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A fianco del sofferente: gli errori da non commettere – Seconda parte

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09/03/2011

Tratto da:
Alexandre Jollien, Elogio della debolezza, Edizioni Qiqajon, Monastero di Bose, Magnano (BI), 2001, p. 65-67

Si ringrazia l’editore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Presentiamo oggi la seconda parte del racconto di Alexandre Jollien sui rapporti che medici ed educatori stabilivano con i pazienti nel centro per portatori di handicap di Sierre (Svizzera), ove egli – cerebroleso dalla nascita – visse per 17 anni.
Come già nella prima parte, Jollien rievoca brevemente alcuni esempi negativi di approccio al malato: giudizi fuori luogo, spiegazioni pseudo-psicologiche del dolore, prescrizioni maldestre e a volte grottesche. Ma poi passa a rievocare chi, fra gli educatori, ha davvero saputo svolgere il proprio compito con efficacia e umanità. E qui ci consegna tre riflessioni davvero fondamentali non solo per chi si occupa di accompagnamento e cura, ma anche per le stesse persone colpite dalla malattia invalidante e dall’handicap.
Innanzitutto, Jollien sottolinea come il vero educatore sia colui che ha fiducia nel paziente e nelle sue possibilità, senza la pretesa di padroneggiare e spiegare tutto. L’educatore ideale, quindi, è simile a un filosofo socratico che aiuti il discepolo a portare alla luce potenzialità intorpidite, ma già ben presenti nel profondo della sua personalità. In questo senso – e veniamo alla seconda riflessione – l’educatore ideale non cade nella tentazione di schematizzare la realtà e soprattutto non sostiene teorie astratte, esteriori al soggetto che si trova di fronte: ma imposta il proprio lavoro proprio a partire da quel soggetto che, per quanto sfigurato dalla sofferenza, mantiene il diritto di essere protagonista e punto di riferimento di ogni cammino terapeutico. Da tutto ciò scaturisce infine una terza considerazione, sulla quale forse non si riflette mai abbastanza: grazie a questo tipo di accompagnamento, il paziente prende finalmente coscienza delle sue responsabilità e può dal quel momento intraprendere un cammino reale di crescita personale.
La parola centrale, qui, è “responsabilità”: e Jollien si dimostra straordinariamente coraggioso nel ricordarci che la dignità del malato e dell’handicappato, se germoglia dal valore ontologico di ogni vita, da quell’«a priori» etico che ci fonda e ci precede, fiorisce poi attraverso l’assunzione di quella stessa responsabilità che tutti sono chiamati a discernere e a coltivare nel fluire dei giorni. Contro ogni deriva della com-passione, che crea condivisione fra pari e dunque autonomia, in compatimento che paralizza e inchioda a un destino di minorità, Jollien ribadisce con forza che solo attraverso una radicale accettazione della propria responsabilità-nel-mondo l’handicappato realizza pienamente, e da protagonista, il senso della propria esistenza.
Socrate: Che obiettivi si prefiggevano i tuoi educatori?
Alexandre: Nulla di preciso. Al Centro, il personale mirava più a lenire che a guarire. Trattava i sintomi senza tentare di capirne la causa per sradicarla una volta per tutte. Sul piano medico ho conosciuto un fenomeno analogo. Ho sofferto a lungo di emicranie. Di fronte a questo male, le risposte dei medici divergevano in modo crudele: a sentire uno si trattava di dolori dovuti all’angoscia, per un altro di una patologia cronica... Un giorno, un amico fisioterapista mi massaggiò la nuca, gesto che mi fu di grande sollievo. Questi diagnosticò rapidamente un’ipertensione muscolare provocata da una lettura prolungata. Identificato il male, si poté curarlo in fretta. Questo esempio banale dimostra che un preconcetto può avere conseguenze incresciose. Per incompetenza, pigrizia, ignoranza e altre forme di pregiudizio, medici ed educatori sono causa, come possiamo vedere, di molti torti.
Per tornare agli schedari di cui parlavo, essi rigurgitano di esercizi di stile di ogni tipo. Un educatore, considerato tra i migliori, mi ha permesso una volta di leggerne alcune righe. Vi ho trovato giudizi sui miei genitori, spiegazioni pseudo-psicanalitiche dei miei comportamenti, rapporti medici che si ingegnavano a dichiarare “controindicata” per me la macchina da scrivere. Eppure, a mano, riesco appena a scrivere un nome, praticamente indecifrabile: il mio, e nient’altro.
Socrate: Nessuno reagiva?
Alexandre: Nelle riunioni gli educatori si sforzavano piuttosto di convincersi reciprocamente della propria abnegazione e onestà... Da allora ho sempre diffidato di simili riunioni, di quei colloqui in cui ciascuno avanza la propria interpretazione... Non dedurne che io nutra un risentimento viscerale nei confronti degli educatori. Gli devo molto. Grazie ad alcuni di loro ho imparato a camminare, ad allacciarmi i pantaloni... Ma la loro incompetenza o la loro sufficienza mi hanno procurato molti torti.
Socrate: Descrivimi un po’ gli educatori che ti hanno aiutato, quelli che hai apprezzato! Potrò così avere un’opinione più completa, più neutra.
Alexandre: Ci volevano bene. Avevano fiducia in noi, nelle nostre possibilità. Senza pretese di padroneggiare tutto, coscienti che molti elementi sfuggivano loro, si mostravano modesti. Più pragmatici degli altri, non riducevano la realtà a schemi vuoti, a futili teorie. Si comportavano come filosofi, lasciandosi guidare dalla realtà, cercando molto semplicemente di capirci, ma nel miglior modo possibile.
Socrate: Sii più concreto.
Alexandre: Matthieu, per esempio, un carpentiere riciclato come educatore, gestiva i problemi con semplicità. Da uomo pratico affrontava le difficoltà una alla volta. Con lui le riunioni, rapide e ben fatte, davano frutti. Il suo metodo si avvicinava un po’ al tuo. Matthieu aveva una visione originale dell’educazione. Accordandoci fiducia, ci invitava a scoprire le nostre illusioni, le nostre inclinazioni, le nostre debolezze. Come te, riteneva che ciascuno avesse in sé le soluzioni e che si trattasse semplicemente di portarle alla luce. Matthieu non sosteneva una teoria astratta, esteriore al soggetto: ridestava in noi un sapere, delle potenzialità intorpidite.
Socrate: Ecco una bella definizione dell’educatore.
Alexandre: Credo di sì... Una persona che aiuta a partorire, che interroga, che ridesta le capacità sepolte da ostacoli diversi. Questo modo di procedere richiede una fiducia assoluta nell’uomo, ma anche umiltà, umiltà che permette di mantenere le distanze, di non giudicare l’altro, di prendere coscienza che l’altro resterà sempre un individuo irriducibile, che non può essere totalmente sottomesso, analizzato, capito.
Socrate: Concretamente, questo modo di fare cosa ti ha dato?
Alexandre: Matthieu è restato con noi solo un anno, ma i progressi compiuti con lui hanno superato tutto il lavoro svolto in precedenza: al suo fianco prendevo finalmente coscienza della mia responsabilità. Da quel momento potevo intraprendere, in collaborazione con l’educatore, la mia crescita personale.

