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Tornano in alto ad ardere le favole

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26/06/2013

Tratto da:
Giuseppe Ungaretti, Giorno per giorno. In: “Vita d’un uomo. Tutte le poesie”, Mondadori 1969, 19a edizione 2005

Guida alla lettura

Questa delicata lirica di Giuseppe Ungaretti, autentica gemma dell’ermetismo, si presta a una duplice lettura. Molti critici vi scorgono una metafora della vecchiaia (“il primo vento”), che porta via i sogni della giovinezza (“le favole”); e dell’incontro con Dio (“un altro soffio”), che dopo la morte torna a vivificare lo spirito. Noi pensiamo che il poeta, accanto a questa prospettiva, abbia voluto offrire un quadro della vita umana nel suo continuo alternarsi di sogni e delusioni, ma anche di rinnovate speranze non appena venga «un altro soffio», appunto, ad alimentarle nel cuore.
Nella sua brevità, la composizione è ricca di simboli. Le “favole”, che in Ungaretti normalmente simboleggiano le stelle, sede ideale dei desideri e della loro suadente seduttività, rappresentano con plastica evidenza l’ambiguità delle ambizioni umane: concrete possibilità di vita, ma a volte troppo lontane (“in alto”) per essere raggiunte e realizzate, e dunque fonte di frustrazione e infelicità. Le “foglie”, immagine cara al poeta, cadono in autunno come le illusioni della giovinezza al sopravvenire della vecchiaia, ma anche come ogni sogno quotidiano che ceda «all’apparir del vero» (Giacomo Leopardi, A Silvia). Il “soffio” che fa nuovamente scintillare le stelle è, in una prospettiva atemporale, lo spirito di Dio, ma è anche ogni opportunità di rinascita a cui personalmente assentiamo nel fluire dei nostri giorni: un nuovo amore, un’amicizia nascente, uno sviluppo di lavoro, una disciplina sportiva da apprendere e che ci colma di energia, una materia di studio amata in gioventù e che torniamo a coltivare quando anche per noi l’autunno della vita è ormai alle porte.
Capiamo allora come il ritorno di uno «scintillamento nuovo» dipenda innanzitutto da noi: siamo noi che, per disperazione o per paura, possiamo sbarrare la strada al cambiamento, o possiamo accoglierlo con curiosità e apertura di cuore, lasciando che germogli e lenisca il dolore di vivere. Questa positiva disposizione dello spirito, però, richiede di essere coltivata sin dagli anni dell’adolescenza: è allora che si impara a percepire e a distinguere i soffi della vita, a capire le proprie priorità e a scegliere di conseguenza, e poi a dedicare tempo e forza e pazienza a quanto si è scelto, perché diventi un piccolo o un grande capolavoro. Alle famiglie e alla scuola tocca il delicato compito di addestrare a quest’arte sottile e cruciale, “base sicura” decisiva nel tracciare la sottilissima linea rossa che passa fra una vita riuscita e una vita fallita. Dedichiamo quindi la lirica di Ungaretti ai giovani, ai loro genitori e ai loro insegnanti, perché ogni vita possa trovare la propria strada e la possa seguire, anche attraverso le inevitabili burrasche, nella serenità e nella fiducia.
Tornano in alto ad ardere le favole.
Cadranno colle foglie al primo vento.
Ma venga un altro soffio,
ritornerà scintillamento nuovo.

Biografia

Giuseppe Ungaretti nasce ad Alessandria d’Egitto l’8 febbraio 1888 da genitori di Lucca, emigrati per motivi di lavoro. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morirà due anni dopo la sua nascita. La madre è fornaia e con molti sacrifici riesce a far studiare il figlio in una delle più prestigiose scuole di Alessandria. L’amore per la poesia nasce durante gli anni della giovinezza.
Nel 1912 si trasferisce a Parigi: viene a contatto con l’ambiente artistico internazionale e conosce Giovanni Papini, Aldo Palazzeschi, Picasso, Giorgio De Chirico, Amedeo Modigliani.
Nel 1914 torna in Italia. Allo scoppio della guerra si arruola volontario e combatte sul Carso: in trincea scopre un’umanità povera e dolente, che ritroveremo nei versi di “Porto sepolto” e “Allegria di naufragi”, primi documenti di una poesia che, dopo D’Annunzio, riparte dalla parola nuda, essenziale.
Dopo la guerra lavora a Parigi, dapprima come corrispondente del giornale “Il Popolo d’Italia”, e in seguito come impiegato all’ufficio stampa dell’ambasciata italiana. Nel 1921 si trasferisce a Roma e lavora all’ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Nel 1925 aderisce al fascismo firmando il “Manifesto degli intellettuali fascisti”.
Negli anni Trenta è inviato speciale per “La gazzetta del popolo”: viaggia in Egitto, Corsica, Olanda e nell’Italia meridionale, raccontando le esperienze vissute in “Il povero nella città” e “Il deserto e dopo”.
Dal 1936 al 1942 insegna Letteratura italiana all’Università di San Paolo del Brasile. In quegli anni, muore di appendicite il figlio Antonietto. La sofferenza immensa del poeta si rifletterà nelle raccolte “Il dolore” e “Un grido e Paesaggi”.
Dopo il rientro in Italia, il poeta viene nominato Accademico d’Italia e, per chiara fama, professore di Letteratura moderna e contemporanea all’Università di Roma. Caduto il regime fascista, mantiene un ruolo attivo nell’ambiente letterario e culturale, e conserva l’incarico accademico fino al 1965. Pubblica altre raccolte (come “La terra promessa”) e tiene ovunque conferenze e letture. Muore a Milano il 2 giugno 1970.
Lo stile di Ungaretti è scabro ed essenziale, e segna l’inizio alla corrente poetica che prenderà ben presto il nome di “ermetismo”. La metrica è libera, senza rime e con versi spesso brevissimi, ma di grande efficacia espressiva.
Parole chiave di questo articolo
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