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Il giudizio di Dio sul male del mondo

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05/12/2012

Tratto da:
Paolo Ricca, Saremo tutti giudicati da Dio: ma quando?, Riforma, 24 febbraio 2012

Guida alla lettura

Questa documentatissima riflessione di Paolo Ricca, teologo della Chiesa Evangelica Valdese, ci offre un quadro organico di ciò che nella Bibbia, e nei Vangeli in particolare, si intende per “giudizio di Dio”: un giudizio che alcuni pensano individuale, e collocano al termine della vita; altri attendono alla fine dei tempi; altri ancora, sulla falsariga di una formidabile intuizione dell’evangelista Giovanni, percepiscono presente ed efficace qui e ora, in ogni istante dell’esistenza, perché «anche in vita ci troviamo sempre davanti a Dio, e la fede non è altro che questo: vivere davanti a Dio, in vita e in morte».
Se diverse sono le ipotesi su come e quando il giudizio avverrà, i testi fondanti del Cristianesimo sono invece unanimi riguardo al criterio con cui tutti saranno valutati: l’aver speso, o meno, la vita nell’amore. In questo senso, Ricca chiarisce come l’attesa del giudizio si stagli sul problema più generale del male e della sofferenza, e come la fede cristiana – che pure si articola sull’assioma di un Dio-padre sempre pronto a perdonare – non escluda, ma anzi affermi con forza, l’idea di una responsabilità individuale a cui nessuno può venire meno: siamo responsabili della nostra vita, del nostro prossimo e del nostro mondo, e «nulla della vita di ognuno cade nel nulla, tranne ciò che Dio stesso ha voluto dimenticare». Come si vede, pur partendo da una tematica squisitamente religiosa, si approda a una riflessione stimolante anche per chi abbia una visione laica della vita.
Quale sarà l’esito di questo giudizio? Le parole si fermano, perché – come abbiamo più volte sottolineato in questa rubrica – a Dio non si possono applicare automaticamente i parametri della giustizia umana. Certamente, «le opere malvagie saranno svelate e riprovate, gli empi spariranno, le vittime saranno risarcite»: ma il credente sa «il trono della giustizia sarà anche il trono della grazia» e che nessuno potrà essere escluso a priori dal “fuoco” della pietà di Dio.
“Vorrei avere un chiarimento su un dubbio che sinora ho affrontato senza successo. Io penso che ogni persona nel momento della morte si troverà davanti a Dio e verrà da lui giudicata secondo il comportamento avuto durante la vita. Secondo me sarà quello il momento del giudizio. Però mi sembra che il mio pensiero contrasti con le parole che, secondo gli evangeli, Gesù ha detto e cioè che nel momento del suo ritorno ci sarà il giudizio universale. Mi chiedo: i miliardi di persone che saranno vissuti sulla terra fino al momento del ritorno di Gesù aspettano tutti insieme il giudizio universale? Se invece il giudizio di Dio è davvero alla fine di ogni vita, non c’è più motivo di aspettare il ritorno di Cristo sulla terra…”.
B.C., Milano

