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06/04/2011

Tratto da:
Giuseppe Ungaretti, Vita d'un uomo. Tutte le poesie, Mondadori 1969, 19a edizione 2005

Guida alla lettura

Questa brevissima lirica fu scritta da Giuseppe Ungaretti nel luglio 1918, fra le trincee del bosco di Courton, vicino a Reims. Gemma fra le più pure dell’Ermetismo, corrente poetica del Novecento caratterizzata da estrema essenzialità e squisita rarefazione espressiva, la composizione esprime la condizione di precarietà esistenziale dei combattenti, che la morte può ghermire in ogni istante.
Ma anche nella vita quotidiana, anche in questa nostra epoca, chi può sentirsi estraneo a questo sentimento? I conflitti armati sembrano non avere mai termine, e quasi ogni giorno vede l’apertura di un nuovo fronte di tensione. La crisi economica sconvolge la vita di tanti, e ne mette a repentaglio la sicurezza, la dignità, l’autonomia. Le catastrofi naturali mietono vittime, e il recente terremoto del Giappone ha aggiunto, allo strazio per i morti e alla distruzione, lo spettro invisibile e pervasivo della contaminazione nucleare.
I grandi temi della poesia toccano il cuore di ogni uomo e di ogni donna, in ogni tempo: e così il canto di Ungaretti riecheggia quello di Salvatore Quasimodo (“Ognuno sta solo sul cuor della terra /trafitto da un raggio di sole: /ed è subito sera”) e di Mimnermo, antichissimo poeta greco (“Noi siamo come foglie... brevi istanti godiamo di giovinezza il fiore”). Ma la nostra vita è davvero solo intessuta di un presente effimero e di un domani incerto?
Noi pensiamo che non sia così. Pensiamo che sia possibile dare un senso alla vita, anche fra le mareggiate che spesso la turbano. Alessandra Graziottin, in un recente articolo ripreso dal suo sito personale (“Il senso della vita dipende da noi”), afferma con forza: «Tutti, prima o dopo, abbiamo uno tsunami che ci attende... Può essere un incidente improvviso, una malattia grave. O una tragedia collettiva, un terremoto, un’inondazione, un raid aereo. Un gesto terroristico che può coglierci ovunque. Non abbiamo alcuna sicurezza del domani. Questa è la verità millenaria (dall’“Estote parati”, tenetevi pronti, del Vangelo, al “Del doman non v’è certezza” di Lorenzo il Magnifico, al più recente “Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, di Ungaretti). Ciascuno cogliendo nella caducità della vita la sola precarietà, l’invito alla gioia, o l’imperativo di una più rigorosa assunzione di responsabilità del proprio destino. Che non esclude la gioia, anzi, ma la cerca con una consapevolezza che non è il passivo affogarsi in piaceri fugaci... Sì, è vero, si muore comunque, ma quando la vita ha avuto un suo disegno consapevole, la sua musica e il suo compimento, si può morire sereni, in pace, perché si è stati davvero vivi. E (quasi) tutto ha avuto senso».
Si sta
come d’autunno
sugli alberi
le foglie.

(Bosco di Courton, luglio 1918)

Biografia

Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888 da genitori di Lucca, emigrati per motivi di lavoro. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morirà due anni dopo la sua nascita. La madre è fornaia e con molti sacrifici riesce a far studiare il figlio in una delle più prestigiose scuole di Alessandria. L’amore per la poesia nasce durante gli anni della giovinezza.
Nel 1912 si trasferisce a Parigi: viene a contatto con l’ambiente artistico internazionale e conosce Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Picasso, Giorgio De Chirico, Amedeo Modigliani.
Nel 1914 torna in Italia. Allo scoppio della guerra si arruola volontario e combatte sul Carso: in trincea scopre un’umanità povera e dolente, che ritroveremo nei versi di “Porto sepolto” e “Allegria di naufràgi”, primi documenti di una poesia che, dopo D’Annunzio, riparte dalla parola nuda, essenziale.
Dopo la guerra lavora a Parigi, dapprima come corrispondente del giornale “Il Popolo d’Italia”, e in seguito come impiegato all’ufficio stampa dell’ambasciata italiana. Nel 1921 si trasferisce a Roma e lavora all’ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Nel 1925 aderisce al fascismo firmando il “Manifesto degli intellettuali fascisti”.
Negli anni Trenta è inviato speciale per “La gazzetta del popolo”: viaggia in Egitto, Corsica, Olanda e nell’Italia meridionale, raccontando le esperienze vissute in “Il povero nella città” e “Il deserto e dopo”.
Dal 1936 al 1942 insegna Letteratura italiana all’Università di San Paolo del Brasile. In quegli anni, muore di appendicite il figlio Antonietto. La sofferenza immensa del poeta si rifletterà nelle raccolte “Il dolore” e “Un grido e Paesaggi”.
Dopo il rientro in Italia, il poeta viene nominato Accademico d’Italia e, per chiara fama, professore di Letteratura moderna e contemporanea all’Università di Roma. Caduto il regime fascista, mantiene un ruolo attivo nell’ambiente letterario e culturale, e conserva l’incarico accademico fino al 1965. Pubblica altre raccolte (come “La terra promessa”) e tiene ovunque conferenze e letture. Muore a Milano il 2 giugno 1970.
Lo stile di Ungaretti è scabro ed essenziale, e segna l’inizio alla corrente poetica che prenderà ben presto il nome di “ermetismo”. La metrica è libera, senza rime e con versi spesso brevissimi, ma di grande efficacia espressiva.
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