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Resilienza e terza età: come invecchiare bene con la musica – Parte 3

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14/05/2014

Tratto da:
F. Farina, L’invecchiamento positivo con la musica. In: Cristina Castelli (a cura di), Resilienza e creatività. Teorie e tecniche nei contesti di vulnerabilità, Franco Angeli Editore, Milano 2011, pag. 108-116

Guida alla lettura

Dopo aver esaminato, nella parti precedenti dell’articolo, le caratteristiche della resilienza e la sua importanza nella vita dell’anziano, Francesco Farina analizza ora lo specifico contributo che la musica può offrire alla resilienza nella terza età, presentando le diverse tesi via via emerse nella più recente e consolidata letteratura scientifica sulla musicoterapia.
Anche quando la persona anziana sia affetta da patologie fisiche e cognitive, la musica tende ad operare questi benefici:
- tranquillizza i soggetti ansiosi e stimola quelli demotivati;
- impreziosisce le relazioni e i momenti vissuti insieme;
- consente di ricordare, esprimere e condividere un particolare vissuto, soprattutto quando è legata in modo significativo alla giovinezza della persona;
- consente di mantenere attive le facoltà di ascolto, analisi e ragionamento;
- aiuta ad esprimersi creativamente, il che a propria volta è correlato con la possibilità di affrontare positivamente le angosce e le paure più frequenti nella tarda età;
- offre la possibilità di entrare in contatto con il bello e di «sperimentare alla massima potenza ciò che potremmo essere nel mondo»;
- funge da “palestra di allenamento” per il recupero delle funzionalità perdute e opera come supporto alle terapie mediche e psicologiche;
- consente, attraverso l’uso anche semplice di uno strumento, di rendere fisiche le immagini interne e le emozioni che con le parole non emergerebbero.
Farina conclude la propria analisi osservando come, alla luce di queste ricerche, la musica risulti essere tutt’altro che un passatempo ozioso o una modalità passiva di rapporto con la realtà. E cita Daniel Barenboim, pianista e direttore d’orchestra di fama mondiale, secondo il quale l’ascolto musicale può essere paragonato al sonno: in entrambi i casi, la persona è apparentemente inattiva, non lavora, non produce; ma alla lunga chi non dorme o non si dedica alla musica è meno attivo e dinamico di chi dedica il giusto tempo a queste attività. Due attività molto simili, a ben vedere, perché entrambe permettono «di ricaricarsi, di rielaborare le esperienze, ma soprattutto di sognare».
3. La musica fa sentire il tempo, non l’età