La domanda è chiara, ma il problema è intricato e la risposta non è facile. Non lo è principalmente per due motivi, che esaminiamo subito brevemente. Il primo è che la questione è ancora più complicata di quello che pensa il nostro lettore. Infatti, secondo l’evangelo di Giovanni, il giudizio finale non avviene né quando moriamo né quando Gesù ritornerà, alla fine della storia umana, ma avviene qui e ora, durante la nostra vita: «Chi crede in lui [nel Figlio di Dio] non è giudicato; chi non crede, è già giudicato» (3,18). È vero che il giudizio qui e ora non cancella quello finale: ci sarà infatti una «risurrezione di giudizio» (5,29), ma questo giudizio finale avverrà sulla base della parola che Gesù ha annunciato qui in terra: «E’ quella parola che lo giudicherà all’ultimo giorno» (12,48), cioè, appunto: il giudizio finale si svolge oggi, secondo la risposta, positiva o negativa, che diamo alla parola annunciata da Gesù.
L’accento, in Giovanni, cade dunque chiaramente sul giudizio qui e ora, che cronologicamente non è finale nel senso che non è l’ultimo, ma il penultimo; sostanzialmente però è già quello finale, perché quello che avverrà alla fine non sarà altro che la conferma definitiva di quello che ha luogo qui e ora. Perciò alla domanda del nostro lettore: «Quando sarò giudicato: alla mia morte o alla fine dei tempi?», l’evangelo di Giovanni risponde: «Né alla tua morte né alla fine dei tempi: il tuo giudizio finale ha luogo, sostanzialmente, oggi!». Ma l’evangelo di Giovanni, per quanto autorevole, non è l’unica voce del Nuovo Testamento sull’argomento, e il secondo motivo per cui non è facile dare una risposta univoca alla domanda del nostro lettore è proprio che la testimonianza biblica complessiva su questo tema non è omogenea, ci sono cioè nella Scrittura stessa posizioni diverse al riguardo. Ecco, a grandi linee, il quadro.
[a] Vi sono dei passi, come la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro (Luca 16,19-31) e la parola di Gesù a uno dei due “ladroni” sulla croce (Luca 23,43), che sembrano indicare che il destino ultraterreno delle persone viene deciso subito dopo la morte: il ricco che non ha neppure visto Lazzaro, e quindi non lo ha soccorso, va direttamente in un luogo di tormento; Lazzaro e il “ladrone” pentito vanno in un luogo di pace e di gioia. Secondo questi passi (e altri che vanno nella stessa direzione: Luca 16,9; Filippesi 1,23; II Corinzi 5,8; Apocalisse 6,9; 7,9-17; 14,3) un giudizio (non è chiaro se provvisorio o definitivo) ha luogo subito dopo la morte, come pensa il nostro lettore.
[b] Ci sono però altri passi in cui si afferma che i morti “nel Signore”, cioè i credenti che muoiono, in realtà “dormono” (Matteo 9,24; Giovanni 11,11; I Corinzi 11,30; I Tessalonicesi 4,13; 5,10). Questo verbo è probabilmente un eufemismo per addolcire la pillola amara della morte. Ma può anche esprimere la convinzione dei primi cristiani che la morte, essendo stata vinta, anzi “distrutta” (II Timoteo 1,10) da Cristo, non può più separare i credenti dalla comunione con il Risorto, nel quale i morti non sono morti (in Cristo non c’è posto per la morte), ma “vivono”, anzi “vivono tutti” (Luca 20,38), sia pure nella condizione particolare di una specie di sonno, in attesa della risurrezione. Secondo questa visione, quando una persona muore, non è giudicata, ma “dorme” fino al risveglio dell’ultimo giorno, «al suono dell’ultima tromba» (I Corinzi 15,52). Tra la morte della persona e il giudizio c’è un intervallo, se così si può dire, caratterizzato come “sonno” in Cristo. Dopo di che verrà la fine e, con essa, il giudizio.
[c] Molti passi del Nuovo Testamento parlano di questo giudizio, descrivendolo come finale e universale. Esso avrà come protagonista Dio (Matteo 18,35; Romani 14,10; I Pietro 1,17; ecc.) oppure Gesù Cristo (Matteo 3,11-12; 7,22-23; 13,41-43; 16,27; 25,31-46; Giovanni 5,22; Romani 2,16; ecc.). Secondo alcuni testi vi svolgeranno un ruolo anche gli angeli (Marco 8,38; II Tessalonicesi 1,7) e gli stessi credenti (I Corinzi 6,2.3). Il “giorno del giudizio” (Matteo 10,15; 12,36; II Pietro 2,9; I Giovanni 4,17; ecc.) e il “giorno del Signore” (I Corinzi 1,8; I Tessalonicesi 5,2; Ebrei 10,25; ecc.) sono la stessa cosa. Sarà un giudizio universale («Tutte le genti saranno riunite davanti a lui [cioè al Figlio dell’uomo]» Matteo 25,32) e individuale («Noi tutti dobbiamo comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione di ciò che ha fatto quando era nel corpo, sia in bene sia in male» II Corinzi 5,10). Secondo questi passi, e molti altri che potrebbero essere citati, il giudizio decisivo che Dio pronuncia sulla nostra vita è appunto quello finale, che si svolgerà al ritorno di Cristo.
