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Il ruolo del ginecologo extraospedaliero nella diagnosi e nella terapia del dolore cronico della donna

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09/09/2008

Francesco Libero Giorgino
Presidente Associazione Ginecologi Extra Ospedalieri (AGEO)

Introduzione

“Humanum sedare dolorem”: da sempre per i medici è questo l’imperativo numero uno. Lo è anche per l’Associazione Ginecologi Extra Ospedalieri (AGEO) che, nei suoi dodici anni di vita, si è proiettata con grande determinazione verso di esso e più in generale verso il miglioramento della salute e del benessere della donna. È pur vero che tutte le associazioni nascono con intenti nobilissimi: difficile, però, è rimanere coerenti con essi nel tempo. Evidentemente, nel caso della nostra associazione la sensibilità era e rimane elevata. In questi anni abbiamo sviluppato, tra l’altro, uno specifico interesse verso le problematiche della donna diversamente abile, che fra tutte è la persona che soffre di più. Ma non è mai sufficiente, lo sappiamo. Sentivamo il bisogno di fare di più. Crescendo, la rappresentatività e la credibilità del nostro gruppo sono aumentate. Abbiamo sempre tenuto presente che, fra tutti gli obiettivi possibili, molto importante è realizzare un programma di formazione per i ginecologi del territorio che risponda alle attese della nostra Società, anzi, possibilmente ne anticipi gli orientamenti e sappia subito rispondere alle aspettative. L’occasione per impegnarsi in una delle problematiche più difficili e complesse ci è stata offerta dalla Fondazione Alessandra Graziottin per la cura del dolore nella donna Onlus, che ha come obiettivo proprio quello di affrontare il dolore cronico della donna.
Il Consiglio Direttivo dell’AGEO, in occasione di una riunione appositamente convocata nell’aprile 2008, ha aderito all’unanimità alla proposta riportata dal Presidente riguardo il progetto della Fondazione Alessandra Graziottin. Ha inoltre preso in considerazione l’opportunità di aderire a un programma divulgativo tra i suoi associati e fra quanti – ginecologi, ostetriche, medici di medicina generale e altri operatori sanitari – vogliano accostarsi alle tematiche proposte, decidano di portare il loro contributo e si impegnino a loro volta a diffondere gli obiettivi della Fondazione.
La proposta di rifondare l’approccio del ginecologo alla paziente, centrandolo su una rinnovata capacità di individuare situazioni di disagio fisico, ma ancor più psicologico, ci ha trovati entusiasti. Abbiamo così inserito nel programma di “Continuous professional development” uno specifico percorso formativo centrato sul miglioramento della capacità diagnostica e terapeutica del ginecologo nei confronti del dolore della donna.
Abbiamo osservato, quindi, che con una sola scelta strategica realizzeremo più di un obiettivo del nostro statuto: impegno in favore della salute della donna, attenzione verso la formazione continua del ginecologo del territorio e riconoscimento di un suo accresciuto ruolo nella sanità.
Siamo altresì convinti che il nostro impegno potrà portare, se perseguito con serietà e convinzione, a un’aumentata sensibilità di tutta la società verso il dolore, soprattutto quello della donna.