Come testimoniato dalla cultura delle più remote civiltà quali quella cinese, egizia, indiana e greca, si concorda tutt’ora sul fatto che siano molteplici i benefici che l’arte musicale apporta all’uomo. Se queste civiltà credevano che la musica potesse aiutare, intrattenere, contribuire a mantenere l’ordine sociale, addolcire l’anima e smuovere le emozioni (Tame, 1984; Watkins, 1992), anche oggi la musica è utilizzata per connotare riti o eventi di passaggio, ed è una delle principali forme di svago, intrattenimento e rilassamento, nonché un’efficiente forma di comunicazione e linguaggio (Bright, 1997; Sloboda, 1989; Storr, 1992).
Quello che non si dovrebbe dimenticare, o ridurre a caratteristica superficiale, è quella funzione talvolta identificata come potere quasi “magico” della musica, ossia la capacità di far stare bene.
Al di là delle credenze popolari, legate a rituali, spiritualità, magie (che pure hanno un fondato – seppur poetico – legame con la realtà), tutto ciò che viene descritto come vibrazioni magnetiche o risonanze emotive, trova riscontro in primo luogo nelle esperienze di musicisti, musicoterapeuti, animatori, operatori clinici o parenti di anziani in situazione di disagio, e sta acquisendo un fondamento importante grazie alle ricerche di psicologia della musica e alle teorizzazioni della musicoterapia, indirizzate alla promozione dell’invecchiamento positivo.
La musica è sicuramente un piacevole passatempo che consente sia di rilassarsi e riposarsi dopo momenti concitati o stressanti, sia di attivarsi in situazioni di coinvolgimento emotivo e divertimento. Diversi studi (Hays, Bright, Minichiello 2002; Scarantino, 1987) mostrano, in relazione all’età anziana, l’importante ruolo dell’ascolto sonoro sia per conciliare il riposo o tranquillizzare i soggetti ansiosi o particolarmente attivi, sia l’efficacia nei termini di stimolazione per coloro che si mostrano demotivati o disinteressati alle attività proposte.
La caratteristica principale della musica è quella che consente di coinvolgere le persone in risposte ritmiche, vocali, motori e o interpretative, nelle quali risulta evidente il contributo attivo di ciascuno che rende armonioso il suono, pieno il canto o coreografica la danza, ma soprattutto impreziosisce la relazione e il momento dello stare insieme. Nell’ottica della psicologia del ciclo di vita la musica, per il fatto di essere un’esperienza fortemente emotiva, assume così una connotazione estremamente dinamica e in continua evoluzione: ciò che può concorrere alla costruzione dell’esperienza musicale è legato anche all’esperienza di ciascuno, ai vissuti, alle caratteristiche individuali, al livello di sviluppo cognitivo, all’ambiente storico e culturale di appartenenza. Dafter (1996), che ha proposto la metafora delle emozioni come “armadietto dei medicinali” interno, paragona le emozioni a un kit utile per far fronte agli eventi in caso di necessità: la paura ci spinge ad occuparci di un pericolo o a fuggirlo, la gioia o lo stupore a soffermarci. Analogamente l’esperienza musicale consente di ricordare, esprimere o condividere un particolare vissuto, così come nelle colonne sonore dei film il sottofondo musicale amplifica, sottolinea, mette in condivisione le emozioni. Per la persona anziana si rivela particolarmente utile l’ascolto di musiche legate alla propria storia, per ricordare i momenti piacevoli vissuti con le persone care e gli episodi importanti della propria esistenza: è un supporto per reinterpretare gli eventi passati alla luce del presente, storicizzare il proprio vissuto, acquisire un senso di identità e chiarire (anche se non sempre è possibile) il significato degli avvenimenti, anche avversi (Hildon et al. 2008).
Un’ulteriore immagine che collega la musica alla resilienza in età anziana emerge intendendola come arte del suono organizzato. Valorizzando il complesso sistema di regole che intrinsecamente definisce i rapporti tra i suoi elementi costitutivi (ritmi, volumi, altezze e timbri) l’esperienza musicale risulta funzionale per scoprire, mantenere attive o rafforzare le facoltà di ascolto, analisi e ragionamento che talvolta durante l’invecchiamento subiscono dei rallentamenti. Una delle tante definizioni che si possono fornire della musica la presenta come rappresentazione interna che percezione, azione e memoria contribuiscono a creare. I diversi processi cognitivi attuati da ascoltatore, compositore o esecutore (Sloboda, 1989) danno senso al brano sonoro per il fatto che permettono di recepire, analizzare e combinare rapporti, volumi e gradi, contribuendo a creare quel clima di tensione e risoluzione citato da Meyer (1956) e Imberty (1986). Durante il processo di invecchiamento, è possibile attuare quale strumento di stimolazione cognitiva un percorso che consente di ascoltare, scomporre, accostare contemporaneamente diversi elementi in maniera dinamica.
Strettamente collegata a questo aspetto risulta la possibilità, data dall’esperienza sonora, di sperimentare la creatività. Una creatività che raramente coincide con quella di geni quali Mozart o Beethoven, ma che con essi condivide il campo di espressione e gli strumenti. Una ricerca di Goncy e Waehler (2006) dimostra una correlazione positiva tra l’esperienza musicale (anche attivata in maniera non professionistica) e i tratti di personalità creativa. Riprendendo quanto detto in precedenza sulla creatività, si riscontra ancora quanto essa sia strettamente collegata alla realtà: l’attività musicale assume i caratteri di un’esperienza in cui il musicista è come se dovesse risolvere un problema (comporre un brano, eseguire una partitura, cantare o suonare con altri musicisti) mediante l’utilizzo di un repertorio di note, spartiti, strumenti e sonorità che gli consentono di mettere in gioco infinite combinazioni. La capacità di sapersi esprimere creativamente è inoltre correlata con la possibilità di affrontare in termini meno drammatici le angosce e paure più frequenti in età senile (Cesa-Bianchi, Cristini, 2009).
Riallacciandoci agli studi di Hildon e collaboratori (2008), che riconoscono quali supporto per un invecchiamento positivo le relazioni sociali, Sloboda (1989) rapporta l’efficacia terapeutica della musica in età anziana al suo aspetto particolarmente socializzante. A proposito è possibile riscontrare quanto le persone fragili, con disturbi mentali o con limitazioni motorie, che spesso sono escluse da interazioni con altri, attraverso il coinvolgimento in proposte musicali quali l’ascolto di gruppo, la produzione musicale, il canto o il ballo d’insieme, diminuiscono il loro senso di solitudine o malessere (Bright, 1997; McClosky, 1985; Wylie, 1990) La musica, inserita in programmi di animazione o riabilitazione, consente di stimolare, creare e rafforzare relazioni suscitate dalla collaborazione, dalla condivisione di ascolto o dall’affinità di interessi (Bright, 1997).
Un’altra prospettiva lega il valore della musica all’opportunità che offre di entrare in contatto con il bello: con una visione analoga a quella romantica, l’arte consente di sperimentare alla massima potenza ciò che potremmo essere nel mondo (Kenny, 1989). E’ la bellezza dei suoni che ha la capacità di stimolare, aprire i cuori e contribuire a raggiungere l’integrità, poiché consente di condividere con altri l’esperienza soggettiva di significato (Levine & Levine, 1999) e di bello.
Il ruolo della musica come supporto all’età anziana risulta significativo anche in quelle situazioni dove i deficit connessi con l’invecchiamento appaiono tanto evidenti da richiedere una riabilitazione o un intervento terapeutico. Qualora il movimento fosse inficiato da traumi quali ictus o fratture, l’utilizzo del linguaggio o della manualità fine venisse negativamente intaccato da patologie degenerative, la musica potrebbe fungere da “palestra di allenamento” per il recupero delle funzionalità perdute o comunque da supporto alle attività o cure medico-psicologiche (Evans, 2007): il ritmo che sta alla base di un brano musicale può in questo modo essere sentito, ascoltato, interiorizzato ed espresso tramite un movimento che, seppure impercettibile, può richiedere uno sforzo reso meno gravoso grazie alla impercettibilità materiale del suono; e così anche l’intensità, o la velocità con cui un tamburo o uno xilofono vengono percossi, consentono a colui che non è in grado di esprimersi con la voce di rendere fisiche (come fisico è il fenomeno sonoro) quelle immagini interne che con le parole non emergerebbero.
Risulta chiaro a questo punto quanto l’ascolto o la produzione di musica sia tutt’altro che una azione superflua o una modalità passiva per estraniarsi dalla realtà o non pensare alle difficoltà. Al contrario la musica è spesso usata come risorsa per soddisfare importanti bisogni psicologici e quindi facilitare anche un invecchiamento positivo. Citando una recente intervista televisiva fatta al direttore d’orchestra Daniel Barenboim, si potrebbe definire l’utilità della musica paragonandola a quella del dormire. Quando una persona dorme, apparentemente non è attiva: non lavora, non produce, non si relaziona, è come se perdesse del tempo prezioso standosene ad occhi chiusi. Analogamente il fare o ascoltare musica potrebbe sembrare un puro divertimento, un’attività superflua, senza un’utilità pratica evidente. Alla lunga però, colui che non dorme, come colui che non ascolta o non fa musica, non è attivo e dinamico come colui che dedica del tempo a quell’attività misteriosa. Un’attività che gli permette di ricaricarsi, di rielaborare le esperienze, ma soprattutto di sognare.

