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Avvento: che cosa attendono i cristiani

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19/12/2012

Enzo Bianchi, Priore di Bose

Guida alla lettura

In questo breve articolo Enzo Bianchi illlustra il vero significato che l’Avvento ha per il cristiano. Troppo spesso inteso come preludio quasi fiabesco del Natale, in una sorta di «ingenua regressione devota», l’Avvento è invece tempo che esprime anche l’attesa del ritorno di Cristo e della fine di questo mondo: quel momento annunciato da tutti i profeti e da Gesù stesso, nel quale «quanti nella storia hanno subito ingiustizia e violenza, misconoscimento e oppressione» saranno riscattati, e i malvagi saranno giudicati nei modi che solo Dio, giusto e misericordioso, conosce.
Un tempo “forte”, dunque, in cui è centrale il concetto del superamento definitivo del male e del dolore; un tempo provvisto di direzione e di orientamento, che educa alla pazienza e alla speranza, ma anche alla ricerca di senso qui e ora, e di una declinazione etica dell’esistenza.
L’Avvento (in latino: arrivo) era in origine era una festa pagana legata all’imperatore e alla vittoria del sole sulla notte, che si celebrava il 25 dicembre, pochi giorni dopo il solstizio d’inverno. Nel corso del IV secolo, la Chiesa assunse entrambi i motivi e li applicò alla venuta del Signore, nuovo sole senza tramonto.
Sin dall’inizio l’Avvento assunse la dimensione fondamentale dell’attesa, nel duplice aspetto natalizio ed escatologico: attesa (simbolica) di Gesù che nasce a Betlemme, e attesa (reale) di Cristo che ritorna alla fine dei tempi. In questo modo l’Avvento esprimeva con grande efficacia la tensione tipicamente cristiana del “già e non ancora”, e suscitava nel credente due atteggiamenti complementari: la gioia per la nascita ormai avvenuta, e l’ascesi vigilante in vista del ritorno definitivo (parusìa).
Il significato dell’Avvento come attesa del ritorno di Cristo andò tuttavia perdendosi sin dal secolo X, lasciando spazio solo all’aspetto emotivo di Gesù bambino che nasce a Betlemme. La riforma liturgica del Concilio Vaticano II ha restituito a questo tempo il suo significato completo, sottolineandone la dimensione escatologica prima del 17 dicembre, e quella della nascita nei giorni successivi: ma, osserva Bianchi, per molti cristiani l’Avvento mantiene rilievo solo in quanto attesa simbolica del Natale, con tutto il suo carico – anche profano – di emozione e di “magia”.
Ben giustificate, e decisive, sono quindi le domande che si pongono al termine del brano: i cristiani non si comportano forse come se Dio fosse «restato alle loro spalle», bimbo che muove a commozione ma tutto sommato irrilevante per l’orientamento della vita? Sanno ancora «cercare Dio nel loro futuro», imprimendo una direzione etica esigente alla propria esistenza? In quanto appello alle risorse del bene, queste domande – una volta spogliate della valenza religiosa – valgono per tutti noi.
Il tempo dell’Avvento è il tempo della memoria, dell’invocazione e dell’attesa della venuta del Signore. Nella nostra professione di fede noi confessiamo: «Si è incarnato, patì sotto Ponzio Pilato, morì e fu sepolto, discese agli inferi, il terzo giorno risuscitò secondo le Scritture, verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti».
La venuta del Signore fa parte integrante del mistero cristiano perché il giorno del Signore è stato annunciato da tutti i profeti e Gesù più volte ha parlato della sua venuta nella gloria quale Figlio dell’Uomo, per porre fine a questo mondo e inaugurare un cielo nuovo e una terra nuova. Tutta la creazione geme e soffre come nelle doglie del parto aspettando la sua trasfigurazione e la manifestazione dei figli di Dio (cf. Romani 8,19 ss.): la venuta del Signore sarà l’esaudimento di questa supplica, di questa invocazione, che a sua volta risponde alla promessa del Signore («Io vengo presto!»: Apocalisse 22,20) e che si unisce alla voce di quanti nella storia hanno subito ingiustizia e violenza, misconoscimento e oppressione, e sono vissuti da poveri, afflitti, pacifici, inermi, affamati… San Basilio ha potuto rispondere così alla domanda «Chi è il cristiano?»: il cristiano è colui che resta vigilante ogni giorno e ogni ora sapendo che il Signore viene.
