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"Quando i giorni sono cattivi" (Ef 5,16): lettura biblico-sapienziale della crisi – Seconda parte

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09/12/2009

Luciano Manicardi
Monaco di Bose

Relazione presentata al Convegno delle Caritas decanali dell’Arcidiocesi di Milano, Triuggio (MI), 12-13 settembre 2009

Guida alla lettura

Prosegue la meditazione di Luciano Manicardi sul significato esistenziale della crisi, sull’importanza di assumerla come occasione di crescita (a livello individuale e sociale), e su come la Bibbia sappia insegnarci qualcosa di prezioso anche nei momenti più drammatici della nostra esistenza.
In questa seconda, densissima parte, Manicardi inizia ad illustrare il rapporto fra crisi e parola di Dio alla luce di diversi passi biblici: al di là del dato di fede, che certamente qualifica in modo particolare il rapporto fra il credente e la Scrittura, emerge in modo netto come la sapienza che ha ispirato questi antichissimi libri possa dire qualcosa di valido anche ai laici di oggi, anche a chi pone alla base del proprio agire etico un sistema di valori immanente, ossia risultante da una ricerca esclusivamente umana del giusto e del vero.
Quando i giorni sono “cattivi”, dice la Bibbia, è importante non arrendersi alla prepotenza del male, né cedere alla tentazione del disimpegno o della “cultura del lamento”, ma saper dire di no alle logiche dominanti, salvaguardando il “sì” grande e non negoziabile ai diritti dei più deboli: un atteggiamento di resistenza che però non deve diventare violenza di segno opposto, ma assunzione lucida delle proprie responsabilità, nella consapevolezza che il tempo opportuno per l’azione, il tempo-kairós, è quello in cui viviamo, che «non abbiamo altro tempo che questo, che questo e non altro è il tempo che ci è donato per vivere la nostra umanità».
Ma tempo di crisi, per la Bibbia, è anche quello in cui la parola di Dio è rara, o difficilmente udibile, per l’assenza di guide autorevoli e credibili, e la rovina finisce così per devastare «non solo gli assetti sociali, ma anche le coscienze»: un richiamo più che mai attuale per tutti, in questo nostro tempo di declino. La crisi, sottolinea Manicardi, è sempre anche crisi di leadership: è invece indispensabile, soprattutto nei momenti più difficili, poter contare su figure capaci di non nascondere la verità, capaci di dire «che il male è male, e che le cose vanno male», senza diffondere «un ottimismo che è solo incoscienza e irresponsabilità».
La crisi oggi alla luce della Bibbia: “I giorni sono cattivi”
La Bibbia, tanto nella letteratura profetica (Mi 2,3) quanto nel Nuovo Testamento (Ef 5,16) parla di giorni o tempi cattivi per indicare tempi di crisi. Scrive l’autore della lettera agli Efesini: “Fate molta attenzione al vostro modo di vivere, comportandovi non da stolti ma da sapienti, facendo tesoro del tempo perché i giorni sono cattivi. Non siate sconsiderati, ma cercate di discernere qual è la volontà del Signore” (Ef 5,16-17). “I giorni cattivi” è espressione metonimica che si può svolgere così: in questi tempi c’è molta cattiveria, c’è una diffusa e arrogante presenza del male. La cattiveria viene sbandierata, nemmeno più celata, viene perfino invocata nelle parole folli degli uomini che rendono cattivi i giorni: sono i giorni in cui dominano persone e gruppi e lobby dichiaratamente arroganti, cattive, manipolatorie. Il termine “cattivi” (in greco, poneraí) indica anche pesantezza, difficoltà, sofferenza: si tratta di tempi che fanno soffrire i credenti. Ebbene, da questo, per la lettera agli Efesini, non discende nessun invito alla fuga o al disimpegno, ma a impegnarsi andando contro corrente, a impegnarsi assumendo la forma e la mentalità di colui che resiste, del resistente. È ora che si sappia declinare nell’oggi la fede come resistenza, capacità di dire “no” per salvaguardare il “sì” grande e non negoziabile al vangelo e ai diritti dei poveri. Il tempo della crisi è anche il tempo dell’azione responsabile dei credenti che vedono i malvagi all’opera, sanno dare il nome alle opere dei malvagi e vi sanno opporre la loro resistenza, cioè la loro azione responsabile. Nel brano di Efesini per tre volte ricorre l’opposizione “non... ma” (Ef 5,16.17.18), che indica l’opposizione del cristiano alla mondanità, ai modi della mondanità per quanto possano apparire vincenti. C’è una maniera di vittoria mondana che, se assunta dalla chiesa, diviene irreparabile sconfitta. Guai a lasciarsi impressionare o intimidire dalla follia del mondo e dalla follia che entra e contagia la chiesa, ma occorre uno sforzo di discernimento per lasciarsi guidare da ciò che piace al Signore, dal vangelo. Occorre più che mai vigilare, essere attenti, lucidi, critici. Infatti, dice Efesini, il tempo della crisi è occasione per apprendere e manifestare la sapienza cristiana. Tema di questi versetti è vivere con sapienza. I giorni cattivi sono occasione per vivere il kairós, il momento presente, e viverlo manifestando la differenza cristiana. Che significa l’espressione “far tesoro del tempo” o, come a volte si traduce, “riscattare il tempo”? Anzitutto significa che non abbiamo altro tempo che questo, che questo e non altro è il tempo che ci è donato per vivere la nostra umanità e la nostra fede. Si tratta dunque di uscire, in modo risoluto, responsabile, dalla cultura del lamento, sempre subalterna, e mostrare che la cattiveria dei tempi non ha l’ultima parola non contrapponendovi una cattiveria di segno opposto, ma una prassi ispirata alla differenza cristiana, al vangelo, alla volontà di Dio. Infatti, anche nei momenti di crisi si palesa la “volontà del Signore” (v. 17). I due possibili significati del verbo greco exagorázesthai, “far tesoro” e “riscattare”, possono così convivere. Si tratta di far tesoro dell’oggi, del tempo presente, di essere aderenti all’oggi per vivere in modo evangelico anche il momento in cui imperversa la malvagità. E si tratta di riscattare il tempo, dandovi un senso positivo, cogliendolo come occasione di verità e di discernimento della volontà di Dio.

