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Il mattino perduto dei desideri traditi

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Il mattino perduto dei desideri traditi
01/03/2023

Kostantinos Kavafis, Brame
In: Tutte le poesie. Testo greco a fronte, Donzelli Editore, 2019

Guida alla lettura

Questa breve e categorica lirica di Kostantinos Kavafis può essere letta a due livelli di significato molto diversi, ed è sul secondo che ci concentreremo in particolare. Il primo livello, immediatamente percepibile per il significato prevalente che, nel linguaggio comune, diamo alla parola “brama”, è quello erotico: ogni pulsione non vissuta svanisce per sempre, ed è simile al corpo bello di chi muore giovane, e non conosce l’invecchiare.
Ma “brama”, ci informa il vocabolario Treccani, non significa solo appetito sessuale: esprime, più in generale, un desiderio vivissimo il cui oggetto possono essere il cibo, gli onori, le ricchezze, l’avventura, ma anche un’occupazione amata, la bellezza della cultura e la conoscenza del mondo.
Il secondo livello di lettura, più interessante, è dunque quello esistenziale: ogni sogno non realizzato, e che avrebbe espresso nel modo più autentico ciò che siamo nel profondo di noi stessi, è destinato ad appassire per sempre. Anche se, irrazionalmente, ci ostiniamo a vagheggiarlo quando il tempo e le forze non bastano più: proprio come il mausoleo fiorito di rose e gelsomini eretto ad ascondere un corpo giovane, non toccato dall’autunno della vita, non può cambiare la propria irredimibile natura di sepolcro.
La raffinata struttura retorica si basa su due figure di grande eleganza: la similitudine che articola i sei versi in due terzine perfettamente simmetriche; la metafora, meno evidente a una prima lettura, delle «brame inadempiute» come «corpi che vecchiezza non colse»: il desiderio e i sogni appartengono sempre alla sfera ontologica della giovinezza perché proiettano verso un orizzonte di futuro, che al vecchio di pensiero è precluso per sempre. Ne consegue l’ammaestramento più nascosto e importante del componimento: chi non rinuncia a sognare non invecchia mai per davvero, e non pre-vede mai la morte a chiudere i suoi giorni.
In altre parole: il cammino verso l’orizzonte del nostro desiderio dipende innanzitutto da noi. Concetto di importanza centrale per un’esistenza dotata di senso, e che Kavafis ribadisce in un’altra splendida lirica, “Itaca”: «Quando ti metterai in viaggio per Itaca / devi augurarti che la strada sia lunga / fertile in avventure e in esperienze. / I Lestrigoni o i Ciclopi / o la furia di Nettuno non temere: / non sarà questo il genere di incontri / se il pensiero resta alto e un sentimento / fermo guida il tuo spirito e il tuo corpo. / In Ciclopi o Lestrigoni no certo, / ne’ nell’irato Nettuno incapperai / se non li porti dentro / se l’anima non te li mette contro».
Lo stile di Kavafis è classicheggiante e levigatissimo, ma mai puramente esornativo. Ogni parola ha un’estrema densità semantica, una sua intrinseca necessità: i corpi di quei morti sono “belli”, come belli sono i sogni che ci fanno palpitare la mente e il cuore; i mausolei sono “preziosi”, ma la loro preziosità non riporta in vita i defunti che vi riposano; le notti sono “voluttuose”, ad alludere al piacere dei corpi (il primo livello di lettura), ma anche alla fatica delle ore spese con gioia, alla luce discreta di un lume, su libri amati, studi desiderati, un lavoro svolto con maestria; i mattini sono “luminosi”, come dopo una veglia d’amore, e come quando cogliamo finalmente il frutto della fatica notturna – e un altro tratto di cammino si apre dinanzi a noi.

La parola dell'autore

Corpi belli di morti, che vecchiezza non colse:
li chiusero, con lacrime, in mausolei preziosi,
con gelsomini ai piedi e al capo rose.
Tali sono le brame che trascorsero
inadempiute, senza voluttuose
notti, senza mattini luminosi.