Ma dobbiamo chiederci: oggi, i cristiani attendono ancora e con convinzione la venuta del Signore? È una domanda che la chiesa deve porsi perché essa è definita da ciò che attende e spera, e inoltre perché oggi in realtà c’è un complotto di silenzio su questo evento posto da Gesù davanti a noi come giudizio innanzitutto misericordioso, ma anche capace di rivelare la giustizia e la verità di ciascuno, come incontro con il Signore nella gloria, come Regno finalmente compiuto nell’eternità. Spesso si ha l’impressione che i cristiani leggano il tempo mondanamente, come un “eternum continuum”, come tempo omogeneo, privo di sorprese e di novità essenziali, un infinito cattivo, un eterno presente in cui possono accadere tante cose, ma non la venuta del Signore Gesù Cristo!
Per molti cristiani l’Avvento non è forse diventato una semplice preparazione al Natale, quasi che si attendesse ancora la venuta di Gesù nella carne della nostra umanità e nella povertà di Betlemme? Ingenua regressione devota che depaupera la speranza cristiana! In verità, il cristiano ha consapevolezza che se non c’è la venuta del Signore nella gloria allora egli è da compiangere più di tutti i miserabili della terra (cf. 1Corinti 15,19, dove si parla della fede nella resurrezione), e se non c’è un futuro caratterizzato dal “novum” che il Signore può instaurare, allora la sequela di Gesù nell’oggi storico diviene insostenibile. Un tempo sprovvisto di direzione e di orientamento, che senso può avere e quali speranze può dischiudere?
L’Avvento è dunque per il cristiano un tempo forte perché in esso, ecclesialmente, cioè in un impegno comune, ci si esercita all’attesa del Signore, alla visione nella fede delle realtà invisibili (cf. 2Corinti 4,18), al rinnovamento della speranza del Regno nella convinzione che oggi noi camminiamo per mezzo della fede e non della visione (cf. 2Corinti 5,6-7) e che la salvezza non è ancora sperimentata come vita non più minacciata dalla morte, dalla malattia, dal pianto, dal peccato. C’è una salvezza portata da Cristo che noi conosciamo nella remissione dei peccati, ma la salvezza piena – nostra, di tutti gli uomini e di tutto l’universo – non è ancora venuta.
Anche per questo l’attesa del cristiano dovrebbe essere un modo di comunione con l’attesa degli ebrei che, come noi, credono nel “giorno del Signore”, nel “giorno della liberazione”, cioè nel “giorno del Messia”.
Davvero l’Avvento ci riporta al cuore del mistero cristiano: la venuta del Signore alla fine dei tempi non è altro, infatti, che l’estensione e la pienezza escatologica delle energie della resurrezione di Cristo.
In questi giorni di Avvento occorre dunque porsi delle domande: noi cristiani non ci comportiamo forse come se Dio fosse restato alle nostre spalle, come se trovassimo Dio solo nel bambino nato a Betlemme? Sappiamo cercare Dio nel nostro futuro avendo nel cuore l’urgenza della venuta di Cristo, come sentinelle impazienti dell’alba? E dobbiamo lasciarci interpellare dal grido più che mai attuale di Teilhard de Chardin: «Cristiani, incaricati di tenere sempre viva la fiamma bruciante del desiderio, che cosa ne abbiamo fatto dell’attesa del Signore?».

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele) e Ostuni (Brindisi).
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2008 è stato invitato, in qualità di “esperto”, alla XII Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi.
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