Il dolore, spesso segreto, sempre invisibile

In ogni paziente c’è dolore. Dolore del corpo, nocicettivo o neuropatico (1); oppure dolore dell’anima, male di vivere: quel male oscuro che ottenebra l’esistenza e può favorire l’insorgenza del dolore nocicettivo, che poi diventa neuropatico, innescando una spirale di sofferenza dalla quale risulta difficile uscire. Oltre la metà dei depressi soffre per un dolore cronico (cefalea, lombalgie, gastralgie) e il 60% lamenta almeno un sintomo fisico doloroso. Quando però questi pazienti vanno dal medico, nel 30% dei casi gli parlano solo dei sintomi fisici e appena il 14% si rende conto della correlazione che questi disturbi hanno con la depressione (2). Noi vogliamo aumentare il numero di medici che mettano in luce il dolore.
Per il ginecologo è ancora più probabile imbattersi in sindromi algiche, perché la donna ne soffre di più (3). Le donne, infatti, riferiscono livelli di dolore più intensi, di durata maggiore, in più parti del corpo e più frequentemente che nell’uomo.
La vita di una donna, se si fa attenzione, è ritmata dal dolore fin dal menarca, quando ciclicamente compare in molte ragazze una mestruazione più o meno segnata da dolore. Una gran parte di esse, inoltre, sarà già stata colpita da una qualche forma di dolore pochi giorni prima della mestruazione, la cosiddetta sindrome premestruale.
Nessuno ha mai detto dove finisce lo stato di benessere e dove comincia la sofferenza da mestruazione. Storicamente e secondo schemi culturali consolidati, alla donna non è consentito di comunicare il dolore ciclico. Anche oggi a una bambina viene per lo più trasmesso che il dolore catameniale ha un suo pudore e va tenuto lontano dai riflettori. Soprattutto le ragazze e le donne che soffrono della forma minore di dolori mestruali non rivelano a nessuno, neppure al ginecologo, i loro problemi. Si tratta di molti e variegati sintomi che si combinano in maniera così imprevedibile che in molte classificazioni vengono tuttora denominati “molimina”, letteralmente “cose di grande importanza”, senza però meritare ulteriori specificazioni e attenzioni.
Una particolare forma di dolore che colpisce la donna, ciclico e non ciclico, è l’emicrania, sostantivo anch’esso in grande prevalenza di genere femminile. Spesso, purtroppo, le emicraniche devono confrontarsi con altre sequele patologiche. È recente la dimostrazione che i pazienti con emicrania hanno maggiori probabilità di sviluppare allodinia cutanea rispetto a quelli che soffrono di altri tipi di cefalee. Negli emicranici, inoltre, sussiste un’associazione fra allodinia cutanea e sesso femminile, frequenza delle cefalee, obesità, disabilità e depressione (ricompare la depressione, vero nemico del millennio e soprattutto delle donne!). L’allodinia cutanea è una patologia neurologica caratterizzata da dolore durante le normali attività, e potrebbe anche essere un fattore di rischio per la progressione dell’emicrania.
L’identificazione dei fattori di rischio di progressione della malattia rappresenta una priorità molto importante: ad esempio, i soggetti con allodinia dovrebbero essere trattati più aggressivamente per prevenire la progressione dell’emicrania, nonché per prevenire questo tipo di sensibilità cutanea (4, 5).
E a proposito di male di vivere, recentemente è emerso un dato che conferma le osservazioni più antiche: i giovani adolescenti con cefalee giornaliere croniche (CDH), ed in particolare quelli con emicranie con aura, presentano un aumento del rischio di suicidio sei volte superiore rispetto a chi non soffre di mal di testa. Questi soggetti dunque dovrebbero ricevere un monitoraggio delle malattie psichiatriche, in modo da ottenere l’aiuto e le terapie di cui necessitano. L’emicrania con aura è stata solo raramente indicata come un possibile problema nei soggetti con CDH, dato che la maggior parte degli esperti di cefalee sostiene che i pazienti con emicrania cronica di solito presentano forme senza aura (6).

Come mai l'emicrania colpisce soprattutto le donne?

