EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

L'essere umano e Dio di fronte alla violenza – Parte 3

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
18/06/2014

Tratto da:
André Wénin, Dalla violenza alla speranza, Edizioni Qiqajon, Monastero di Bose, Magnano (BI) 2005, p. 83-87

Guida alla lettura

Nella terza e ultima parte della sua riflessione, André Wénin offre una serie di spunti per capire il significato della violenza che, nella Bibbia, viene attribuita direttamente a Dio. Si tratta di un problema spinoso, sia perché l’Antico Testamento (il più intriso di violenza) viene considerato un testo ispirato da Dio, sia perché la nostra visuale risente della prospettiva introdotta dai Vangeli, in cui Gesù rifiuta ogni forma di prevaricazione in nome dell’amore. Quale credibilità, e soprattutto quale attrattiva, si può dunque attribuire al “Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe” che in tante pagine sacre versa il sangue delle proprie creature? Vale la pena ricordare che, nel secondo secolo dopo Cristo, i seguaci del vescovo Marcione, originario del Mar Nero, già contrapponevano Vecchio e Nuovo Testamento, accettando solo il secondo come autentico racconto del volto di Dio.
Wénin non nasconde le difficoltà che emergono dal testo biblico: se la legge di Dio sembra introdurre un freno alla violenza che domina la vita degli uomini, la prassi che Egli spesso segue sembra cedere in misura sconcertante alla violenza stessa, come quando punisce con severità estrema o fa spazio all’avanzata di Israele verso la terra promessa votando le popolazioni stanziali allo sterminio – un concetto che in ebraico è reso con il termine tristemente noto di “shoah”. Altre volte, come nel caso del faraone e delle piaghe d’Egitto, la violenza divina sembra essere funzionale all’obiettivo di denunciare le atrocità della tirannia: ma resta il fatto che, anche in quella circostanza, le sofferenze inflitte a uomini, donne e bambini innocenti ci sconcertano, per non parlare di quell’«indurimento del cuore» che è sì la cifra della psicologia del faraone, ma sembra provenire direttamente da Dio.
A fronte di situazioni così ambigue, Wénin sviluppa una serie di considerazioni che ci sembra utile schematizzare in questi termini:
- la Bibbia parla di violenza perché questa rappresenta la maggiore minaccia alla realizzazione della nostra umanità; per lo stesso motivo, Dio «non può restarne fuori», perché defilarsi significherebbe abbandonare l’uomo laddove la sua vita è più in pericolo;
- ciò premesso, la lenta evoluzione che parte dalla violenza dell’Antico Testamento e approda alla non-violenza del Vangelo sembra riflettere l’intenzione che Dio ha di «prendersi il tempo necessario per denunciare e sovvertire dall’interno quella violenza che aderisce all’umanità come una seconda pelle, e per convertire in forza d’amore e di pace l’energia che vi si dispiega»;
- le immagini di violenza di cui la Bibbia pullula sono pur sempre «parole di uomini e di credenti la cui esistenza, il pensiero e la fede sono inevitabilmente toccati dalla violenza che subiscono o fanno»: la violenza di Dio, in altre parole, non è altro che la proiezione del male che ci abita e il solo modo che in certi casi abbiamo di narrare il nostro rapporto fra noi e Lui, anche quando crediamo di parlare in nome della morale e della giustizia;
- il senso ultimo delle pagine violente della Bibbia potrebbe essere proprio quello di suscitare «orrore di fronte alla violenza e il rigetto di un Dio che sembra incoraggiarla», obbligando l’uomo a confrontarsi con le proprie – spesso problematiche – immagini del divino. La tensione però resta, perché né l’Antico né il Nuovo Testamento contengono una risposta definitiva che dissipi i dubbi e spieghi in misura davvero esauriente le contraddizioni.
