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L'essenza della felicità

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14/11/2018

Tratto da:
Andrea Marcolongo, La misura eroica, Mondadori, 2018

Guida alla lettura

«Eroe, per i Greci, era chi sapeva ascoltarsi, scegliere se stesso nel mondo e accettare la prova chiesta a ogni essere umano: quella di non tradirsi mai. Vittorie e sconfitte non sono affatto il metro dell’eroismo: da millenni eroe è chi decide la sua vita».
In questa frase è racchiuso tutto il senso della “Misura eroica”, della grecista Andrea Marcolongo: l’appello a non restare ancorati in porto, ma a salpare coraggiosamente per il mare della vita – come tanti secoli fa Giasone salpò alla ricerca del vello d’oro. Tre i momenti essenziali per tutti: ascoltarsi, per capire a quale lido siamo chiamati; prepararsi, come ogni coscienzioso marinaio; partire, senza voltarsi indietro, senza “piani B” che ci renderebbero troppo facile la resa al primo momento di difficoltà.
Il libro della Marcolongo merita di essere letto soprattutto a 16-18 anni, quando si entra nella fase cruciale delle scelte fondamentali e condizionanti. E non a caso la scrittrice è stata invitata a parlare da molte scuole lungimiranti, che hanno reso un servizio prezioso e unico ai loro allievi e alle loro allieve. Perché sbagliare scelte a quella età porta tutta la vita su una strada sbagliata, ed è fonte di un infinito, sordo dolore che uccide il cuore e soffoca lo spirito.
Il mito di Giasone e Medea si intreccia nel corso del libro alle riflessioni della scrittrice. La loro vicenda, narrata da Apollonio Rodio nel III secolo avanti Cristo, è il primo romanzo di formazione della letteratura mondiale: incontratisi poco più che ragazzi, tornano in Grecia adulti nel cuore ed eroi, e anche se il mito ci avverte – attraverso il capolavoro di Euripide – che quella storia d’amore conoscerà una tragica fine, noi tutti percepiamo con precisione l’attimo in cui ciascuno dei due fa la sua scelta fondamentale, si mette in gioco senza riserve e persegue con coerenza il proprio obiettivo.
Il brano che abbiamo selezionato ci parla di una parentela etimologica che pochi conoscono: quella tra “felice” e “fecondo”. Essere felici non è stare tranquilli, in disparte, ma è agire, fare, cambiare il mondo intorno a sé, e se stessi con il mondo.
Felice, dal latino felix, deriva dalla stessa radice verbale di fecundus; “fertile”, “produttivo”.
Fecondi non sono solo i campi di grano: fecondi siamo noi, che grazie alla felicità possiamo sorprenderci a compiere gesti o azioni che mai avremmo immaginato.
Essere felici non significa quindi non avere problemi, contrattempi e vivere un imperturbabile stato di quiete – quella si chiama tranquillità, calma, magari relax come nei dépliant dei resort in qualche spiaggia esotica.
La felicità è invece l’opposto: è l’energia di agire, la gioia di fare, la voglia di cambiare – di essere fertili, di veder sbocciare i fiori che siamo.
E l’infelicità è il suo contrario: l’incapacità di muoversi, di scrollarsi di dosso pensieri pesanti, l’impossibilità di fare anche solo un passo oltre.
Essere infelici vuol dire non fare niente, non dire niente, non amare nessuno – rifiutare la fecondità della vita, così imprevedibile di occasioni, e preferire la sterilità, l’assenza di eventi.
L’una è azione, l’altra inazione. L’una è slancio verso l’alto, l’altra affondo verso il basso.

Biografia

Andrea Marcolongo, fiorentina, scrittrice, ha 31 anni e si è laureata in Lettere Antiche all’Università Statale di Milano. Nella sua vita ha viaggiato molto, ed è vissuta in dieci città diverse: ora ha scelto di vivere in Bosnia Erzegovina, a Sarajevo.
Il suo libro di esordio dedicato all’amore per il greco, “La lingua geniale”, con oltre 100.000 copie vendute solo in Italia, è diventato un caso editoriale tradotto in diciassette Paesi. “La misura eroica” ci chiama alla immensa e splendida responsabilità di realizzare i nostri talenti, di essere pienamente noi stessi nel viaggio della vita.
Andrea Marcolongo scrive di libri e di cultura per “La Stampa” e “D di Repubblica”. Alla domanda sul perché abbia scelto di vivere in Bosnia risponde: «Non so perché amo così tanto Sarajevo, ma so che uno sguardo dalle alture del monte Trebevic, da dove non molto tempo fa piovevano bombe e adesso passa il lento percorso della sua rinascita, è un'esperienza indimenticabile».
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