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Credere in sé stessi per credere nella vita

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Credere in sé stessi per credere nella vita
12/04/2023

Tratto da:
Enzo Bianchi, Ogni cosa alla sua stagione, Giulio Einaudi editore 2010

Guida alla lettura

In questo brano brevissimo, ma di importanza capitale per chi voglia dare un senso alla propria vita, Enzo Bianchi ci indica con semplicità il primo ingrediente per imparare a credere in noi stessi: che altri credano in noi.
Il capitolo da cui queste righe preziose sono tratte, “Imparare a vivere”, è dedicato ai tre più stretti amici di Bianchi ragazzino: Bertino, Roberto, Nanni. Ed è molto significativo che la tematica cruciale della realizzazione di sé sia affrontata attraverso il ricordo delle prime amicizie, intessute in un contesto di povertà.
Bertino era «il figlio un po’ timido del fornaio», con il quale Enzo andava per tartufi e che sarebbe diventato un noto campione di pallone elastico. Roberto, il figlio del gestore del bar e della pista da ballo, «era alto, biondo, il più bel ragazzo del paese, uno che la sapeva lunga sulle ragazze»: molto diverso da Enzo, sprezzante verso i preti e la religione, «ma umanissimo, capace di grande bontà».
Nanni era uno dei sette figli del falegname, spesso costretto a accontentarsi, la sera, di una scodella di latte con un po’ di pane o di polenta: protagonista a dodici anni di una breve fuga da casa dalla quale era tornato, accompagnato dai carabinieri, «coperto di vergogna» ma con il ricordo convinto e appassionato di luoghi visitati solo nel desiderio, ricordi di sogni. Anni dopo, ormai adulto, Nanni venne arrestato per una rapina. Bianchi andò a trovarlo nel carcere di Alessandria, e nel libro scrive: «Era invecchiato, gli erano rimasti pochi denti, ma sapeva ancora ridere come quando era ragazzo. Parlammo solo del nostro passato: non gli chiesi nulla del perché era finito lì. Chiesi invece a me stesso perché lui era in prigione e io no. Me lo chiedo ancora oggi perché sono convinto che Nanni non fosse più cattivo di me».
Da questo intreccio di ricordi narrati con affetto e sensibilità, nasce la riflessione che conclude il capitolo e che abbiamo anticipato in apertura: per crescere e trovare un senso, una direzione alla propria vita, è innanzitutto necessario che qualcun altro creda in noi – i genitori e i familiari, poi gli amici, poi il coniuge, e persino i figli (nei quali dobbiamo credere a nostra volta). Altrimenti finiremo per non credere in noi stessi e non credere nemmeno negli altri, isterilendoci in una paralisi della volontà e affogando ogni possibilità di fare, ogni progetto nascente, nella palude della paura e del nichilismo: il triste destino di Nanni, il vecchio amico di Enzo finito in prigione.
Il secondo ingrediente per imparare a credere in sé stessi e negli altri, avverte Bianchi nell'ultima parte della riflessione, è l’esercizio di un’arte oggi quasi completamente eclissata dal vortice della velocità e dell’individualismo: la pazienza. La pazienza di faticare per le passioni e gli ideali che ci infiammano il cuore, di venire a patti con i nostri limiti e i nostri errori, di accettare che gli altri non siano identici a noi ma diversi e liberi nella loro irripetibile identità, di rischiare la sofferenza che può accestire dall’amore.
La conclusione del brano è sorprendente e delicata come un sussurro. Se il senso che avremo dato alla nostra esistenza sarà ciò che resterà di noi, il lato visibile – per così dire – dell’esserci stati, il “come” saremo riusciti a trovarlo, quel senso, resterà il grande segreto che porteremo con noi, e che nessuno potrà mai pienamente svelare: perché costruito sui sogni incerti della fanciullezza, sulle scoperte emozionanti e spesso silenziose dell’adolescenza, sulle parole dette e ascoltate, sulla capacità di interrogare i nostri desideri più profondi, di resistere alle pressioni dell’ambiente, di non arrenderci alle cadute e ai tradimenti, di mantenere sempre e comunque la rotta verso l’orizzonte che avremo scelto per il nostro cammino. La nostra più grande battaglia, quella per una vita sensata, resterà un non-detto perché non-dicibile, troppo intima, troppo personale: ma sarà stato attraverso di essa che ci saremo costruiti come uomini e donne in grado di vivere il presente e di additare un domani capace di attrarre nuove vite e nuovi sogni.

La parola dell'autore

Ormai anziano, devo confessare che ho vissuta una differenza con alcuni miei compagni di infanzia: ho avuto la grazia di trovare chi credeva in me, mentre crescendo ho constatato che non c’era nessuno che credeva nei miei amici.
Ciascuno di noi ha bisogno di qualcuno che creda in lui: all’inizio i genitori e quanto ci sono vicini, poi chi decide di vivere assieme a noi, e dopo ancora i nostri figli... Avere qualcuno che crede in noi è decisivo affinché possiamo a nostra volta credere negli altri, è determinante per riuscire a trovare senso nella vita. Un uomo, una donna cui nessuno abbia mai dato fiducia finisce per non credere neppure più in se stesso e la sua umanizzazione resta così precaria e gravemente minacciata. Quante volte ho sentito persone che si riscattano da un passato disperato, da un cammino delittuoso, confessare: «Sarò grato fino alla fine dei miei giorni a X perché ha creduto in me!».
(…) Vivere è duro, e occorre imparare a vivere come si impara un mestiere. Occorre soprattutto esercitare la “pazienza”, accettare la fatica come il prezzo di tutto ciò che si acquisisce in umanità, non aver paura di vivere l’amore anche quando presenta la faccia del sacrificio per l’altro… Sì, per amore ci si può sempre curvare, sapendo che comunque la vita ci curva e che ognuno se ne va portando con sé un segreto: come ha potuto trovare senso nella propria esistenza.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È stato priore dalla fondazione del monastero sino al 25 gennaio 2017: gli è succeduto Luciano Manicardi, poi sostituito, nel gennaio 2022, da Sabino Chialà.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
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