per sempre, se egli viene meno a questo compito. Come scrive Emmanuel Lévinas, «tutto si svolge come se la molteplicità delle persone fosse la condizione della pienezza della “verità assoluta”, come se ogni persona, con la sua unicità, assicurasse alla rivelazione un aspetto unico della verità» (E. Lévinas, L’aldilà del versetto, Guida, Napoli 1986, p. 218).
Non basta leggere la Bibbia: per comprenderla ci vuole un lavoro che va continuamente ripreso. In questo senso, è innegabile che i testi violenti rappresentino una provocazione per il lettore.

Biografia

Nato nel 1953 a Beauraing (Belgio), André Wénin è docente di Antico Testamento alla Facoltà di teologia dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio), professore invitato di Teologia biblica presso la Pontificia Università Gregoriana e segretario del Réseau de recherche en Narratologie et Bible (RRENAB).
Le sue ricerche vertono principalmente sulla Bibbia ebraica, e in particolare sulla Genesi e sui libri dei Giudici e di Samuele.
Nella sua riflessione, la passione del credente per le Scritture e la competenza dell’esegeta si arricchiscono a vicenda, facendo emergere l’interesse profondo per tutto ciò che è umano.
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