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La rosa è senza perché

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09/10/2013

Tratto da:
Xavier Thévenot, Avanza su acque profonde!, Edizioni Qiqajon, Monastero di Bose, Magnano (BI), 2001, p. 117-118

Si ringrazia l’editore per la gentile concessione

Guida alla lettura

L’importanza di esserci, al di là dell’utile e dell’inutile: è questa la lezione che Xavier Thévenot, sacerdote e teologo, trae nel suo letto di ammalato dai fiori recati dagli amici. Radiosi, di una forza vitale quasi insolente, ma in realtà fragili ed effimeri, «osano parlare generosamente della vita, timidamente della morte». E così il sofferente, nudo di fronte al dolore nonostante la fede che ne anima il cuore, scopre in essi «una sorta di spiraglio verso il senso e verso Dio»: nessun cedimento a un molle sentimentalismo, ma la capacità di scoprire una ragione di speranza anche in ciò che apparentemente conta di meno in un mondo troppo teso a classificare gli esseri in funzione della loro “produttività”.
La breve riflessione di Thévenot riecheggia Antoine de Saint-Exupéry, che al termine del “Piccolo Principe” ci inchioda alla domanda sul senso con parole semplici e immortali: «Alla museruola disegnata per il piccolo principe, ho dimenticato di aggiungere la correggia di cuoio! Non avrà mai potuto mettere la museruola alla pecora. Allora mi domando: “Che cosa sarà successo sul suo pianeta? Forse la pecora ha mangiato il fiore...”. Tal altra mi dico: “Certamente no! Il piccolo principe mette il suo fiore tutte le notti sotto la campana di vetro, e sorveglia bene la sua pecora...”. Allora sono felice. E tutte le stelle ridono dolcemente. Tal altra ancora mi dico: “Una volta o l’altra si distrae e questo basta! Ha dimenticato una sera la campana di vetro, oppure la pecora è uscita senza far rumore durante la notte...” Allora i sonagli si cambiano tutti in lacrime!... Per voi che pure volete bene al piccolo principe, come per me, tutto cambia nell’universo se in qualche luogo, non si sa dove, una pecora che non conosciamo ha, sì o no, mangiato una rosa. Guardate il cielo e domandatevi: la pecora ha mangiato o non ha mangiato il fiore? E vedrete che tutto cambia...».
Tutto può cambiare anche per chi non ha una fede a cui aggrapparsi: Thévenot parla a tutti, credenti e non. Il piccolo, l’effimero, l’insignificante – nel momento in cui riflette la nostra personale insignificanza e però l’attraversa con un raggio di bellezza – può diventare il punto di appoggio per sollevare lo sguardo e iniziare a vedere la luce anche quando il dolore, la sofferenza sembrano lasciarci senza via d’uscita.
Da quando sono malato e obbligato a rimanere in camera, sono numerosi quelli che vengono a trovarmi e mi portano dei fiori; esprimono così, in modo bellissimo, la loro amicizia. Senza saperlo hanno provocato in me un’evoluzione: fino a qualche tempo fa guardavo solo distrattamente i mazzi di fiori, ultimamente mi sorprendo a contemplarli con attenzione per lunghissimi momenti. Ora capisco perché la bellezza dei fiori abbia ispirato tanti poeti e pittori: sono così radiosi e nel contempo effimeri! Il loro splendore è così commovente e fonte di riflessione!
Peraltro, quando sono al culmine della fioritura, la loro forza vitale sfiora quasi l’insolenza, specie se chi li guarda ha un corpo indebolito e devastato dalla malattia. Ma in realtà il loro splendore non fa che dissimulare la loro fragilità, e anche il lavorio inesorabile del tempo e della morte, che non tarderà a manifestarsi. Perciò c’è sempre tra me e loro una specie di complicità, al punto che la mia ammirazione è mista a compassione. Comunque sia, ora li considero come compagni che osano parlarmi generosamente della vita, timidamente della morte, e che mi donano molto più di quanto non mi domandino. In una parola, la loro presenza è grazia!
A proposito dei fiori, mi torna in mente molto spesso il famoso aforisma del poeta mistico Angelo Silesio (1624-1677), in continuità con il pensiero di Meister Eckhart: «La rosa è senza perché!». Sì, la rosa è al di là dell’utile o dell’inutile. Essa è presente molto semplicemente nella sua grazia, senza chiedere nulla, e si offre alla contemplazione in tutta la sua bellezza. Nei momenti in cui la malattia sembra rendere assurde tutte le cose, mi sembra una sorta di spiraglio verso il senso... e verso Dio. D’altronde, essa diventa spesso oggetto di conversazione con alcuni miei visitatori che si trovano in uno stato di prostrazione: «La mia vita è assurda – mi dicono – non ha alcun senso. A che pro vivere?». Dopo di che accade che, indicando le rose poste sul mio tavolo, aggiungano: «Sì, ma esse sono qui! Perché?».
Il fiore, è il “Sì, ma…” del Creatore di fronte all’ oppressione del male. E’ il segno più che mai tangibile della sua presenza gratuita. In un mondo in cui è dilagante il dominio della redditività, il fiore è la conservazione del “senz’altra ragion d’essere che l’esserci”. E’ la possibilità di unire la propria meraviglia a quella che Dio prova davanti alla sua creazione e di esclamare con lui: «Quanto è buono tutto questo!».

Biografia

Xavier Thévenot (1938-2004), sacerdote francese, è stato salesiano di Don Bosco e professore di teologia morale all’Istituto Cattolico di Parigi. Affetto per oltre 20 anni dal morbo di Parkinson, ha scritto pagine dense e sofferte sulla propria esperienza di malattia.
Thévenot amava definire la morale come «ciò a cui gli uomini si obbligano quando vogliono conferire un senso alla propria vita» e come «un insieme di regole e di valori che ci consentono di trovare a poco a poco, e liberamente, cammini di umanizzazione e di felicità».
Teologo di fama internazionale, capace di parlare della morale senza cadere nel moralismo, Thévenot ha contribuito a dimostrare come sia possibile riflettere sulla realtà e assumere decisioni responsabili anche quando il bene e il male sembrano essere inestricabilmente legati.
Parole chiave di questo articolo
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