Qualche mistero si va svelando. Un gruppo di ricercatori ha dimostrato per la prima volta l’attivazione spontanea dell’ipotalamo in concomitanza con la genesi dell’attacco di emicrania. Quest’area del nostro cervello potrebbe quindi avere un ruolo nella genesi dell’emicrania e la messa a punto di farmaci in grado di agire su di essa potrebbero in futuro facilitare la cura di questo fastidioso e pericoloso disturbo.
L’ipotalamo potrebbe essere la zona del cervello da cui “parte” la catena di eventi che provoca l’emicrania. È stato studiato con la tomografia a emissione di positroni (PET) il cervello di 7 pazienti emicranici durante gli attacchi spontanei. Ai pazienti è stato chiesto di recarsi immediatamente in ospedale non appena si manifestava l’attacco. È emerso che nel cervello degli emicranici si attiva sempre l’ipotalamo in corrispondenza di un attacco.
Finora l’emicrania era stata associata a certe caratteristiche del cervello, come l’ispessimento di zone della corteccia cerebrale, ma nessuno studio aveva chiamato in causa l’ipotalamo, un’area che fa parte del cosiddetto “sistema limbico”. L’ipotalamo ha molteplici funzioni come il controllo sul sistema nervoso autonomo e sull’ipofisi, ed un ruolo centrale nel rilascio ciclico e pulsatile delle gonadotropine, e bene risponderebbe ai tanti quesiti finora senza risposta sulla maggiore incidenza di cefalee ed emicrania nelle donne, soprattutto in cadenza ciclica.
In tutti i casi la PET ha indicato che, in concomitanza con l’attacco, si registra l’attivazione dell’ipotalamo. Questo era forse sfuggito, finora, perché per la prima volta, a differenza di altri studi in cui l’attacco è scatenato con farmaci e quindi artificioso, sono stati analizzati attacchi emicranici spontanei. Quindi l’ipotalamo può avere un ruolo nell’innesco dell’attacco emicranico, ma per la dimostrazione conclusiva bisogna ripetere lo studio controllando che cosa succede nel cervello dei pazienti subito prima di un attacco. È la prima dimostrazione dell’attivazione dell’ipotalamo in modo spontaneo e dopo questa dimostrazione sarà più facile curare l’emicrania; è la controprova dell’attività terapeutica già esplicata da vari farmaci contro questa patologia (7).
È dimostrata altresì l’efficacia maggiore, in casi come questi, dei Serotonin-Noradrenalin Reuptake Inhibitors (SNRI) rispetto ai Selective Serotonin Reuptake Inhibitors (SSRI). Questi ultimi, infatti, entrano nella regolazione soltanto della serotonina, mentre i primi agiscono anche sulla noradrenalina, neurotrasmettitore implicato non solo nella depressione, ma anche nella trasmissione degli impulsi dolorifici; quindi gli SNRI da una parte potenziano il sistema degli oppiodi, alleviando il dolore, e dall’altra aumentano il filtro verso il dolore, situato alla porta d’ingresso delle sensazioni nei nervi periferici.

Il dolore cronico

Questi sono solo alcuni esempi del lungo elenco degli studi sulle sofferenze acute e croniche che affliggono le donne. Il dolore cronico in particolare è ancora oggi uno dei problemi meno conosciuti e meno affrontati dalla medicina pur rappresentando una problematica molto seria. Esso è infatti la degenerazione di un “campanello di allarme” che ha il compito di avvertire che qualche cosa nel fisico non funziona. Così, da sintomo passeggero (come può essere un normale dolore), esso diventa un sintomo prolungato, lesivo del benessere della persona, poiché coinvolge anche l’emotività e lo stato psichico. Riferire al medico sensazioni di dolore costituisce uno dei tre sintomi (gli altri sono la sensazione di non essere a posto e il non sentirsi mai in grado di fare le cose) che, quando emergono nel corso di una qualsiasi visita, vanno sempre considerati dei buoni indizi clinici di una sottostante situazione depressiva o ansiosa.
Il 15 ottobre 2007 l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (IASP) ha indetto l’“Anno Mondiale contro il Dolore 2007-2008” (8), con il tema “Why focus on Pain?”. La IASP ha deciso di porre in evidenza questo tema a causa delle grandi implicazioni che il dolore delle donne ha sul piano umano, sociale ed economico. Insieme con i propri soci, con i media, con le organizzazioni governative e non, si sta quindi lavorando per far sì che si possa raggiungere una maggior conoscenza di questa problematica (maggiori informazioni sono disponibili sul sito della IASP).