Quando la Bibbia porge al lettore uno specchio dove si riflette la violenza individuale e collettiva, della quale essa permette di percepire gli aspetti nascosti e di comprendere le motivazioni, i processi e le conseguenze, fa qualcosa di diverso da tante opere letterarie. Ciò dipende dal fatto che essa coinvolge Dio in tale questione difficile e capitale. Del resto non vedo come potrebbe astenersene. Se la violenza è un luogo, purtroppo quotidiano ma cruciale, nel quale è in gioco la costruzione di un’umanità all’altezza del progetto iniziale del Creatore (Gen 1,26-30), questi non può restarne fuori, a rischio di disinteressarsi del suo progetto proprio là dove esso è più minacciato, e anche di abbandonare l’umanità là dove la sua vita è più in pericolo. Quindi sarebbe molto strano se la Bibbia tenesse Dio al riparo della violenza e occultasse pudicamente – senza prenderla in esame – l’immagine di una divinità violenta, così comune nell’immaginario umano.
Per quanto riguarda i legami tra il Dio della Bibbia e la violenza, le ipotesi sono molteplici. Nella legge che dona a Israele, e ancor più in ciò che Gesù dice di essa ai suoi discepoli, Dio si sforza di arginare la violenza, di contenerla in modo da limitarne gli effetti mortiferi. Ma i castighi che la stessa legge divina prevede sono a volte violenti. Questa violenza è illustrata nel modo in cui Dio e chi agisce a suo nome puniscono i fautori del male, che appartengano o no al suo popolo. Caino viene condannato a una vita errante dopo l’assassinio del fratello (Gen 4,12-16), Amalek viene condannato allo sterminio per essersi opposto al passaggio di Israele (Dt 25,17-19 e 1Sam 15,1-3), mentre Israele pagherà la sue colpe con la distruzione del paese e il lungo e duro esilio dei suoi abitanti (Dt 28,47-68). Certo, spesso si tratta di far valere il diritto delle vittime, al fianco delle quali Dio ha promesso di schierarsi in caso di violenza (Gen 9,4-6). Resta il fatto che questa giustizia alcune volte sembra proprio sommaria.
Altre volte, in modo più sottile, Dio esercita una violenza tanto da far venire pienamente in luce alcune logiche violente con le loro radici, con il loro meccanismo opprimente, ma anche con l’ineluttabile fallimento. Così lo vediamo opporsi a Faraone, chiedendo con forza e insistenza che lasci partire i figli d’Israele che egli asservisce e vota alla morte (Es 1-14). La volontà di liberazione di Dio e le prove di forza che l’accompagnano (le famose piaghe d’Egitto) fanno a poco a poco venire a galla la dinamica interna della tirannia, che rafforza e inasprisce ogni contestazione. Fino al giorno in cui, credendo di trionfare finalmente sulla resistenza, il tiranno si precipita personalmente incontro alla morte, trascinando nella sua caduta quelli che gli sono intorno e il suo popolo, complice dei suoi abusi non foss’altro che per il fatto che non li ha denunciati. In questa dimostrazione dell’assurdità del totalitarismo e della violenza di stato subiscono però la morte anche bambini innocenti (si veda anche Gdc 13-16).
Altre pagine mostrano Dio nell’atto di incoraggiare la violenza degli uomini. Nel libro di Giosuè, egli dona una terra al suo popolo a detrimento delle popolazioni del paese, alle quali infligge sconfitte cocenti e una serie di massacri senza fine. Non si crede ai propri occhi a vedere questo Dio che appoggia un ideale nazionalistico davanti al quale si eclissa il rispetto dello straniero (Gs 1-12). E che pensare di un Dio che dona la sua sapienza a Salomone che – su consiglio del padre David, il “re secondo il cuore di Dio” – ha appena consolidato il suo trono liquidando gli avversari che rischiavano di fargli ombra (1Re 2,1-3,15)? Dio supererebbe la violenza più cinica? E’ quanto può far pensare la lettura di certe pagine. Ma quando si considera la Bibbia nel suo insieme, ci si accorge che questo Dio che accompagna gli uomini nella loro violenza così umana al punto da esagerare a volte, inventa pazientemente con loro anche modi di essere diversi, quasi come se volesse prendersi il tempo necessario per denunciare e sovvertire dall’interno quella violenza che aderisce all’umanità come una seconda pelle, e per convertire in forza d’amore e di pace l’energia che vi si dispiega. Non è appunto questa la trasformazione che si verifica in Gesù, secondo la testimonianza del Nuovo Testamento?
