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La negazione del tempo, male del nostro tempo

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01/06/2016

Tratto da:
Luigi Zoja, Contro Ismene, Bollati Boringhieri, Torino 2009

Guida alla lettura

Anche questa settimana leggiamo alcune pagine di “Contro Ismene. Considerazioni sulla violenza”, dello psicanalista Luigi Zoja. E lo facciamo assumendo una prospettiva che già in altre occasioni abbiamo fatto nostra in questa rubrica: una buona parte del dolore morale e della sofferenza materiale che affligge le generazioni di oggi è dovuta a un distorto rapporto con il tempo. Un tempo che viene percepito non come risorsa preziosa per la realizzazione delle nostre aspirazioni più alte, ma come inesorabile conto alla rovescia verso la morte, da temere e dunque da esorcizzare.
Uno dei fenomeni che meglio rappresentano questa disfunzione esistenziale è il cosiddetto intrattenimento televisivo. Il valore programmatico di questo mostro socioculturale è lampante già nel termine: “intrattenere” significa infatti distrarre dal riflettere su ciò che ha importanza, e dall’agire di conseguenza, attraverso la somministrazione di un qualcosa di superficiale ed effimero, che rende ottusi e passivi. Oggi, sottolinea Zoja, «la televisione, il cinema, lo spettacolo insegnano a distrarsi, a non pensare, sono un passa-tempo: servono a non percepire il ticchettare del tempo».
Una simile deriva antropologica è resa possibile dal fatto che «non crediamo né nella nostra felicità né nel nostro futuro»: cosicché molti diventano poi incapaci di investire in un rapporto di coppia duraturo, in un serio studio scolastico che prepari al domani, in un lavoro che risponda realmente ai bisogni degli uomini e delle donne di oggi, nello sviluppo di una cultura personale che si alimenti della bellezza consegnataci dal passato e orienti le scelte future, persino nella difesa dalle malattie, e in una vita dello spirito – comunque la si voglia intendere – che educhi alla perseveranza e all’attesa. Così la dissipazione del tempo diventa forse il delitto più feroce del nostro tempo, soprattutto per molti giovani ignari che «ogni ora ci guarda e ci chiama».
E’ indispensabile riscoprire nelle famiglie, nelle scuole, nelle università, nelle associazioni il valore ma anche l’urgenza del tempo, che passa come un soffio, in modo da non doversi mai accorgere – secondo le parole immortali di Eugenio Montale – di essere esistiti non vivendo realmente la nostra vita.
Il timore della diversità è anche paura del tempo, perché il tempo ci rende diversi. Ho paura del diverso che non conosco, ma anche di come sarò in futuro, perché non so come cambierò. Questa riduzione del tempo al presente, di cui Orazio, con il “carpe diem” (Odi I, II, 8), e Lorenzo il Magnifico, con “Il trionfo di Bacco e Arianna”, ci hanno consegnato la bellezza, si perverte in negativo attraverso il fenomeno del consumismo.
Acquistiamo tutto e subito, senza averne bisogno, perché non crediamo né nella nostra felicità né nel nostro futuro. Per questo, ingoiamo più del necessario. Una tavoletta di cioccolato mi dà piacere. Ne ho altre che potrei tenere, ma le mangio tutte, subito. Sia il rispetto per il tempo non presente, sia il rispetto per i limiti sono scomparsi dalla nostra educazione. Vorrei inghiottire tutto il piacere, ma quello – come l’orizzonte che si sposta quanto più avanziamo – diminuisce quanto più mangiamo. Mangiamo ora il futuro, come facciamo con le risorse e l’ambiente, come Crono divorava i suoi figli. Nascosto dietro alla degenerazione ambientale e ai disturbi alimentari, il dio greco ride della propria vendetta.
Una conferma ci viene dall’andamento dell’AIDS. Dopo anni di miglioramenti, si nota una ripresa di comportamenti sessuali a rischio. Non si tratta più, però, di mancanza di informazione, ma di riduzione della percezione temporale. Il giovane di oggi – a differenza di quello degli anni Ottanta – conosce i rischi. Ma il quaranta-cinquantenne ammalato che egli potrebbe diventare è troppo distante, non lo riguarda: è un altro, che non gli interessa.
Il  nostro atteggiamento verso l’umano è improntato a questa rovinosa mancanza di fiducia nella continuità. Abbiamo realizzato armi che possono distruggere tutta l’umanità presente, ma anche – per la prima volta – alterazioni ambientali che potrebbero distruggere i nostri figli nono ancora nati.
Il teatro greco, la rappresentazione sacra, erano il contrario della riduzione dell’orizzonte temporale realizzata dall“entretainement”. Penetrava in profondità nel tempo, obbligava a riflettere sugli antecedenti dell’oggi e sulla casualità del nostro essere storico. Non a caso, sino a poche generazioni fa i governanti iniziavano opere che sarebbero state completate solo secoli dopo la loro morte.
Oggi, la televisione, il cinema, lo spettacolo insegnano a distrarsi, a non pensare, sono un passa-tempo: servono a non percepire il ticchettare del tempo, l’avvicinarsi della vecchiaia e della morte mentre consumiamo lo spettacolo. Quando la rappresentazione è finita, ha ottenuto lo stesso scopo anche per la fase successiva: ricaricata, la mente ritorna al cogito del suo lavoro. Il lavoro, infatti, richiede a sua volta una riduzione della percezione del tempo che passa: la sua produttività è solo materiale, è quasi il contrario dell’antica “produzione di senso”. Tradizionalmente, la percezione del tempo che passa produceva saggezza: ma essa non valore economico o, addirittura, è economicamente antiproduttiva. La novità dello spettacolo postmoderno, insomma, è aiutare proprio a non sentire che il tempo passa. Che ogni ora mi guarda e mi chiama.

