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Anoressia, dall'autodistruzione alla rinascita

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17/07/2009

Le vostre lettere alla nostra redazione

Qualche giorno fa ho letto su questo sito la testimonianza di Elisabetta S. sull’anoressia. Mi sono riconosciuta in tante delle cose che raccontava, anche se la mia storia è in parte diversa e, certamente, meno sfortunata della sua. Così ho deciso di scrivere anch’io, per mandare un messaggio di speranza alle ragazze che sono vittime di questa tremenda malattia e non sanno come uscirne.
Ho 28 anni. L’anoressia mi ha assalita quando ne avevo 24. Posso dire di essere, come Elisabetta, un tipico esempio di quello che il mio medico chiama “psicoplasticità” del disturbo alimentare: l’anoressia non è mai stato il solo disturbo, perché ho attraversato anche lunghi periodi di bulimia, in un girone infernale dal quale solo la morte, il totale annientamento, sembrava potermi liberare.
Fanatica com’ero della forma fisica, all’inizio – proprio come Elisabetta – provavo un’ebbrezza indicibile nel controllare la fame nella fasi anoressiche e, al contrario, nel superare ogni limite di decenza nelle fasi bulimiche, riuscendo ad abboffarmi senza mettere su un solo chilo, “grazie” al vomito autoindotto e ai lassativi. Ma poi, poco per volta, ho iniziato a sentire anch’io il peso di una condotta che condizionava ogni istante della mia vita e l’orrore – sì, l’orrore – di vedere il mio corpo sempre più debilitato, negato, “ucciso” da un accanimento che purtroppo non riuscivo a controllare. Io non so se esista il “male” in se stesso (non sono religiosa e certe cose non mi hanno mai interessata), ma certamente quello che provavo allora era qualcosa di molto simile alla sensazione di essere preda di un male assoluto, cieco, distruttivo.
La svolta è arrivata circa un anno fa, quando il mio povero corpo, ormai molto dimagrito, ha iniziato a ribellarsi sul serio: ciclo sempre più irregolare, sino al blocco completo; una secchezza vaginale che non avevo mai avuto; un male tremendo ogni volta che tentavo di fare l’amore. Sintomi che non riuscivo a spiegarmi, e tanto meno mettere in relazione con l’anoressia. E’ stato allora che mi sono rivolta a una dottoressa di cui mi aveva parlato un’amica, e che era considerata molto competente in materia: è stata la decisione che mi ha salvata, sia perché questa donna ha dimostrato di meritare davvero la fama che ha, sia perché mi sono mossa in tempo e sono riuscita ad evitare le conseguenze più gravi che normalmente provoca la prolungata deprivazione alimentare.
Questo medico, prima di tutto, mi ha spiegato che i miei sintomi erano proprio provocati dall’anoressia: il progressivo dimagrimento, infatti, provoca dapprima un’alterazione del ciclo ovulatorio e poi il blocco completo delle mestruazioni, perché l’organismo debilitato non sarebbe più in grado di affrontare una gravidanza. Insomma, il blocco è una sorta di “interruttore” automatico previsto dalla natura, per evitarci guai peggiori in caso di concepimento. Il problema, però, è che l’amenorrea, soprattutto se persistente, provoca a sua volta il blocco delle produzione di estrogeni e progesterone da parte dell’ovaio. Da questo seguono a cascata la secchezza vaginale e la dispareunia, che tanto mi avevano disorientata. Ma se il blocco si fosse protratto per più di sei-otto mesi, mi spiegò la dottoressa, avrei rischiato anche danni al cervello e alle ossa, e avrei potuto persine finire in menopausa precoce: «Nel dramma che hai vissuto – disse sorridendomi con dolcezza – ti è ancora andata bene».
Chiarita la portata dei sintomi, la dottoressa mi ha spiegato la terapia che avrei dovuto fare. Per prima cosa mi ha prescritto una cura a base di estradiolo e progesterone naturale, per ridare al corpo gli ormoni che l’ovaio non produceva più. In parallelo mi ha proposto un leggero antidepressivo, per togliermi le “lenti nere” con cui ormai guardavo la realtà, e una psicoterapia per capire le cause profonde che mi avevo portato all’anoressia. Infine, mi ha incoraggiato a fare ogni giorno una bella passeggiata, senza forzare, ma con dolcezza e gradualità, e mi ha inviata da una dietologa per impostare un programma di “recupero” alimentare, soprattutto a livello di vitamine e oligoelementi, di cui ormai ero carentissima.
Da allora sono passati quattro mesi... e io sto meglio! La secchezza vaginale è quasi sparita, e non ho più quel dolore pazzesco quando provo ad avere rapporti. Ho messo su qualche chiletto, ancora poca cosa, ma intanto mi sento più in forze, e mi pare persino di avere una pelle più bella, occhi più luminosi, capelli più morbidi e lucenti. E con la psicoterapeuta, anche lei una persona splendida proprio come la “mia” dottoressa, sto camminando, piano piano ma con passo costante, alla ricerca di cosa, nel mio passato, possa avermi spinto sino all’orlo del baratro. A volte ho paura di quello che potrei scoprire... ma poi mi dico che non ho alta scelta, lo devo a me stessa e alle persone che mi amano. Ripeto, non sono ancora guarita: ma rispetto a quattro mesi fa, a volte stento persino a riconoscermi.
Il mio messaggio, quindi, è questo: care amiche, l’anoressia è la negazione stessa della vita, e lo è – almeno secondo me – in una misura più radicale di qualsiasi altra malattia, perché l’anoressica è l’aguzzina di se stessa, e condanna se stessa a una lunga discesa verso l’inferno. Uscirne è difficile, ma non impossibile, soprattutto se ci si affida con tempestività a un medico competente e umano. Dopo, ve lo assicuro, è come rinascere, e solo chi l’abbia provato può capire quanto diversi appaiano il mondo, la vita, il futuro.

Viviana L.

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