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Il silenzio, essenziale fattore di vita e di comunicazione

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25/09/2013

Tratto da:
Enzo Bianchi, La profezia del silenzio, Avvenire, 29 agosto 2013

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

In questo breve articolo Enzo Bianchi, priore di Bose, riflette sul significato e la portata esistenziale del silenzio: una condizione sempre più rara nel mondo di oggi, e che pure è fondamentale per affrontare in modo consapevole gli eventi della vita personale e di relazione. Solo il silenzio, sottolinea Bianchi, consente infatti un vero ascolto: degli altri, delle situazioni, di se stessi. E dunque solo la capacità di fare silenzio ci permette un corretto discernimento degli avvenimenti, degli scenari che si aprono davanti a noi, e la formulazione di un’opzione libera e costruttiva, che ci appartenga in profondità. Il silenzio, e l’attento l’ascolto che ne deriva, sono allora fattori decisivi quando si tratti di maturare una scelta che cambierà la nostra vita: la scelta di avviare o di chiudere un progetto di coppia, la scelta degli studi e del lavoro, la scelta di fronte ai rischi e ai benefici di una terapia, la scelta di come affrontare un grande dolore, e superarlo, la scelta – per chi crede – di come realizzare nel fluire dei giorni la parola di Dio.
Il silenzio, insomma, è un elemento indispensabile alla comunicazione con gli altri e con se stessi, così come le pause sono essenziali alla musica e alla poesia, e ne costituiscono parte integrante ed eloquente. Si può arrivare a dire che non esiste atto umano davvero consapevole che non sia maturato innanzitutto in un momento di silenzio esteriore e interiore, perché – come dice Bonhoeffer – «nel silenzio è insito un meraviglioso potere di osservazione, di chiarificazione, di concentrazione sulle cose essenziali».
Al silenzio e al suo valore, Roberto Mancini – docente di Ermeneutica Filosofica presso l’Università di Macerata e a lungo collaboratore della nostra Fondazione (riproponiamo in calce alcuni dei suoi articoli) – ha dedicato un testo fondamentale: “Il silenzio via verso la vita” (Edizioni Qiqajon, 2002). In uno dei capitolo iniziali, Mancini osserva: «Il silenzio è esperienza della libertà perché apre lo spazio dell’incontro. Prepararsi al silenzio non è ascetismo, ma affidamento e pratica dell’ospitalità nel duplice senso relazionale del termine. E’ essere ospitati dal silenzio e, nel contempo, ospitarlo in noi. E’ ospitare l’alterità, facendo spazio alle voci, al senso, a chi ci si fa prossimo. A questa libertà ospitale si riferisce la Lettera agli Ebrei quando raccomanda: “Continuate a volervi bene come fratelli. Non dimenticate di ospitare volentieri chi viene da voi. Così facendo alcuni, senza saperlo, hanno accolto degli angeli” (Eb 13,1-2). Nel linguaggio evangelico “angelo” non indica un essere superiore, bensì chi, inatteso, porta il messaggio che è possibile trasformare e rinnovare la nostra vita. Ma questo può accadere solo se siamo raggiunti dal silenzio».

