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Vivere in pienezza e morire senza soffrire: un fondamentale diritto della soggettività

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Vivere in pienezza e morire senza soffrire: un fondamentale diritto della soggettività
22/12/2021

Tratto da:
Enzo Bianchi, Una scelta da rispettare, La Repubblica, 29 novembre 2021

Guida alla lettura

Nei giorni in cui un Parlamento distratto discute (e sembra voler affossare) la legge sul fine vita, la riflessione di Enzo Bianchi ci propone uno sguardo altro rispetto alle normali prese di posizione della chiesa di cui pure è membro attivo: il desiderio di morire a fronte di sofferenze inumane e senza speranza va accolto con compassione, nella consapevolezza che ognuno di noi «ha il diritto di essere riconosciuto come soggetto della propria vita, fino alla fine» e che la vita «non è soltanto una vita determinata da parametri biologici».
L’analisi di Bianchi non va oltre la considerazione dell’eutanasia come «astensione dalle cure e, a volte, dalla nutrizione»: nessun accenno, perlomeno esplicito, al suicidio assistito. E parte da un presupposto, quello della vita come dono di Dio, valido solo per i credenti. Ma afferma un’etica dell’ascolto che, rispetto alle posizioni ufficiali della gerarchia cattolica, ricorda quanto Gesù ebbe a dire a proposito di scribi e farisei: «Legano pesanti fardelli e li impongono sulle spalle della gente, ma loro non vogliono muoverli neppure con un dito» (Mt, 23,4).
In una vibrante riflessione Dietrich Bonhoeffer, teologo protestante giustiziato dai nazisti il 9 aprile 1945, pochi giorni prima della resa del Terzo Reich, chiedeva: «E’ mai possibile che il cristianesimo, iniziato in modo così rivoluzionario, ora sia per sempre conservatore? Che ogni nuovo movimento debba aprirsi la strada senza la Chiesa, e che la Chiesa intuisca sempre con un minimo di venti anni di ritardo ciò che è effettivamente accaduto?». Riportando all’oggi le sue parole, sembra totalmente fuorviante affermare, come spesso si legge anche in comunicati ufficiali, che la legittimazione del suicidio assistito apra la strada a pratiche incontrollate di eutanasia nei confronti di anziani, disabili, poveri: come se il tema del dibattito non fosse la necessità di consentire, laicamente e a chi lo richieda per sé, di porre fine a una vita ormai svuotata di senso, ma la strutturazione di un regime dalle oscure mire eugenetiche. La posizione di Bianchi è distantissima da queste distorsioni ideologiche, e ancora una volta ne illumina la figura di autentica guida spirituale del nostro tempo.
Nella consapevolezza che «ogni vicenda umana ha un tragitto differente», e che la libertà di scelta spetta più che mai a ciascuno di noi, corrediamo il testo di Enzo Bianchi con rimandi a testi che, in questi anni di cammino insieme, hanno focalizzato questioni, punti di vista, soluzioni: la tematica è di importanza decisiva per il futuro della nostra società, e richiede ampiezza di visione, capacità di empatia, statura etica e culturale, competenza giuridica, coraggio politico. Ne saremo capaci?

La parola dell'autore

Alcune volte, accanto al letto di un malato grave, terminale o senza possibilità di guarigione, accanto a una persona devastata dalla sofferenza fisica e psichica, ho ascoltato questo gemito, questa invocazione: «Io amo la vita, non ho mai desiderato morire perché vivo l’amore e ricevo amore. Ma il male, il dolore, è troppo forte, e non ce la faccio più a vivere così!». Non è raro sentire parole del genere, e non si possono ascoltare senza sentire il proprio cuore andare in frantumi, senza provare una profonda pietà. E quando a queste parole si aggiunge la richiesta: «Aiutatemi a morire! Fatemi morire!», allora il turbamento mi invade, mi scuote, desta in me anche una rivolta nei confronti della nostra condizione umana.
Come cristiano, non ho certezze ma ho delle convinzioni che mi vengono dalla fede nelle parole di Gesù. Sono convinto che la vita è un dono di Dio, che sono nato non per caso né per necessità, ma perché nel suo amore e nella sua libertà Dio mi ha voluto e pensato come tutti gli altri esseri umani, che lui ha voluto per avere qualcuno di fronte a sé con cui entrare in comunione e al quale offrire i suoi doni. E se la vita è un suo dono, sono convinto che a lui devo ridarla, affidarla puntualmente venuta l’ora della mia morte, perché la vita umana è una vita a termine. Ho sempre cercato di introiettare il senso del limite che mi porta a riconoscere la mia fragilità e la mia precarietà e mi libera da ogni sentimento di onnipotenza sulla vita e sulla morte. Per questo, spero di poter vivere la mia morte dicendo un “Amen” nella pace, ma confesso anche la paura per la possibilità di una morte tra sofferenze fisiche e psicologiche.
Di fronte dunque alle situazioni che oggi riguardano molti altri, situazioni nelle quali il fine vita può conoscere accanimenti terapeutici, cure palliative o azioni di eutanasia, il mio primo sentimento è quello di una grande compassione che non mi permette di giudicare, ma mi induce a rispettare le scelte operate dalla coscienza del malato e di quelli che il malato ha voluto coinvolgere nella sua decisione. E non solo provo rispetto, ma anche vorrei offrire l’accompagnamento con gli strumenti umani e cristiani che ho e che il malato richiede e accetta. Ogni esistenza è diversa, ogni vicenda umana ha un tragitto differente, e non possiamo in astratto indicare soluzioni. L’eutanasia, intesa in senso stretto come il procurare la morte a una persona che la richiede, è un’azione contro la vita perché il diritto a esistere è il diritto fondamentale della persona, fondamento di tutti gli altri diritti. Ma resta vero che tra cure palliative assolutamente necessarie (per ora però ancora poco diffuse in Italia) e che possono avere come effetto secondario l’accelerazione della morte, e l’eutanasia come astensione dalle cure e, a volte, dalla nutrizione c’è una zona grigia non leggibile in modo manicheo.
In ogni caso, ognuno di noi, in quanto persona degna di essere rispettata, ha il diritto di essere riconosciuto come soggetto della propria vita, fino alla fine. Ognuno di noi è una persona con relazioni, affetti, desideri, non è soltanto una vita determinata da parametri biologici. E la qualità della vita non è riducibile alla quantità dei giorni!
Cristiani e non cristiani siamo fratelli e sorelle soprattutto in questo esito della nostra vita, la morte, che dobbiamo vivere il più possibile nella pace e nella relazione con chi amiamo, non abbruttiti dal dolore, sfigurati dalla malattia e in modo indegno. Non contrapponiamoci sempre con toni perentori che non lasciano posto all’ascolto, alla riflessione, alla pietà. Lo sappiamo: tutti noi vogliamo vivere, ma anche vivere la nostra morte.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. E’ stato priore dalla fondazione del monastero sino al 25 gennaio 2017: gli è succeduto Luciano Manicardi.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

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