“La parola di Dio è rara”
L’espressione, desunta da 1Sam 3,1, indica tempi in cui non vi sono uomini che facciano risuonare la parola di Dio. Nell’episodio di 1Sam 3 (la vocazione di Samuele) il sacerdote Eli mostra di essere non solo cieco, ma anche un po’ sordo alla parola di Dio e dunque non dotato di discernimento. “La parola del Signore era rara in quei giorni, le visioni non erano frequenti” (1Sam 3,1). La rarità delle visioni indica che manca chi sappia vedere il mondo e gli eventi alla luce della parola di Dio ed esprimere una lettura di fede di ciò che si sta vivendo. In questi tempi il popolo rischia di morire per assenza di nutrimento spirituale: anche Amos denuncia il momento in cui nel popolo di Dio si diffonde la fame non di pane, ma di ascoltare la parola di Dio (cf. Am 8,11-12). I profeti più volte denunciano e anche Gesù deve rilevare che i tempi di crisi sono tempi in cui il popolo è senza pastore (Mc 6,34; cf. Nm 27,17; 1Re 22,17; Gdt 11,19). Manca nel popolo di Dio una guida, e questo è un elemento di grave confusione e smarrimento del gregge. Sì, nelle situazioni di crisi, la Bibbia ha il coraggio di indicare il male interno al popolo di Dio, alla chiesa, e di non limitarsi ad accusare situazioni esterne. E la Bibbia ha il coraggio di denunciare il tradimento dei pastori. Ezechiele denuncia i pastori “che pascono se stessi”, che si servono del gregge invece di servirlo; Michea si scaglia contro “i profeti che fanno traviare il popolo, che annunciano la pace se hanno qualcosa tra i denti da mordere, ma a chi non mette loro niente in bocca dichiarano la guerra” (Mi 3,5); Geremia usa parole di fuoco contro profeti e sacerdoti che “curano alla leggera la ferita del mio popolo dicendo: ‘pace’, ma pace non c’è” (Ger 6,14). La simbolica medica, che abbiamo visto essere importante per la nozione di crisi, qui è presente e denuncia coloro che pur di non scomodare gli assetti stabiliti del potere nascondono la verità e non parlano di crisi, anzi dicono che crisi non c’è, e va tutto bene diffondendo un ottimismo che è solo incoscienza e irresponsabilità. Qui appare la crisi come responsabilità. Ovvero, la parola profetica è capace di dire che il male è male, e che le cose vanno male senza edulcorare o banalizzare la situazione. Ma la crisi è anche crisi di leadership del popolo: crisi di credibilità dei governanti, crisi di capacità di leadership anche nella chiesa. La corruzione dei governanti, le invettive contro la loro vita lussuosa (“demolirò – dice il Signore – la casa d’inverno e la residenza estiva, andranno in rovina le case d’avorio e scompariranno i grandi palazzi”: Am 3,15), le parole feroci e satiriche contro le abitudini dissolute dei governanti (“Distesi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani mangiano gli agnelli del gregge... canterellano al suono dell’arpa, si pareggiano a David negli strumenti musicali, si ungono degli unguenti più raffinati, ma della rovina di Giacobbe non si preoccupano”: cf. Am 6,4-6), sono pane quotidiano dei profeti chiamati a preoccuparsi invece della rovina del popolo, della crisi che sta devastando non solo gli assetti sociali, ma anche le coscienze (cf. ancora: Is 56,10-57,2; Ger 23,1; 50,6; Ez 34,1-31; Zc 10,3; 11,5.16.17). Il profeta autentico è proprio colui che sa guardare e denunciare il tragico dell’esistenza, mentre è esattamente il rifiuto di vederlo che conduce alla catastrofe.

Biografia

Luciano Manicardi è nato a Campagnola Emilia (Reggio Emilia) nel 1957. Si è laureato in lettere classiche a Bologna, con una tesi sul Salmo 68. Dal 1981 fa parte della Comunità Monastica di Bose (BI), dove ha continuato gli studi biblici ed è attualmente Maestro dei novizi e, dal 2009, Vice Priore.
Membro della redazione della rivista “Parola, Spirito e Vita” (Dehoniane, Bologna), svolge attività di collaborazione a diverse riviste di argomento biblico e spirituale, tiene conferenze e predicazioni.
Dal 2008 è membro del Comitato Culturale della Fondazione Alessandra Graziottin.

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