Il dolore delle donne

La IASP e il Comitato Editoriale di Pain (Elsevier) hanno lavorato insieme al fine di richiamare l’attenzione sul problema del dolore delle donne e alle influenze che su di esso esercitano gli ormoni, in particolare gli estrogeni (9). Particolarmente affascinanti appaiono i meccanismi del dolore nei quali sono coinvolti i neurosteroidi.
Ovviamente non si può affrontare il tema del dolore delle donne senza tener conto delle implicazioni che sul dolore hanno le differenze di genere. Su questa prospettiva è necessario evitare una possibile semplificazione sottolineando il fatto che, in diversi periodi della vita, la rilevanza di alcuni fattori può far aumentare o diminuire il dolore e che è l’insieme di questi effetti cumulativi che determina l’esito e la risposta al dolore.
Ciò su cui non si è ancora posto sufficientemente l’accento è la confluenza altamente variabile di questi fattori, che contribuisce a una realtà globale e anche una questione etica: la prevalenza del dolore nelle donne. Sappiamo che in parte essa è dovuta a complessi fattori genetici e ormonali che agiscono sulla percezione del dolore, in parte a problemi specificatamente femminili; ma per lo più può essere spiegata dal fatto che le donne vivono mediamente più a lungo degli uomini e quindi, più degli uomini, sono esposte al dolore dovuto a condizioni degenerative. A ciò si aggiungono le differenze genetiche e di sesso nelle proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche e negli effetti collaterali dei farmaci, il che suggerisce che differenti rimedi farmacologici potrebbero rivelarsi più efficaci in un sesso piuttosto che in un altro. Poiché tali differenze hanno implicazioni importanti nella pratica quotidiana, diviene imperativa la necessità di acquisire una maggior conoscenza circa gli effetti che le differenze di sesso possono avere sull’azione dei farmaci.
Probabilmente contribuiscono a questo “primato” femminile anche fattori psicologici e socioculturali legati al genere, che creano confusione non solo tra le donne che soffrono ma anche tra i medici che le assistono e le cui attitudini influenzano le priorità di trattamento. Le differenze di sesso nell’uso del linguaggio possono aggiungersi alle barriere create dal pregiudizio e dall’ineguaglianza economica e tali barriere possono, in certi casi, ostacolare se non addirittura impedire che tutte le donne ricevano un adeguato trattamento contro il dolore.
L’educazione scolastica è un elemento fondamentale per migliorare lo stato di salute della donna e per consentirle di accedere a un adeguato trattamento del dolore. Purtroppo due terzi degli 876 milioni di analfabeti nel mondo sono donne e difficilmente il loro numero diminuirà in maniera significativa nei prossimi vent’anni. A tali condizioni si aggiungono gli abusi psicologici e sessuali di cui le donne sono vittime, e i casi di HIV/AIDS che spesso ne conseguono.
Il dolore può avere conseguenze disastrose per gli individui e le loro famiglie, ma anche per le nazioni. Le donne, di qualsiasi condizione sociale ed economica, ma soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, ricevono in maniera meno frequente rispetto agli uomini un trattamento adeguato e questo accade in virtù di consuetudini sociali, culturali e politiche. E’ chiaro quindi quanto urgente sia il bisogno di avere una maggiore conoscenza, anche a livello sanitario, del dolore delle donne.

Conclusioni

È auspicabile che si arrivi a migliorare la nostra comprensione del dolore. Tutti dovrebbero impegnarsi a migliorare lo stato di salute e di benessere delle donne, tanto più che è accettato ormai il paradigma che mette in stretta correlazione il loro stato di salute con il livello di progresso raggiunto dalla nazione in cui vivono. Il nostro impegno, in piena sintonia con la Fondazione Alessandra Graziottin, si rivolgerà a migliorare la formazione degli operatori sanitari, soprattutto di quelli che operano sul territorio, tenendo conto dei fattori non solo sanitari, ma anche culturali, psicologici e sociali, in modo tale da garantire un sollievo migliore al dolore delle donne.

