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La mia storia di medico malato: come ho vinto la vestibolite vulvare

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29/03/2019

Le vostre lettere alla nostra redazione

Tutto è iniziato nella primavera del 2016: avevo 25 anni, mi accingevo a sostenere gli ultimi esami presso la facoltà di Medicina e Chirurgia ed ero perfettamente in salute. Fino a quel momento, infatti, ero andata dal medico meno di una volta l’anno, sempre e solo per la prescrizione di esami di controllo o di certificati per l’attività sportiva.
Ero sana, felice e spensierata come si può essere a 25 anni.
Poi cominciai a percepire dei “fastidi” in sede perianale, difficili da descrivere e ancora più difficili da sopportare: formicolii, senso di peso, dolore sordo, talvolta dolori acuti simili a scosse elettriche; questi sintomi duravano tutto il giorno, non mi permettevano di rimanere seduta a lungo e non davano segno di migliorare, nonostante perdurassero già da alcune settimane.
Pensai di essere affetta da emorroidi interne; però il proctologo che mi visitò lo escluse.
Dopo alcuni mesi questi sintomi iniziarono a estendersi alla zona genitale: portare i pantaloni cominciò ad essere fastidioso, il costume da bagno difficile da tollerare; iniziai ad avere dolore durante i rapporti sessuali: la dilatazione vaginale durante i rapporti si era ridotta, ci mettevo molto tempo a rilassare la muscolatura perineale; inoltre, cominciai a soffrire di secchezza vaginale, con conseguente aumento dei traumatismi durante i rapporti, peggioramento del dolore e sviluppo di infezioni da candida e micoplasma.
Mancava un mese alla mia laurea ed ero completamente distrutta: stavo molto male fisicamente e inoltre non potevo parlarne a nessuno (all’infuori del mio compagno e della mia famiglia). Forse è stata questa la cosa più difficile: non poterne parlare, non potersi aprire agli altri e dire: «Soffro di dolori vulvovaginali e perineali, nessun medico ha ancora scoperto la causa, ho bisogno di ascolto e di comprensione».
Purtroppo parlare di dolore pelvico cronico continua ad essere estremamente difficile, e la sensazione che ti rimane è quella di essere sola: ricordo che due medici che consultai mi risposero che ero stressata e depressa, e che dovevo rilassarmi di più; quasi come se il problema fosse solo nella mia testa.
Fu un fisiatra molto esperto di dolore pelvico cronico a prescrivermi un risonanza pelvica e ad inviarmi alla professoressa Graziottin.
La prima volta che la incontrai ero estremamente in ansia: che cosa mi avrebbe detto? Avrei avuto finalmente una diagnosi e una cura? Nel frattempo era infatti trascorso un anno e mezzo. La professoressa mi ascoltò e mi guardò negli occhi, senza temere il mio dolore; mi visitò e mi disse che dall’ipertono pelvico e della vestibolite sarei uscita. Con energia e passione per il suo lavoro, mi indicò finalmente una via: il percorso sarebbe stato lungo ma lo avremmo affrontato insieme, con grinta ed empatia. Seguii quindi le sue indicazioni: iniziai la terapia farmacologica, poi continuai con la riabilitazione della muscolatura perineale insieme a un’altra meravigliosa professionista, e affrontai anche importanti cambiamenti dello stile di vita: dalla temporanea astensione dai rapporti sessuali (necessaria ad accelerare la guarigione del vestibolo vaginale) alla dieta priva di zuccheri semplici e povera di lieviti (per ridurre il rischio di recidiva di Candida), dall’abbigliamento (niente pantaloni per i primi mesi, per ridurre lo sfregamento vulvare; solo collant di cotone) all’esercizio fisico. Tutto ciò richiese importanti sacrifici ma, se guardo indietro, vedo solo quanto sia stata importante la determinazione per uscire da un tunnel, quello del dolore perineale e vulvovaginale cronico, che sembrava senza uscita.

E’ passato circa un anno e mezzo da quella prima visita. Io sto meglio. Non sono più depressa, ho una vita quasi normale, posso stare seduta per ore e vestirmi come voglio senza provare fastidio; ho una vita sessuale attiva e felice, e il mio desiderio è tornato ai livelli di prima, cioè ottimo.
Io sono un medico: essere un medico “malato” è molto difficile; si ha estrema difficoltà ad accettare che non si trovi un nome ai disturbi prima fisici e poi psicologici che ti attanagliano; ad accettare che gli esami siano normali e che tutto appaia nella norma, quando si continua a soffrire, a stare male.
La professoressa Graziottin, con la sua enorme conoscenza clinica e con la sua grande empatia e simpatia, mi ha aiutato ad avere fiducia: in me stessa e nelle mie capacità di rinascita da un’esperienza così difficile da sostenere.
Se nel futuro sarò di aiuto a una paziente con dolore mi fiderò innanzitutto della paziente stessa, delle sue parole, ma anche e soprattutto dei segnali che mi mandano i suoi occhi, le sue espressioni, del non detto: non tutto ciò che il nostro corpo vive e prova necessita di esprimersi verbalmente. Il dolore trova espressione in ogni cosa che facciamo e viviamo. E i veri medici sanno cogliere queste informazioni, non si limitano a leggere esami e a prescrivere farmaci.
Grazie professoressa, se ora sono felice (anche se un po’ mi commuovo mentre scrivo), è merito suo.
Un abbraccio,
Un medico (oggi) felice

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