Biografia

Alexandre Jollien nasce nel 1975 a Sierre, in Svizzera, nei pressi di Lausanne. Soffocato dal cordone ombelicale, nasce affetto da atetosi, una sindrome neurologica caratterizzata da movimenti lenti, irregolari, continui, soprattutto della faccia e delle estremità degli arti. A tre anni viene ricoverato in un centro specializzato, ove rimarrà per diciassette anni. Nonostante il grave handicap, nel 1993 si iscrive a un istituto commerciale. Colpito da un passo di Platone sul senso della vita, si iscrive prima al Lycée-Collège de la Planta, a Sion, e poi all’Università di Friburgo, ove nel 2004 si laurea in Lettere e Filosofia con una tesi sulla terapia dell’anima nel “De consolatione philosophiae” di Boezio (V-VI secolo d.C.) Precedentemente, dal 2001 al 2002, aveva studiato greco antico al Trinity College di Dublino.
Scrittore di successo, ha pubblicato sinora quattro libri: Elogio della debolezza (1999), Il mestiere di uomo (2002), La costruzione del sé (2006) e Il filosofo nudo (2010). L’audiolibro “Alexandre Jollien, la filosofia della gioia” (2008), è una raccolta di interventi radiofonici e conferenze, curata da Bernard Campan.
Nella prefazione all’edizione italiana di “Il mestiere di uomo” (Edizioni Qiqajon, 2003), Guido Dotti scrive: «Esperto di pesi che condivisi diventano leggeri, Jollien assimila la sofferenza all’arte di cavarsela: nessuna accettazione della sofferenza in sé, nessun autocompiacimento masochista, ma la consapevolezza, maturata sulla propria pelle, che solo l’affrontare le difficoltà a viso aperto, il non sottrarsi alle sfide che la vita quotidiana non cessa mai di porre, permette di venirne fuori, magari feriti e doloranti, ma arricchiti di una capacità di compassione e di solidarietà con chi continua a dibattersi nella lotta. Davvero, come aveva luminosamente intuito il poeta Robert Frost, di fronte a ogni difficoltà, a ogni momento buio, a ogni enigma incomprensibile alla ragione, “la miglior via di uscita è sempre passarci in mezzo”: nessuna scappatoia, ma l’assunzione della fatica di vivere con la sola certezza che “tutto è da costruire con leggerezza e gioia”...».
Sposato con Corine, conosciuta a Dublino durante un periodo di studio, Alexandre ha due figli: Victorine, nata nel 2004, e Augustin, nato nel 2006. «Oggi – afferma nel suo sito – tento di vivere a fondo le tre vocazioni che la vita mi ha donato: padre di famiglia, persona handicappata e scrittore».

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