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Sola in un mondo inospitale: le radici di un'autentica autonomia interiore

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29/05/2013

Tratto da:
Etty Hillesum, Diario 1941-1943, a cura di J. G. Gaarlandt, Adelphi, Milano 1985, p. 68

Guida alla lettura

In questo brano del suo diario Etty Hillesum, giovane ebrea olandese morta ad Auschwitz, parla dell’autonomia interiore (nell’esigente senso etimologico di “essere norma di se stessi”) come di una condizione acquisita a caro prezzo e a partire da un triste dato di realtà: nei momenti più cupi della nostra vita, non esiste nessuno che possa davvero darci aiuto o appoggio o rifugio. E questo non per cattiveria o insensibilità, ma perché «gli altri sono altrettanto insicuri, deboli e indifesi». Ne derivano due corollari che informeranno tutta la sua intensa e breve esistenza: siamo tutti soli in un mondo inospitale; al tempo stesso, la vita non ci chiama alla fuga o all’isolamento, ma alla responsabilità e all’etica della solidarietà.
Animata da queste istanze solo apparentemente contraddittorie, Etty sviluppò le due fondamentali direttrici della sua vita: un rapporto particolarissimo con Dio, intimo e confidente, estraneo ad ogni forma di dogma e ritualità; e un’azione generosa e incessante nei confronti degli altri, che verrà definita “altruismo radicale” ed è ben espressa dalle parole con cui si chiude il diario: «Si vorrebbe essere un balsamo per molte ferite».
J. A. Gaarlandt, curatore del diario, osserva che, nell’Europa sconvolta dalla guerra e dallo sterminio, Etty Hillesum scrisse il “contro-dramma” della sua liberazione individuale: «La vita di Etty sta tutta tra le parole che annotò giovedì 10 novembre 1941: “Paura di vivere su tutta la linea. Cedimento completo. Mancanza di fiducia in me stessa. Repulsione. Paura”, e le parole di venerdì 3 luglio 1942: “Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so. Non darò fastidio con le mie paure, non sarò amareggiata se gli altri non capiranno cos’è in gioco per noi ebrei. Una sicurezza non sarà corrosa o indebolita dall’altra. Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato”» (Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi, 1985, pag. 11-12).
Paura di vivere, mancanza di fiducia. Pur nell’enorme diversità di situazione, sono gli stessi sentimenti di tante donne e tanti uomini di oggi, giovani e meno giovani. Etty ci insegna che ce la possiamo fare. Dedichiamo le sue parole forti e commoventi a tutto coloro che, nel pieno di una grave crisi di valori e di certezze, rischiano ogni giorno di cedere al gorgo del disincanto e della disperazione.
21 ottobre 1941
La nascita di un’autentica autonomia interiore è un lungo e doloroso processo: è la presa di coscienza che per te non esiste alcun aiuto o appoggio o rifugio presso gli altri, mai. Che gli altri sono altrettanto insicuri, deboli e indifesi. Che tu dovrai esser sempre la persona più forte... Sei sempre e da capo rimandata a te stessa. Non c’è niente altro, il resto è finzione. Ma doverlo riconoscere, ogni volta! Soprattutto come donna. Hai pur sempre un gran desiderio di perderti in un altro. Ma anche questa è una favola, seppur bella. Due vite non possono combaciare. Per lo meno non per me. Può succedere in alcuni momenti: ma quei momenti giustificano una vita comune, possono tenerla insieme? Però è un sentimento forte anche quello, talora felice. Sola, Dio mio. E’ dura. Perché il mondo è inospitale… E quando, a ventisette anni, si arriva a “verità” così dure, ci si sente a volte disperati, soli e impauriti, ma anche indipendenti e orgogliosi. Sono affidata a me stessa e dovrò cavarmela da sola. L’unica norma che hai sei tu stessa, lo ripeto sempre. E l’unica responsabilità che puoi assumerti nella vita è la tua. Ma devi assumertela pienamente.

Biografia

Della vita di Etty Hillesum prima della guerra sappiamo ben poco. Esther – questo il suo nome anagrafico – era nata il 15 gennaio 1914 a Middelburg, nei Paesi Bassi, ove il padre Levi insegnava lingue classiche. Dopo essersi trasferiti prima a Tiel e poi a Winschoten, nel 1924 gli Hillesum si stabilirono a Deventer, una cittadina dell’Olanda orientale situata lungo il corso del fiume Ijssel. Là Hillesum diventò vicepreside e, quattro anni dopo, preside del Ginnasio municipale.
Etty e i suoi fratelli Mischa e Jaap erano ragazzi molto intelligenti e dotati. Etty era una ragazza brillante, intensa, con la passione della lettura e degli studi di filosofia; Mischa era considerato uno dei più promettenti pianisti d’Europa; Jaap, a soli 17 anni, scoprì un nuovo tipo di vitamina e più tardi divenne medico.
Etty lasciò la scuola del padre nel 1932; ad Amsterdam prese la prima laurea, in Giurisprudenza, e poi si iscrisse alla facoltà di Lingue Slave. I suoi successivi studi di psicologia analitica junghiana furono interrotti dalla guerra.
Dopo l’invasione del 1940, i tedeschi iniziarono a poco a poco a isolare e a discriminare gli Ebrei olandesi. Il 29 aprile 1942 gli Ebrei furono costretti a portare la stella di David: e in quella stessa primavera iniziarono le deportazioni di massa. Prima del trasferimento definitivo ad Auschwitz, gli Ebrei venivano raccolti nel campo di smistamento di Westerbork, nella zona orientale del Paese.
Il 15 luglio 1942, Etty trovò lavoro come dattilografa in una delle sezioni del Consiglio Ebraico, un’istituzione creata dai nazisti per gestire i rapporti con la popolazione. Questa posizione avrebbe potuto salvarla, ma Etty decise di condividere la sorte del suo popolo e si lasciò deportare a Westerbork, ove operò per più di un anno come assistente sociale. Il 7 settembre 1943 tutta la famiglia, tranne Jaap, fu trasferita nel campo di sterminio di Auschwitz. Mentre lei, i genitori e il fratello Mischa morirono dopo poco tempo il loro arrivo, Jaap perse la vita in Germania, dopo la liberazione, mentre stava tornando in Olanda.
Un rapporto della Croce Rossa afferma che Etty morì il 30 novembre. Da un finestrino del treno che l’aveva trascinata nell’abisso aveva gettato una cartolina che fu raccolta dai contadini e che diceva: «Abbiamo lasciato il campo cantando».

Liberamente tratta da: Etty Hillesum, Diario 1941-1943, Adelphi 1985, pag. 14-19
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