Bibliografia

1) Graziottin A.
Aspetti neurobiologici e modelli interpretativi del dolore pelvico cronico e del dolore sessuale
in: Arisi E. (a cura di), Il dolore pelvico, I libri dell’AOGOI, Editeam Gruppo Editoriale, Cento (Ferrara), 2006, p. 43-69

2) Peccarisi C.
Dolore dell’anima, ma anche del corpo
Corriere della Sera, 29 ottobre 2006

3) Berkley K.J. Holdcroft A.
Sex and gender differences in pain
in: Wall P.D. Melzack R. (eds), Textbook of pain, Churchill Livingstone, Edimburgh, 1999; p. 951-965

4) Bigol M.E. Ashima S. Burustein R. Reed M.L. Buse D. Serrano D. Lipton R.B.
Prevalence and characteristic of allodynia in headache suffers: a population study
Neurology 2008; 70: 1525-1533

5) Ashkenazi A. Sholtzow M. Shaw J.W. Burstein R. Young W.B.
Identifying cutaneous allodynia in chronic migraine using a practical clinical method
Cephalalgia 2007 Feb; 27 (2): 111-117

6) Wang S.J. Juang K.D. Fuh J.L. Lu S.R.
Psychiatric comorbidity and suicide risk in adolescents with chronic daily headache
Neurology 2007; 68: 1468-1473

7) Denuelle M. Fabre N. Payoux P. Chollet F. Geraud G.
Hypothalamic activation in spontaneous migraine attacks
Headache 2007; 47: 1418-1426

8) IASP Global year against pain. 2007-2008

9) IASP Global Year Against Pain in Women. Real Women Real Pain

Biografia

Il professor Francesco Libero Giorgino, nato a Francavilla Fontana (Brindisi) nel 1953, è Medico Chirurgo, specialista in Ginecologia e Ostetricia, e titolare dell’insegnamento di “Igiene generale e applicata” per il corso di laurea in Ostetricia dell’Università degli Studi di Padova. Svolge un’intensa attività clinica, didattica e scientifica.
E’ presidente della Associazione Ginecologi Extra Ospedalieri (AGEO), da lui stesso cofondata nel 1996 con l’obiettivo di valorizzare ruolo e competenze dei ginecologi che lavorano al di fuori delle strutture ospedaliere o universitarie (alcune migliaia di medici in Italia). Nel 2008, in qualità di Presidente AGEO, ha fondato a Roma – con i colleghi universitari della AGUI (Associazione Ginecologi Universitari Italiani), i colleghi dei consultori familiari della AGiCo (Associazione Ginecologi Consultoriali) e altri – la Federazione Italiana di Ostetricia e Ginecologia (FIOG).
L’interesse scientifico del professor Giorgino è testimoniato principalmente dai lavori svolti nel campo dell’oncologia ginecologica, della biochimica placentare, dell’osteoporosi e della ginecologia della terza età. Di particolare interesse sono inoltre gli studi sull’enzimuria nella gestosi e sui neuropeptidi in ostetricia.
Il professor Giorgino è autore di oltre 190 pubblicazioni a carattere sperimentale e clinico, e di numerosi libri e capitoli di libri. Dal 2005 è Editor in chief della rivista scientifica “Progetto Globale Salute Donna”. Appassionato di divulgazione, collabora anche con alcune riviste scientifiche rivolte al grande pubblico.
Nel 1997 la facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi di Padova gli ha conferito il prestigioso titolo di “Cultore della Materia in Ginecologia e Ostetricia”. E’ consigliere dell’Accademia Medica Patavina, componente del “Network italiano promozione acido folico per la prevenzione di difetti congeniti”, presso l’Istituto Superiore di Sanità, e membro dell’Accademia Galileiana di Scienze, Lettere ed Arti in Padova.

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