Biografia

Luigi Zoja, nato a Varese nel 1943, è uno psicoanalista. Laureato in economia, ha compiuto le sue prime ricerche sociologiche nella seconda metà degli anni Sessanta. Successivamente si è formato presso il Carl Gustav Jung Institut di Zurigo.
Ha lavorato a Zurigo e New York, e attualmente risiede a Milano. Dal 1984 al 1993 è stato presidente del Centro Italiano di Psicologia Analitica (CIPA). Dal 1998 al 2001 ha presieduto la International Association for Analytical Psychology (IAAP), che raggruppa gli analisti junghiani a livello mondiale. Presso la stessa IAAP, dal 2001 al 2007, è stato presidente del Comitato Etico internazionale.
Molti suoi lavori studiano i comportamenti problematici del giorno d’oggi (dipendenze, consumismo, eclisse della figura paterna, odio e paranoia) alla luce di miti, testi letterari e temi archetipici. Tra i libri più famosi figurano “Nascere non basta: iniziazione e tossicodipendenza” (Raffaello Cortina, 1985 e 2003); “Coltivare l’anima” (Moretti&Vitali, 1999); “Storia dell’arroganza: psicologia e limiti dello sviluppo” (Moretti&Vitali, 2003); “Il gesto di Ettore: preistoria, storia, attualità e scomparsa del padre” (Bollati Boringhieri, 2000), vincitore del Gradiva Award nel 2002; “Giustizia e bellezza” (Bollati Boringhieri, 2007); “La morte del prossimo” (Einaudi, 2009); “Contro Ismene. Considerazioni sulla violenza” (Bollati Boringhieri, 2009); “Centauri: mito e violenza maschile” (Laterza, 2010); “Paranoia, la follia che fa la storia” (Bollati Boringhieri, 2011); “Utopie minimaliste” (Chiarelettere, 2013); “Psiche” (Bollati Boringhieri, 2015).
Parole chiave di questo articolo
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