Tale è in effetti il tema abbozzato fin dall’inizio della Genesi. La prima pagina della Bibbia racconta di come Dio domini il caos delle forze ostili alla vita per trarre da esso un mondo in cui si moltiplichi la vita. Alla fine del testo, si vede Dio che accetta il rischio di invitare l’umano a essere suo partner in questo compito, benedicendolo e ingiungendogli di dominare su ogni forma di vita animale (Gen 1,28). Quando l’umano cede al serpente della concupiscenza, Dio torna a fare alleanza con la donna, che ha riconosciuto la menzogna del serpente, per vincerlo in una lotta fino alla morte contro ciò che fa morire (Gen 3,15), prefigurazione di quello che si realizzerà in Gesù. Ma, una volta alle prese con il male che lo colpisce apparentemente senza motivo, l’umano, nel tentativo di liberarsene, cade nella rete della violenza e la riproduce contro gli altri, mentre invoca Dio come garante dei suoi diritti, oppure lo maledice per la violenza che sta subendo. Tuttavia, anche nel pieno di questa violenza in cui l’uomo lo trascina, Dio continua a operare nel cuore di quest’ultimo nella speranza di togliergli il gusto della violenza e della morte, se non altro offrendo alla sua lettura queste pagine della Bibbia che suscitano orrore di fronte alla violenza e il rigetto di un Dio che sembra incoraggiarla.
Certo, tutto quel che viene detto di Dio – specialmente in relazione alla violenza – rientra nell’ambito della rappresentazione. Si tratta di narratori, profeti, salmisti, sapienti che evocano, con categorie e immagini umane, un Dio dal nome impronunciabile, la cui legge fondamentale, il decalogo, vieta di farsi immagini stereotipate (Es 20,4). Così, se i testi violenti dicono qualcosa di vero su Dio – che combatte il male, è giusto, mantiene gli impegni presi, libera il partner dell’alleanza ma si mostra esigente nei suoi confronti, eccetera –, questo non vuol dire che dicano tutto di lui; e quello che dicono, lo esprimono con parole di uomini e di credenti la cui esistenza, il pensiero e la fede sono inevitabilmente toccati dalla violenza che subiscono o fanno.
La verità dell’uomo e di Dio nella violenza non è dunque da ricercarsi nelle sue rappresentazioni, tanto indispensabili quanto limitare. Essa si esprime al di là di quelle rappresentazioni e non può essere avvicinata se non passando attraverso di esse, perché si nasconde nella tensione paradossale che le tiene insieme e apre profeticamente uno spazio che, secondo il Nuovo testamento, Gesù verrà a occupare.
E’ chiaro che la presenza di Dio nei testi biblici nei quali la violenza si dispiega obbliga ad affrontare a livello teologico questo problema tanto difficile quanto cruciale. Questi testi, in effetti, impediscono al lettore credente di occultare la questione del legame che intercorre tra la violenza e Dio, o di sbarazzarsene con un colpo di spugna. Infatti, anche se si crede che Dio non sia per nulla responsabile della violenza degli esseri umani, resta il fatto che essi lo coinvolgono in essa in continuazione e in molti modi, più o meno manifesti, e comunque si pone il problema se egli sia complice del male quando assiste in silenzio alle devastazioni della violenza più barbara.
La Bibbia non ha “la” risposta, neanche il Nuovo Testamento, nonostante l’atteggiamento di Gesù, che rinuncia per amore a ogni forma di violenza, rappresenti il punto culminante del discorso biblico sulla questione. Ma la Bibbia ha per lo meno il merito di costringere il lettore a confrontarsi con le proprie immagini di Dio (e con quelle degli altri), mettendo in evidenza sia quelle che egli rifiuta che quelle cui dà credito. Allora può cominciare, al di là dei suoi a priori o dei preconcetti, a pensare alla valenza di verità soggiacente, e a quello che ciò significa per la propria umanità e per il suo modo di vivere e di credere al cuore delle molteplici violenze nelle quali si trova invischiato, ne sia consapevole o no.

Biografia

Nato nel 1953 a Beauraing (Belgio), André Wénin è docente di Antico Testamento alla Facoltà di teologia dell’Università Cattolica di Lovanio (Belgio), professore invitato di Teologia biblica presso la Pontificia Università Gregoriana e segretario del Réseau de recherche en Narratologie et Bible (RRENAB).
Le sue ricerche vertono principalmente sulla Bibbia ebraica, e in particolare sulla Genesi e sui libri dei Giudici e di Samuele.
Nella sua riflessione, la passione del credente per le Scritture e la competenza dell’esegeta si arricchiscono a vicenda, facendo emergere l’interesse profondo per tutto ciò che è umano.
Parole chiave di questo articolo

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter