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Rinascere a una vita più limpida, più piena, più vissuta

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12/03/2010

Le vostre lettere alla nostra redazione

Ricordo ancora la data: 18 marzo 2006. Era sabato, era due giorni prima del mio trentaduesimo compleanno. Quel pomeriggio per la prima volta abbiamo fatto l’amore fino in fondo, e siamo andati a festeggiare trascorrendo il pomeriggio in un centro benessere, e qualche settimana dopo lui mi ha regalato un veretta di diamanti che voleva dire: “Insieme, con amore, possiamo superare tutto”.
A quell’anello tengo in modo particolare, forse anche più che alla fede nuziale, più che all’anello di fidanzamento. Ogni tanto, nei momenti più bui, lo guardo e sento che, adesso come allora, io ce la posso fare. Lo guardo e in qualche modo recupero un po’ di forza per andare avanti e riemergere, qualunque sia il mio abisso. Ricordo anche di averlo fatto vedere con gioia ed orgoglio alla dottoressa! Ma non è sempre stato così. Venivo da anni di dolore e di frustrazione. Il mio ginecologo mi diceva semplicemente di lasciarmi andare, che era un semplice vaginismo, ma io non riuscivo. Eppure ero innamorata, ero felice, e la mia storia familiare non era poi così dura da giustificare una paura verso il sesso e la penetrazione.
Inutile negarlo: con il fidanzato precedente a mio marito avevo tanti problemi, ma alla fine ci siamo lasciati perché non riuscivamo a fare l’amore. A un certo punto io avevo proposto di farci aiutare ma lui, in quel momento esatto, si è tirato indietro. Indietro da noi. E’ stato un grande dolore, soprattutto vedere che, nonostante mi amasse, non si sentiva di fare questo passo con me. Non si sentiva di affrontare un percorso che, molto probabilmente, ci avrebbe aiutato.
Quando ho incontrato il mio attuale marito, e quando anche con lui mi sono accorta che c’erano gli stessi problemi, ho subito capito che sarebbe stato diverso. Infatti, quando gli ho comunicato che avevo intenzione di andare da una dottoressa che si occupava di queste cose, lui mi ha subito sostenuto, accompagnandomi. La diagnosi è stata di vestibolite vulvare e vaginismo.
Ho seguito tutte le raccomandazioni della dottoressa, comprese quelle relative all’abbigliamento e all’alimentazione, compresa la fisioterapia; assumevo medicine che solo a vederle mi mandavano in depressione o che alla meno peggio mi procuravano una sonnolenza pazzesca, mi sono sottoposta a visite non proprio piacevoli... ma in sei mesi ce l’ho fatta. Da settembre a marzo. Sei mesi che, visti a ritroso, sono stati difficili. Ma sono stati solo sei mesi, e io avevo già 31 anni, quindi immaginatevi quanti anni era che vivevo quella frustrante situazione.
La gioia immensa che provavamo nell’avere rapporti completi è stata potenziata dal concepimento, al primo tentativo, di una dolcissima bambina dagli occhi neri. Nella mia vita, da allora, sono successe un sacco di cose. Tante belle, emozionanti. Alcune brutte, umilianti, tristi. Ma da quel lungo percorso ho imparato una cosa: mai fermarsi, ma andare avanti, sempre e comunque: ci sono medici preparati, ci sono medici che non ignorano il dolore della donna, medici che non pensano solo a curare le cosiddette patologie importanti e non immaginarie. Dobbiamo imparare a fidarci di noi, io per troppi anni ho cercato di fare quello che mi dicevano: lasciarmi andare. Ma a cosa serve se sotto c’è un’infiammazione, e se non curo quella?? E come faccio a saperlo? Io non sono un medico... E avrei dovuto fidarmi di più di quella vocina che mi diceva «Il tuo problema non è il lasciarti andare!».
Io, dopo quel 18 marzo, sono rinata. E nella mia vita successiva è tutto più limpido, tutto più pieno, tutto più vissuto. Anche le cose brutte e quelle che vorrei con tutto il cuore che non fossero mai successe... non c’è più quel velo. Quel velo che mi impediva di vivere, perché fare l’amore – ma farlo bene, senza dolore – è un nostro diritto, non è un colpo di fortuna. Grazie dottoressa... lei è sempre nei miei pensieri.

Sabrina R.

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