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La speranza della salvezza

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04/06/2008

Tratto da:
Luciano Manicardi, La speranza del cristiano, Edizioni Qiqajon, Monastero di Bose, Magnano (BI), 1995, p. 22-24

Guida alla lettura

In questo brano ampio e complesso, Luciano Manicardi ci spiega innanzitutto il significato della parola “salvezza” nel linguaggio del mondo biblico e cristiano: non solo e non principalmente liberazione dal peccato e dalla conseguente dannazione, ma – in positivo – realizzazione piena e compiuta dei nostri talenti e delle nostre potenzialità umane. Un termine dunque più vicino di quanto non si creda alla nostra sensibilità moderna.
L’autore propone poi alcune alcune coordinate lungo le quali il bisogno di salvezza, comune agli uomini e alle donne di ogni tempo, può oggi declinarsi alla luce degli avvenimenti della nostra epoca: salvezza come risposta alla domanda sul significato della vita; salvezza come recupero della dimensione dell’essere rispetto a quella pervadente, e spesso deludente, del fare; salvezza del mondo naturale, infine, contro i pericoli globali che lo minacciano sempre più da vicino.
La conclusione di Manicardi suona come un appello esigente a cui nessuno di noi – credente, agnostico, ateo – si può ragionevolmente sottrarre: la salvezza (qualunque sia il significato che diamo a questa parola) non è un fatto individuale, ma è frutto di una solidarietà assunta e vissuta in ogni atto della vita quotidiana; richiede di accettare e coltivare una relazione generosa con se stessi, con gli altri, con la natura; e non ci verrà donata – da Dio, dalla scienza, dalla storia – se non come «realtà globale e onnicomprensiva».
Dedichiamo questo passo a tutti coloro che soffrono per la mancanza di senso, e a tutti coloro che – avendolo trovato per se stessi – aiutano gli altri a realizzare, amare e salvare la propria vita.
Salvare: che significa? Normalmente lo intendiamo negativamente come «salvare da», ma etimologicamente significa «rendere forte, sano, compiuto». Implica dunque un’antropologia in cui l’uomo è un essere incompiuto, in fieri, che si sta facendo. La salvezza è ciò cui è finalizzata la venuta di Cristo: è questa «la vita in abbondanza» (Gv 10,10).
Questo significa che salvezza non è solo «da» qualcosa e, in particolare, «dal peccato». Questa è una visione troppo caratterizzata in senso moralistico-giuridico.
Ma noi dobbiamo domandarci: c’è oggi bisogno di salvezza?
Io credo che all’interno di un clima segnato dal sapere scientifico-tecnologico la cui assolutizzazione induce a estendere la categoria della produzione a griglia di lettura di tutta la realtà, financo dell’umano, e a considerare la «salvezza» (qualunque significato si atttribuisca a questo termine) come un ulteriore possibile prodotto dell’uomo, emergono alcune domande che rivelano il bisogno di salvezza che sgorga dalla radicale e insopprimibile povertà dell’uomo e che è in profondità speranza e invocazione di salvezza.
Vi è una domanda di senso, sovente inarticolata, che non giunge a pienezza di coscienza e non viene adeguatamente formulata, ma che è pressante e reale. Essa esprime da un lato una ricerca del significato della vita, di tutta la sfera relazionale in cui si articola l’esistenza personale e dall’altro lato una ricerca di direzione e di orientamento della stessa. All’interno di una società che offre e legittima molteplici modelli di comportamento senza esigere la radicalità di una scelta, si fa strada il bisogno di un riferimento unificante e capace di orientare l’esistenza. E’ ricerca di una radice che salvi dalla atomizzazione e dalla frammentarietà della vita odierna e quindi dalla disgregazione e mancanza di unità dell’io personale. La scena mondana dominata dal protagonismo e dall’apparenza lascia trasparire la mancanza di una cultura della presenza e quindi l’indigenza grande di un tessuto umano sfilacciato tra solitudine e indifferenza, mancanza di ascolto e abbandono a se stessi, individualismo e concorrenzialità.
Un’altra espressione del bisogno di salvezza è il tentativo di recupero della dimensione dell’essere sulla dominante del fare e dell’efficacia a ogni costo. La solidarietà, il darsi per gli altri, esprimono il fatto che l’uomo è bisogno e desiderio infinito, esprimono il suo esistere (ex-sistere) come uscita da sé per comparire di fronte all’altro e ricevere la propria identità nella relazione. Ed è nella sfera delle relazioni che oggi si rivela più che mai il bisogno di salvezza: nella relazione con sé, nell’unità fra corpo e psiche, nel rapporto con gli altri, nel rapporto con la realtà esterna, nel rapporto con Dio.
Infine, un ultimo piano su cui l’uomo di oggi sperimenta il bisogno di salvezza è il senso dell’esistenza minacciata, della precarietà e fragilità del «mondo» stesso. Forse mai come oggi l’uomo ha avuto la coscienza di dipendere da una rete di relazioni economiche, sociali, politiche... che vanno ben al di là di lui e che agiscono come dominanti, come potenze che determinano le scelte umane; mai come oggi ha avuto, grazie ai mass media che sintetizzano in ogni casa gli eventi planetari, la percezione della portata mondiale dei problemi e dei conflitti; mai come oggi il problema nucleare e la crisi ecologica hanno reso l’uomo conscio della limitatezza del proprio mondo e del rischio della catastrofe cui è sottomesso; mai come oggi, forse, l’uomo ha avuto coscienza dell’interdipendenza che lo lega in una comune insicurezza al resto dell’umanità.
Per il credente tutto questo significa un approfondimento del senso del proprio essere creatura, anzi co-creatura inserita in un’organica interrelazione con il proprio habitat che lo rende portatore di una responsabilità nei confronti dell’umanità così come del mondo naturale tutto, animale, vegetale e minerale. Dalle crepe dunque dell’edificio dell’antropocentrismo moderno si fanno luce percezioni della limitatezza, della non autosufficienza e della fallibilità umane che in realtà costituiscono i fondamenti della speranza possibile in quanto aprono alla compassione reciproca escludendo tendenzialmente il dis-inter-esse (il rifiuto cioè ad agire in favore dell’altro, a entrare in relazione e comunione con l’altro).
All’interno della percezione dei propri limiti c’è spazio per una maggiore coscienza della solidarietà nella salvezza, che cioè non si dà salvezza di un singolo o di una parte a discapito del resto, ma che la salvezza o sarà realtà globale e onnicomprensiva o non sarà.
La salvezza non può essere ristretta all’anima dell’individuo, ma è salvezza universale.

Biografia

Luciano Manicardi è nato a Campagnola Emilia (Reggio Emilia) nel 1957. Si è laureato in lettere classiche a Bologna, con una tesi sul Salmo 68. Dal 1981 fa parte della Comunità Monastica di Bose (BI), dove ha continuato gli studi biblici ed è attualmente Maestro dei novizi.
Membro della redazione della rivista “Parola, Spirito e Vita” (Dehoniane, Bologna), svolge attività di collaborazione a diverse riviste di argomento biblico e spirituale, tiene conferenze e predicazioni.
Dal 2008 è membro del Comitato Culturale della Fondazione Alessandra Graziottin.
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