Guida alla lettura
In questa biografia-sogno, Élisabeth dissemina però anche brevi annotazioni che delineano un proprio autoritratto: «Le era parso impossibile – scrive René de Ceccatty nella prefazione al volume – limitarsi alla tragedia della scrittrice morta in deportazione senza evocare il destino di una bambina, che sarebbe diventata Élisabeth Gille… Questo discreto contrappunto è tutt’altro che un artificio letterario. Perché Élisabeth, prendendo la penna al posto della madre, voleva in cambio guardarsi come se fosse un’altra. Stava diventando più prossima alla madre che a se stessa».
Il brano che proponiamo è uno di questi brevissimi quadri che Élisabeth dedica alla propria storia. Nel 1956, la fanciulla ormai diciannovenne – ma che significativamente si descrive come “bambina” – assiste alla proiezione di “Notte e nebbia”, un documentario sulla Shoah realizzato nel 1955 dal regista francese Alain Resnais. Prima di allora, rivela, non aveva voluto sapere nulla della tragedia del popolo ebraico e della sua famiglia, ed esce sconvolta dalla sala di proiezione. L’assale il ricordo dei genitori uccisi, e delle tante volte in cui le era parso di ravvisarne i lineamenti sui volti di persone sconosciute, incontrate per caso.
Tre i punti di tensione che spiccano con enorme forza nella brevità delle frasi sapientemente cesellate: la lunga e silenziosa attesa dei genitori perduti, mai confidata neppure all’amatissima sorella; lo sgomento che spezza ogni illusione («Ebbene no, non ritorneranno»); l’immagine dei poveri resti confusi con innumerevoli altri, dispersi nell’infinito grigio paesaggio di quei luoghi di morte.
Il libro, conclude Giovanni Bogliolo, termina alla vigilia della deportazione: «Quello che è successo a partire dal giorno dopo – l’arresto, la deportazione, la morte – nessuno, tantomeno una figlia, può narrarlo in prima persona».
Accecata dalle lacrime, la bambina esce dal cinema dove, per un colpo di testa, è entrata da sola a vedere “Notte e nebbia”. E’ la prima volta che cede. Finora si è ostinata a non voler sapere niente. Per quattordici anni, senza dire nulla a nessuno, nemmeno alla sorella, ha aspettato i genitori. Un giorno, ha creduto di riconoscere la madre in una strada soleggiata. Un’altra volta, la sagoma del padre le è apparsa in mezzo a una folla russa, in un documentario. Non si parlava forse di deportati dispersi nell’Est? Ha occultato nella sua memoria persino il ricordo dei loro volti, ma li ha aspettati. Ebbene no, non ritorneranno. I capelli della madre, ricci come i suoi, stanno forse lì, in quella grigia pianura. Le ossa del padre sono state spalate e gettate, con migliaia di altre, in quella fossa comune.
Biografia
Nel 1926 la giovane sposa Michel Epstein, un ingegnere russo divenuto banchiere: dal matrimonio nascono Denise, nel 1929, ed Élisabeth, nel 1937.
Nel 1939, allo scoppio del conflitto, Irène e Michel mandano le figlie a Issy-l'Évèque, presso la famiglia di Cécile Michaud, la governante delle bambine. Nel 1940, si convertono al cattolicesimo. Colpiti dalle leggi antisemite varate nell’ottobre del 1940, perdono il lavoro. Nella primavera del 1941 raggiungono le bambine a Issy-l'Évêque.
Il 12 luglio 1942 Irène viene arrestata e deportata ad Auschwitz. Il marito la crede in un campo di lavoro e tenta tutto il possibile per aiutarla, offrendosi al suo posto, ma la donna muore di tifo il 19 agosto. In ottobre, Michel e le bambine vengono fermati dalla polizia. Un ufficiale rivede nei lineamenti di Denise quelli della propria figlia e concede alle piccole qualche ora per fuggire. Michel invece viene arrestato: affida alle figlie una valigia, in cui sono racchiusi alcuni manoscritti di Irène, fra cui l’incompiuto “Suite francese”. Dopo una breve detenzione in Francia, anche lui viene trasferito ad Auschwitz: subito dopo l’arrivo, viene ucciso in una camera a gas.
Dopo la Liberazione, Denise ed Élisabeth si recano ogni giorno alla stazione ferroviaria, nella speranza di rivedere i genitori tra i sopravvissuti di ritorno dai campi di sterminio. Per anni, come racconta Élisabeth in “Mirador”, crederanno di riconoscere nei lineamenti dei passanti quelli dei genitori per sempre perduti.
Rifiutate dalla nonna materna, le sorelline vengono cresciute dalla fedele governante. Ormai adulta, Élisabeth diviene scrittrice, traduttrice e responsabile editoriale di importanti case editrici: Denoël, Flammarion, Julliard, Rivages. Nel 1992 pubblica “Mirador”, la biografia-sogno della madre. Pochi mesi dopo è colpita da un tumore. Nel 1994 pubblica “Le Crabe sur la banquette arrière”, una pièce teatrale colma di ironia sulla vita quotidiana dei malati di cancro e sui comportamenti impacciati di parenti, amici e colleghi. Segue, nel 1996, “Un paysage de cendres”, la vicenda di due bambine che attraversano la guerra sopravvivendo alla violenza e alle devastazioni dell’anima.
Élisabeth muore il 30 settembre 1996. Esattamente quattro anni dopo, esce “Suite francese”, il romanzo incompiuto e postumo di sua madre Irène.
Liberamente tratta dalla “Biografia cronologica di Irène Némirovsky ed Élisabeth Gille”, di Cinzia Bigliosi. In: Élisabeth Gille, “Mirador. Irène Némirovsky, mia madre”, Fazi Editore, Roma 2011, p. 355-359.