Ma su che base saremo giudicati? Il criterio fondamentale del giudizio resta la volontà di Dio: «Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Matteo 7,21). E qual è questa volontà? E’ che l’uomo pratichi la giustizia, ami la misericordia e cammini umilmente con Dio (Michea 6,8) e «in qualunque nazione chi teme Dio e opera giustamente gli è gradito» (Atti 10,35). Ed è che l’uomo creda in Gesù: «Questa è la volontà del Padre mio: che chiunque contempla il Figlio e crede in lui, abbia vita eterna» (Giovanni 6, 40). In sintesi potremmo dire, con l’apostolo Paolo, che il criterio del giudizio di Dio sulla nostra vita è «la fede operante per mezzo dell’amore» (Galati 5,6), essendo però ben consapevoli che né la nostra fede, per quanto sincera, né il nostro amore, per quanto zelante, ci giustificano davanti a Dio, ma solo la sua libera grazia, manifestata nel dono del Figlio e nel perdono della croce.
Da quanto precede risulta che l’opinione del nostro lettore secondo la quale «ogni persona nel momento della morte si troverà davanti a Dio e verrà da lui giudicato secondo il comportamento avuto durante la sua vita» è senz’altro presente nel Nuovo Testamento, e quindi fa parte della fede delle prime comunità cristiane, ma – mi sembra – in posizione minoritaria. La maggior parte dei primi cristiani sembra aver optato piuttosto per l’idea che saremo giudicati alla fine, quando Gesù ritornerà, mentre l’evangelo di Giovanni insiste sul giudizio finale qui e ora, davanti alla rivelazione di Gesù e alla sua Parola. È vero, come dice il nostro lettore, che «ogni persona nel momento della morte ritroverà davanti a Dio», ma anche in vita ci troviamo sempre davanti a Dio e la fede non è altro che questo: vivere davanti a Dio, in vita e in morte. «Dove fuggirò dalla tua presenza? Se salgo in cielo tu vi sei; se scendo nel soggiorno dei morti, eccoti quivi» (Salmo 139,8). Non è che da morti siamo davanti a Dio più di quanto lo siamo da vivi.
Che cosa possiamo dire in conclusione? Possiamo dire alcune cose.
[1] La prima è che la Bibbia unanimemente, Antico e Nuovo Testamento, afferma la realtà del giudizio di Dio, attuale e finale, sul mondo, sull’umanità e su ogni singola persona. Questo è un punto fermo della fede cristiana.
[2] Sui tempi e sui modi in cui questo giudizio è esercitato, ora e alla fine, ci sono nella Bibbia pareri diversi, che non si escludono necessariamente, ma che sono effettivamente diversi. Questo non ci deve stupire, anzi è logico che sia così, perché si tratta di esperienze fuori della nostra attuale portata.
[3] Detto questo, importa soffermarsi non tanto sulle modalità del giudizio quanto sul suo significato, che è triplice. In primo luogo il giudizio finale mette in luce il fatto che l’ultima parola sulla vita dell’uomo e del mondo spetta a Dio, che anche così si rivela come il Signore di tutto e di tutti, e a Gesù che è l’alfa e l’omega, il principio e la fine di tutta la storia e di ogni storia individuale.
In secondo luogo il giudizio finale attesta che dobbiamo rendere conto a Dio della vita che ci ha donato, della volontà che ci ha rivelato, della Parola che ci ha rivolta, della grazia che ci ha comunicato. Siamo responsabili della nostra vita, come lo siamo del nostro prossimo e del nostro mondo. Nella misura in cui siamo credenti, siamo responsabili della fede che professiamo, dell’amore di cui siamo debitori, della speranza che l’evangelo ha acceso in noi, della chiesa di cui siamo membri e della comunità civile nella quale Dio ci ha posti. Essere responsabili significa sapere di dover rispondere: dovremo rispondere a Dio di ciò che abbiamo fatto, o non abbiamo fatto, di tutte queste cose. Nulla della vita di ognuno cade nel nulla, tranne ciò che Dio stesso ha voluto dimenticare (Isaia 43,25).
In terzo luogo il giudizio finale segnala che c’è una giustizia divina rivelata nella sacra Scrittura e specialmente nella croce di Cristo: le opere malvagie saranno svelate e riprovate, gli empi spariranno, le vittime saranno risarcite, Dio giudicherà il mondo (e la chiesa!) con rettitudine. Il trono della giustizia sarà però anche il trono della grazia, e se Dio avrà pietà dell’uomo – di ogni uomo – egli sarà salvo ed entrerà nella vita, ma «come attraverso il fuoco» (I Corinzi 3,15).

Biografia

Paolo Ricca nasce a Torre Pellice (in provincia di Torino) nel 1936. Dopo aver conseguito la maturità classica a Firenze, studia Teologia a Roma, negli Stati Uniti e a Basilea (Svizzera), ove consegue il dottorato con una tesi sull’escatologia del Vangelo secondo Giovanni.
Consacrato pastore della Chiesa valdese nel 1962, esercita il ministero a Forano e a Torino, e segue il Concilio Vaticano II per conto dell’Alleanza Riformata Mondiale. Dal 1976 al 2002 insegna Storia della Chiesa e, per alcuni anni, Teologia Pratica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma.
Membro per quindici anni della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Ginevra), opera in diversi organismi ecumenici ed è per due mandati presidente della Società Biblica in Italia.
Attualmente è professore ospite presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma e dirige la collana “Lutero. Opere scelte” dell’editrice Claudiana di Torino.
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