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Essere madre in Africa

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23/01/2009

Dott. Leo Venturelli, Pediatra

Siamo alla fine dell’anno: sono andato a trovare mia figlia, medico infettivologo in formazione che sta facendo uno stage di 6 mesi in un ospedale della Costa d’Avorio. Visto che sono pediatra, mi è stato chiesto di visitare i bambini della “pouponnière”, cioè del nido-brefotrofio locale, collegato all’ospedale: vi arrivano bambini appena nati, portati lì per gravi difficoltà delle famiglie; ci rimangono fino ai 3 anni, epoca in cui si cerca di reinserirli nella famiglie di origine. Il brefotrofio è gestito dalla cooperazione italiana, in particolare dall’Agenzia 1 di Pavia, un’organizzazione non governativa che da anni collabora con le autorità sanitarie locali a sostenere e finanziare l’ospedale regionale ad Ayamé, sperduto paese nella zona sud orientale della Costa d’Avorio. Prima dell’arrivo della cooperazione italiana esisteva ad Ayamé solo un centro per la protezione infantile e materna: poi, di anno in anno, con gli aiuti italiani, si sono aggiunti prima dei letti per costituire una pediatria, poi l’ostetricia, poi la medicina e la chirurgia con un laboratorio analisi e un servizio di radiologia, e infine la pouponnière, che dal 2007 ha una sede autonoma in una zona elevata e più salubre.
Una sera arrivano al cancello della pouponnière un padre con un fagottino tra le braccia, due altri parenti e l’autista di un taxi che li ha portati fin qui. La piccola è nata poche ore prima in un paese vicino: la mamma è stata trasportata alla locale sede della PMI, cioè al presidio della Protezione Materno Infantile, dove un’ostetrica e una infermiera sono a disposizione per assistere le donne al parto e per seguire poi i bambini per le vaccinazioni. La mamma è arrivata solo alla fine, con travaglio in corso, ma in condizioni disperate. Ha partorito la piccola, ma poi ha avuto una emorragia appena dopo il parto: già era anemica, non ce l’ha fatta, è deceduta poco dopo...
Ed eccoci qui con questo piccolo essere tra le braccia, una bella bambina che respira bene, è rosea, portata alla pouponnière perché il padre ha sentito dire che qui si possono “lasciare” i bambini, vengono accuditi, allevati, alimentati e non muoiono. Già, perché se la portasse a casa sua, che poi è una capanna di un villaggio immerso nella “brousse”, cioè in mezzo alla foresta, le chances di vita sarebbero scarse: a casa ci sono già sette bambini, nati circa uno ogni anno, sono bocche da sfamare, le zie e la nonna non garantiscono di accudire quest’ultima nata, e poi dove si trova il latte? Mica si può spendere per il latte in polvere che si trova nella farmacia del paese, a circa due ore dal loro villaggio. E senza latte non si va tanto lontano...
E poi ora la preoccupazione è per organizzare i funerali della giovane madre: questo implica spese, problemi, ospitare i parenti che vengono da altri villaggi vicini per la festa rituale del funerale, preparare cibo per tutti. Per questo bisogna far arrivare una vacca dalla pianura, per poi macellarla, e il tutto costa molto “argent”, cioè molti soldi: questa è l’Africa in cui mi sono imbattuto, a Natale di quest’anno.
Le suore italiane della locale missione cattolica mi hanno raccontato che qualche anno or sono hanno salvato una piccola nata, portandola letteralmente via dal villaggio: era stata lasciata vicino al corpo della sventurata madre morta di parto, in attesa che anche lei se ne andasse...
La situazione socio-sanitaria per le donne africane, in particolare per quelle della zona che ho visitata, è drammatica: analfabetismo che raggiunge il 60-70% delle donne, anagrafe comunale spesso assente o non attivata. Alla pouponnière mi è capitato di visitare un neonato con due giorni di anticipo sulla sua data ufficiale di nascita: l’impiegato dell’anagrafe infatti ha considerato il giorno di nascita quello in cui i parenti sono andati a dichiararla all’ufficio! Molti gruppi familiari vivono isolati nella foresta, spesso immigrati dal vicino Burkina Faso o dal Mali, dove la vita è ancora più dura... Vengono in questa parte di territorio dove si può lavorare nelle piantagioni di banane, di caffé, o di cacao: in questa maniera si può guadagnare qualcosa per vivere.
Le malattie che rendono dura la vita e che sono alla base di tanti decessi sono malaria, Aids, anemia grave, gastroenteriti, parassitosi. La sanità si paga: visite, ricoveri, medicine, tutto è a pagamento: se hai i soldi, puoi permetterti di farti curare; se non ce li hai, stai al villaggio e speri di sopravvivere.
Una malattia è ubiquitaria in questa regione: la malaria – lì è chiamata paludiamo (o paludismo) – e indistintamente colpisce tutti. Certo le donne e i bambini sono i più deboli, sono quelli che dopo ogni crisi, anche curata, vanno incontro ad anemia: all’ospedale ho visto bambini di pochi mesi arrivare con un valore di emoglobina (una proteina legata al ferro, contenuta nei globuli rossi, che serve a trasportare l’ossigeno nel sangue) di 3 g%, quando dovrebbe essere intorno a 12-14 g%. Con questi valori anche una bronchite o un’enterite diventano problemi assai gravi; insomma, una malattia tira l’altra. Per non parlare della Sida, il modo francese di chiamare l’Aids: ufficialmente le donne dai 15 anni in su colpite dall’HIV in Costa d’Avorio sono 400.000, ma sono dati ufficiali ed è difficile avere le stime relative alla popolazione sparsa nei villaggi della boscaglia, dove non si sa neanche quante persone vivano.
Vedere queste situazioni, vivere a contatto con questa realtà fa riflettere: certo è proprio una fortuna essere nati in Italia, in un paese cosiddetto industrializzato, dove ci sono servizi, dove la sanità è un diritto, ed è in buona parte gratuita, dove possiamo mandare a scuola i nostri figli, dove l’infanzia è un bene da “maneggiare con cura”. Certo che il sorriso dei bambini di Ayamé e dintorni è disarmante, la dignità delle donne dei villaggi è pure impressionante: difficile trovare gente arrabbiata, un sorriso non si nega a nessuno, anche all’uomo bianco che va lì a vedere, fotografare, a curiosare, a cercare di capire... E poi, stupisce la tolleranza: anche se di religioni diverse, convivono insieme musulmani, cattolici, protestanti, animisti, senza ostilità o rivendicazioni.
Ma questa è l’Africa, o, almeno, un piccolo spaccato di mondo composto da colori, rumori, occhi grandi e penetranti, sorrisi, gioia, dolore, sofferenza, in un miscuglio di sentimenti che lascia una traccia acuta e penetrante.

