EN
Ricerca libera
Cerca nelle pubblicazioni scientifiche
per professionisti
Vai alla ricerca scientifica
Cerca nelle pubblicazioni divulgative
per pazienti
Vai alla ricerca divulgativa

Shoah: la memoria di ogni giorno

  • Condividi su
  • Condividi su Facebook
  • Condividi su Whatsapp
  • Condividi su Twitter
  • Condividi su Linkedin
Shoah: la memoria di ogni giorno
16/02/2022

Tratto da:
Enzo Bianchi, Chi ricorda non mente, La Repubblica, 24 gennaio 2022

Guida alla lettura

«Da Auschwitz non si esce mai, nemmeno dopo decenni», ha detto un giorno Liliana Segre, senatrice a vita della Repubblica italiana, superstite e testimone della Shoah. E ha aggiunto: «La memoria non può essere affidata a una sola giornata nell’arco dell’anno. Tutti i giorni sono il giorno della memoria per chi quella strada l’ha percorsa, per chi ha visto, per chi ha sentito».
Ecco perché, a distanza di qualche settimana dal 27 gennaio – il giorno in cui, nel 1945, le truppe dell’Armata Rossa entrarono ad Auschwitz – proponiamo una riflessione di Enzo Bianchi, fondatore del monastero di Bose, sull’importanza di ricordare: per fare memoria sempre, anche oggi, al di là delle celebrazioni ufficiali.
Il brano di Bianchi parte dalla perdita della memoria che colpisce molte persone in età avanzata: e poi si eleva sul piano della metafora, analizzando che cosa accade quando, a livello collettivo, si smarrisce la memoria morale. Numerose le sollecitazioni, ma ci sembra che tre in particolare vadano sottolineate con forza particolare.
La prima, e più importante: ricordare non consente di mutare il passato, irrimediabilmente perduto, ma il futuro. E’ un’osservazione fondamentale per tutti noi, e non solo per gli eventi maggiori della Storia. Fare memoria degli errori può orientare il nostro cammino; e farla del bene compiuto ci conferma nella via prescelta, rafforza le decisioni del domani, rende più sicura la determinazione.
La seconda: l’esperienza dei lager ci insegna che il male è possibile a ogni uomo, anche a ciascuno di noi. Uno dei libri più inquietanti sul Terzo Reich è “Uomini comuni” di Christopher Browning (recentemente ripubblicato da Einaudi): un implacabile dossier che documenta come lo sterminio sia stato attuato da uomini con esperienze di vita del tutto ordinarie, e trasformati in macchine di morte da un sistema di persuasione che faceva leva su un istinto del male che, unico fra gli esseri viventi, caratterizza il genere umano.
La terza sollecitazione: la Shoah fu possibile non solo per il coinvolgimento diretto dei colpevoli, ma anche per la presenza di tante persone «con la coscienza silente». E qui ci vengono in soccorso i versi di Bertolt Brecht, esaminati insieme nelle ultime settimane, sull’«inevitabile» della vita: resistere con ogni energia e personale originalità alle forze del nulla e della nullificazione, mettendo passione e coraggio in ogni atto quotidiano, coltivando un pensiero limpido ed esigente sull’orizzonte verso cui tendere.
L’uomo è definito dalla sua memoria», conclude Enzo Bianchi citando Elie Wiesel, filosofo, scrittore e, come Liliana Segre, sopravvissuto all’Olocausto. Ci definiscono anche lo spirito critico, la lucidità delle analisi, la fermezza delle scelte, l’alacrità del cammino: fattori di un esistere bello, rispetto ai quali la memoria è premessa, terreno, ossigeno, lascito.

La parola dell'autore

Chi conosce la vecchiaia perché la vive o perché la osserva nelle persone che gli sono familiari o vicine, sa che la perdita della memoria è veramente un dolore sofferto in silenzio e nell’impotenza disperante.
Perdere la memoria non è semplicemente una spoliazione, una diminuzione, ma è soffrire il furto della vita stessa. Perché la memoria è l’esile filo interiore che ci tiene legati al nostro passato, ciò che abbiamo vissuto e che solo se lo ricordiamo ci permette di cogliere cosa sia la nostra vita. Non è facile vivere in modo fecondo questo rapporto intimo con il proprio passato personale, familiare o sociale, perché corriamo sempre due pericoli di segno opposto: quello di restare prigionieri del passato, oppure quello di spezzare ogni legame con esso fino a non riconoscerlo. Nel nostro presente s’intrecciano memoria e oblio, passato e futuro, ma senza finire in un culto della memoria dobbiamo lavorare la memoria, ridestare il coraggio della memoria per aprire un futuro al passato, come avverte acutamente Barbara Spinelli in “Il sonno della memoria”. La memoria diventa allora “motrice di storia”, nel senso che reinterpreta, rilegge, ma non riscrive la storia e consente di mutare non il passato ma il futuro.
Soprattutto la memoria del male e della sua epifania è essenziale ad assumere una crudele verità: che il male è possibile all’uomo, ad ogni uomo, anche a me stesso, che il male è banale, e quindi si arriva a considerarlo come una realtà da vincere, da respingere, da condannare sempre.
Il giorno della memoria deve essere un giorno di intelligente riflessione da parte di tutti, in primo luogo per ricordare le vittime: dimenticarle significherebbe ucciderle una seconda volta! Sì, una porzione di umanità è stata perseguitata ed eliminata con un disegno progettato da un’altra parte di umanità accecata e barbara che non riconosceva più né la comune dignità umana, né la fraternità. E’ importante far risuonare con sdegno e giusta collera un “mai più!”, ma è anche necessario interrogarci perché la Shoah è potuta accadere e imparare a discernere i germi di una tale barbarie anche oggi, nel nostro presente.
Purtroppo, quando si evoca la Shoah, la si imputa esclusivamente all’ideologia nazista, individuando i colpevoli nei soggetti al servizio di quel potere totalitario e criminale. In realtà, e questo facciamo ancora fatica ad assumerlo, della Shoah furono responsabili anche moliti uomini comuni, senza condivisioni ideologiche naziste, persone con una coscienza silente e abituate a pensare solo a sé stesse. Nel silenzio o nella muta approvazione, per il bene della nazione, del popolo e della razza, scelsero l’indifferenza diventando così complici del male assoluto. Per questo, quello che è successo allora è possibile anche oggi, magari per il bene della propria identità culturale, della comunità, del proprio gruppo religioso: deboli che diventano prepotenti, impotenti che diventano aguzzini, apatici che diventano crudeli.
Gli ultimi sopravvissuti all’inferno se ne stanno andando e cesseranno le narrazioni di ciò che all’inizio fu inenarrabile anche per loro a causa dell’abissale degradazione subita. E allora più che mai occorrerà vigilanza per combattere l’affievolirsi della memoria, l’oblio che è terreno fertile per negazionismi, letture oblique e giustificazioni impossibili.
«L’uomo è definito dalla sua memoria», scriveva Elie Wiesel intendendo dire che l’umanità è singolare anche per la sua capacità di memoria. Senza questa, neanche la parola sarebbe possibile a noi umani e la verità diventerebbe menzogna.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. E’ stato priore dalla fondazione del monastero sino al 25 gennaio 2017: gli è succeduto Luciano Manicardi.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
Parole chiave di questo articolo
Sullo stesso argomento per pazienti

Il dolore e la cultura

Il dolore e la cultura

Il dolore e la cultura

Il dolore e la cultura

Vuoi far parte della nostra community e non perderti gli aggiornamenti?

Iscriviti alla newsletter