... the inner playing of the Mendelssohn stopped, and in the instant it stopped my
walking stopped too... The music, the action, the reality were all one

Oliver Sacks, A Leg to Stand On (Pan Books, London, 1986)

Bibliografia

- Bright R. (1997), Wholeness in later life, Jessica Kingsley Publishers, London
- Cesa-Bianchi M., Cristini C. (2009), Vecchio sarà lei! Muoversi, pensare, comunicare, Guida, Napoli
- Dafter R.E. (1996), Why “negative” emotions can sometimes be positive: the spectrum model of emotions and their role in mind-body healing, Advances, 12 (2): 6-19
- Evans H. (2007), Medicine and music: three relations considered, Journal of Medical Humanities, 28: 135-148
- Goncy E.A., Waehler C.A. (2006), An empirical investigation of creativity and musical experience, Psychology of Music, 34, 3: 307-321
- Hays T., Bright R., Minichiello V. (2002), The contribution of music to positive aging: a review, Journal of Aging and Identity, 7, 3: 165-175
- Hildon Z., Smith G., Netuveli G., Blane D. (2008), Understanding adversity and resilience at older ages, Sociology of Health & Illness, 30, 5: 726-740
- Imberty M. (1986), Suoni, emozioni, significati, Editrice CLUEB, Bologna
- Kenny C. (1989), The field of play: a guide for the theory and practice of music therapy, Ridgeway Publishers, Atascadero
- Levine S., Levine E. (1999), Foundation of expressive arts therapy: theoretical and clinical perspectives, Jessica Kingsley Publishers, London
- McClosky L. (1985), Music and the frail elderly, Activities Adaptation and Aging, 7: 73-75
- Meyer L.B. (1956), Emotion and meaning in music, Chicago University Press, Chicago
- Scarantino B. (1987), Music power: creativity living through the joys of music, Dodd Mead and Company, New York
- Sloboda J. (1989), The musical mind: the cognitive psychology of music, Oxford University Press, Oxford
- Storr A. (1992), Music and the mind, The Free Press, New York
- Tame D. (1984), The secret power of music: the transformation of self and society through musical energy, Destiny Books, Rochester
- Watkins G. (1992), Soundings: music in the twentieth century, Shirmer Books, New York
- Wylie M. (1990), A comparison of the effects of old familiar songs, antique objects, historical summaries, and general questions on the reminiscence of nursing-home residents, Music Therapy, 27: 2-12

Biografia

Pedagogista e dottore di ricerca presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, Francesco Farina è specializzato come formatore ed educatore attraverso l’utilizzo e la sperimentazione dei linguaggi musicali.
Ha partecipato all’ideazione del modello di intervento la “Valigia dei Talenti” dell’Università Cattolica: strumento socio-pedagogico creato per contesti di emergenza educativa di strada, è volto a sviluppare in bambini e adolescenti il senso del gruppo, la presa di coscienza delle proprie emozioni e la consapevolezza delle proprie capacità, utilizzando canali comunicativi come il teatro, la musica e la pittura.
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