Qualche dato statistico (dal rapporto Unicef 2008)

In Costa d’Avorio, su 1000 bambini che nascono vivi, 90 muoiono sotto l’anno di vita, 127 entro i 5 anni; per fare un paragone con l’Italia e, in generale, i Paesi sviluppati, qui da noi il tasso di mortalità sotto l’anno è 3 su 1000, e 4 su 1000 sono i bambini che muoiono sotto i 5 anni.
Per quanto riguarda le madri, la situazione è altrettanto drammatica: 810 donne ogni 100.000 parti di bambini nati vivi muoiono in conseguenza della gravidanza e del parto (in Italia il controllo della gravidanza, i parti assistiti e le condizioni socio-economiche determinano “solo” 3 casi di morte materna ogni 100.000 parti di nati vivi).
Il parto avviene in strutture sanitarie (i centri di Prevenzione materno infantile) solo nel 54% dei casi. Gli altri parti avvengono a casa o per la strada, al di fuori di un’assistenza regolare e periodica: per questo ci sono tanti casi di madri che hanno complicazioni gravi e mortali sia durante la gravidanza sia subito dopo il parto.
Dai dati ufficiali la natalità è elevata: 4 bambini in media per donna, anche se nella zona da me visitata la presenza di famiglie con 7-8 bambini a carico della stessa donna è sovente normale. Ma non sempre esiste un marito: è la donna che si accolla la crescita e il mantenimento dei figli, in quanto il padre spesso sparisce o si rifà una famiglia altrove. Solo gli uomini di religione musulmana e relativamente ricchi si permettono di mantenere due o tre mogli con relativa prole.

Biografia

Il dottor Leo Venturelli vive e lavora a Bergamo come pediatra ambulatoriale, dopo aver lavorato in ospedale per i primi 13 anni della sua carriera. Si occupa di educazione alla salute e di organizzazione sanitaria. Si è dedicato alla formazione degli studenti di Medicina e degli Specializzandi in Pediatria. Fa parte del direttivo della Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale (SIPPS) e dell’Associazione Childcare Worldwide, impegnata in programmi di aiuto ai paesi emergenti. E’ autore di numerose pubblicazioni scientifiche e di libri di divulgazione medica.

Il dottor Venturelli con i bambini della pouponnière di Ayamé
Il dottor Venturelli con i bambini della pouponnière di Ayamé

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