Biografia

Il 29 aprile del 1863 nasce ad Alessandria d’Egitto Kostantinos Kavafis, considerato uno dei maggiori poeti del primo trentennio del Novecento. E’ l’ultimo di nove figli di una famiglia della ricca borghesia greca, originaria di Istanbul. Nel 1872, due anni dopo la morte del padre, Kavafis e la famiglia, a causa della rovina economica, sono costretti a trasferirsi in Inghilterra, prima a Liverpool, poi Londra. Kavafis torna ad Alessandria nel 1879, in una città allora cosmopolita che viveva i suoi ultimi splendori, dove impara varie lingue, poi approfondite nei lunghi viaggi in Europa. Nel 1897 è a Parigi, nel 1901 ad Atene.
Dopo l’infanzia in Egitto, il poeta impara il greco a 9 anni, ed è questa la lingua che sceglierà per le liriche: la sente come un idioma al tempo stesso antico e moderno, ricco di spunti letterari, filosofici e poetici, e insieme aperto alla modernità. Tuttavia visiterà la Grecia, patria della sua famiglia, soltanto due volte, a 30 anni di distanza ma, come raccontato in un bel documentario di Rai Scuola dedicato alla Letteratura, «i poeti greci di nuova vita lo consideravano un maestro, soprattutto da vecchio, circondato da un’aura di mistero, di sapienza, e di segreti».
Per vivere lavora come giornalista, poi come agente di Borsa, poi per trent’anni come impiegato al ministero egiziano dei Lavori pubblici, all’ufficio Immigrazioni, da interprete. Inizia a scrivere con costanza nel 1891, ma le liriche più intense le compone dopo i quarant’anni. Partendo dalle radici greche e classiche, e dall’humus letterario di Alessandria d'Egitto, città natale anche di Giuseppe Ungaretti, diventa un poeta di statura internazionale grazie a un saggio del critico britannico Edward Morgan Forster, dopo il quale molti artisti rendono omaggio all’arte di Kostantinos Kavafis, definito ormai il “poeta di Alessandria”.
All’inizio, tuttavia, la sua produzione è centellinata, esce sotto forma di fogli d’album, sparsa su giornali e riviste, addirittura su fogli volanti. Solo dopo la morte viene finalmente pubblicata, nel 1935, una raccolta di 154 poesie, in cui è contenuta «gran parte dell'esperienza umana e artistica di questo eccentrico geniale maestro della poesia moderna». Tuttavia, l’opera completa è stata pubblicata in Italia, con testo greco a fronte, in un libro che s’intitola «Tutte le poesie», edito da Donzelli, a cura di Paola Maria Minucci, che ha radunato non solo le 154 liriche ufficiali, ma anche altre 74 “nascoste”, molte inedite, che Kavafis riteneva di dover custodire «segretamente, testi da non pubblicare ma da conservare», e altre 27 poesie degli esordi, rinnegate negli anni successivi.
E’ lo stesso poeta a riconoscere a questi testi apparentemente secondari una grande importanza, affermando che solo da ciò che ha rifiutato sarà possibile conoscere davvero il nucleo più vero e più profondo della sua ispirazione: «Molte le poesie scritte / nel mio cuore; e quei canti / sepolti sono a me molto cari». Ci informa a questo proposito l’editore Donzelli: «La pubblicazione in italiano di tutte le poesie di Kavafis ci restituisce l’immagine completa della sua opera, importante per capire la storia e l’evoluzione della sua poesia e per rintracciare in essa l’origine di modi e tematiche delle poesie maggiori. I testi più antichi e meno conosciuti dai suoi lettori costituiscono infatti la riserva di ispirazione cui lui tornerà negli anni maturi. La lettura di tutta la sua opera poetica ci permette di entrare nel suo laboratorio poetico, mettendo in luce il lavoro ossessivo su ogni testo, rielaborato per anni, se non per decenni, ma soprattutto dando un quadro ricchissimo della sua poesia e delle tematiche che l'attraversano».
Kavafis muore il 29 aprile 1933, giorno del suo settantesimo compleanno, ad Alessandria d’Egitto, dopo un'operazione alla gola subita ad Atene l’anno precedente. Ungaretti parlò dei suoi incontri con il vecchio poeta greco nella città che aveva visto nascere entrambi, «la nostra Alessandria assonnata che allora, in un lampo, risplendeva lungo i suoi millenni, come non vidi mai più nulla risplendere».
(Biografia a cura di Pino Pignatta)
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