Se nella nostra società «l’uomo è diventato un’appendice del rumore» (Max Picard), si fa sempre più urgente l’esigenza che ciascuno ritrovi la propria umanità attraverso la riscoperta del silenzio e l’apprendimento dell’antichissima arte di “ascoltare il silenzio”. Impresa certo non semplice, se già Eraclito definiva i propri simili come “incapaci di ascoltare e di parlare”: da allora forse abbiamo l’impressione di aver compiuto passi in avanti nella capacità di parlare, ma certo quanto ad ascolto sembriamo tornati indietro di secoli. Abbiamo bisogno di una pedagogia dell’ascolto che può prendere le mosse solo dal silenzio. Sì, “ascoltare il silenzio” può sembrare un ossimoro, invece è la chiave che apre il mondo dell’ascolto autentico e della comprensione di ciò che si sente.
La tradizione spirituale non solo cristiana ha sempre riconosciuto l’essenzialità del silenzio per una vita interiore autentica. «La preghiera – ha detto il Savonarola, che pur di discorsi appassionati ben si intendeva – ha per padre il silenzio e per madre la solitudine». Solo il silenzio, infatti, rende possibile l’ascolto, cioè l’accoglienza in sé non soltanto della parola pronunciata, ma anche della presenza di colui che parla. Il silenzio è linguaggio di amore, di profondità, di presenza all’altro. Del resto, nell’esperienza amorosa il silenzio è spesso linguaggio molto più eloquente, intenso e comunicativo delle parole. Purtroppo oggi il silenzio è raro, è forse la realtà maggiormente assente nelle nostre giornate: siamo bombardati da messaggi sonori e visivi, i rumori ci derubano della nostra interiorità e le parole stesse vengono immiserite dal loro essere urlate, ridotte a slogan o invettive. Ora, «quando diminuisce il prestigio del linguaggio aumenta quello del silenzio» (Susan Sontag). Dobbiamo confessarlo: abbiamo bisogno del silenzio! Ci è necessario da un punto di vista prettamente antropologico, perché l’uomo, che è un essere di relazione, comunica in modo equilibrato e significativo soltanto grazie all’armonico rapporto fra parola e silenzio.
Ma abbiamo bisogno del silenzio anche dal punto di vista spirituale. Per la fede ebraica e cristiana il silenzio è una dimensione teologica: sul monte Oreb, il profeta Elia percepì di essere alla presenza di Dio non nel frastuono di venti, tuoni e terremoto ma solo quando ascoltò «la voce di un silenzio sottile» (1Re 19,12). Ignazio di Antiochia dirà che Cristo è «la Parola che procede dal silenzio». Non si tratta semplicemente dell’astenersi dal parlare o dell’assenza di rumori, ma del silenzio interiore, quella dimensione che ci restituisce a noi stessi, ci pone sul piano dell’essere, di fronte all’essenziale. «Nel silenzio è insito un meraviglioso potere di osservazione, di chiarificazione, di concentrazione sulle cose essenziali» (Dietrich Bonhoeffer). Il silenzio è custode dell’interiorità in quanto ci conduce da una dimensione primaria e “negativa” di sobrietà, disciplina nel parlare o addirittura di astensione da parole, a un livello più profondo, di intensa vita spirituale: cioè al far tacere i pensieri, le immagini, le ribellioni, i giudizi, le mormorazioni che nascono nel cuore. E’ il difficile silenzio interiore, quello che trova il proprio ambito vitale nel cuore, luogo della lotta spirituale. Ma proprio questo silenzio profondo genera l’attenzione, l’accoglienza, l’empatia nei confronti dell’altro.
Il silenzio scava nel nostro profondo uno spazio per farvi abitare l’alterità, per farne risuonare la parola e, al tempo stesso, ci dispone all’ascolto intelligente, al parlare misurato, al discernimento di ciò che brucia nel cuore dell’altro e che è celato nel silenzio da cui nascono le sue parole. Il silenzio, allora, quel silenzio, suscita in noi la carità, l’amore del fratello. «Il silenzioso diventa fonte di grazia per chi ascolta», afferma san Basilio. Per il cristiano, il rimando all’ascolto obbediente della Parola di Dio, all’accoglienza del Verbo fatto carne è evidente ed estremamente eloquente. Non a caso è questo il silenzio che proviene a noi da una lunga storia spirituale: è il silenzio cercato e praticato dagli esicasti per ottenere l'unificazione del cuore, il silenzio della tradizione monastica finalizzato all’accoglienza in sé della parola di Dio, il silenzio della preghiera di adorazione della presenza di Dio. Ma è anche il silenzio caro ai mistici di ogni tradizione religiosa e, ancor prima, è il silenzio di cui è intriso il linguaggio poetico, il silenzio che costituisce la materia stessa della musica, il silenzio essenziale a ogni atto comunicativo. Il silenzio, evento di profondità e di unificazione, rende il corpo eloquente conducendoci ad abitare il nostro corpo, a nutrire la nostra vita interiore, guidandoci a quell’«habitare secum» così prezioso per la tradizione monastica come per quella filosofica. Il corpo abitato dal silenzio diviene rivelazione della persona intera.
Proviamo allora a ricavare nel ritmo del nostro vivere un tempo per ascoltare il silenzio: riusciremo a cogliere gli sforzi compiuti per crearlo e custodirlo, a discernere i suoni impercettibili della presenza di altre creature accanto a noi, a comprendere il non-detto che abita la gran quantità di parole, ad avere intelligenza di quanto accade – cioè, letteralmente, a “leggere dentro” gli eventi – e, finalmente, anche ad ascoltare meglio noi stessi e gli altri quando parlano al nostro cuore e alla nostra mente, e non solo ai nostri orecchi.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
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