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La meditazione vipassana: per superare il dolore fisico ed emotivo

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La meditazione vipassana: per superare il dolore fisico ed emotivo
09/06/2021

Pino Pignatta

Il brano

«Ciò che ha insegnato il Buddha è un’arte di vivere. Egli non fondò e non insegnò una religione o un “ismo”. Non istruì mai i suoi seguaci a praticare riti o rituali, delle vuote e cieche formalità. Al contrario, insegnò a osservare semplicemente la natura così come è, osservando la propria realtà interiore. Per ignoranza continuiamo a reagire in modi che sono nocivi per noi e per gli altri. Ma quando la saggezza sorge – la saggezza di osservare la realtà così com’è – allora si esce dall’abitudine di reagire. Quando smettiamo di re-agire ciecamente, allora diveniamo capaci di agire davvero, con azioni che nascono da una mente equilibrata. Tali azioni non potranno essere che positive, creative, utili per noi stessi e per gli altri.
Ciò che è necessario, allora, è “conoscere se stessi”, un consiglio che è stato ripetuto dai saggi di ogni tempo. Ci si deve conoscere non solo a livello intellettuale, al livello delle idee e delle teorie, né solo a livello emozionale o devozionale, accettando ciecamente ciò che abbiamo ascoltato o letto. Questa conoscenza non è sufficiente. Si deve invece conoscere la realtà a livello effettivo. Si deve sperimentare direttamente la realtà di questo fenomeno mentale e fisico: solo questo ci aiuterà a liberarci dalle sofferenze.
Questa esperienza diretta della nostra realtà interiore, questa tecnica di auto-osservazione viene chiamata “meditazione Vipassana”. Nella lingua dell’India ai tempi del Buddha, “passana” significava guardare, vedere ad occhi aperti, nella maniera abituale. Ma “vipassana” è osservare le cose così come sono in realtà, non semplicemente come sembrano essere. Si deve penetrare la verità apparente fino a raggiungere la verità fondamentale dell’intera struttura mentale e fisica. Quando si sperimenta questa verità, si impara a non reagire più ciecamente, a non creare più negatività; e così, naturalmente, le vecchie negatività saranno gradualmente eliminate. Ci liberiamo dalla miseria».
Satya Narayan Goenka, insegnante birmano naturalizzato indiano, maestro laico di meditazione Vipaśyanā

L’approfondimento

Dopo l’articolo introduttivo in cui abbiamo analizzato il senso autentico delle meditazioni orientali – al plurale perché esistono più tecniche meditative – e abbiamo osservato la differenza con la meditazione di tipo occidentale, eccoci dunque a uno sguardo più approfondito su una pratica orientale in particolare, senza dubbio la più celebre anche in Occidente, la meditazione Vipassana.
“Vipassana” è termina dell’antica lingua indiana pali che nell’altra lingua ufficiale dell’India, il sanscrito, si scrive “Vipaśyanā”. In entrambi gli idiomi significa “vedere le cose in profondità, come realmente sono”. E’ una delle più antiche tecniche di meditazione dell’India. Insegnata più di 2500 anni fa come metodo per uscire da ogni tipo di sofferenza. E’ un metodo pratico di conoscenza e di consapevolezza di sé, non collegato a nessuna organizzazione religiosa. Ed è praticabile da tutti, all’inizio seguendo un maestro laico, oppure con un monaco buddhista della tradizione Theravada, in un corso, che può durare anche solo una decina di giorni, in cui i partecipanti imparano i fondamenti della tecnica e praticano per un tempo sufficiente a sperimentare i benefici effetti di questa meditazione, che non sono pochi e sono sperimentati ormai in tutto il mondo in ospedali e centri di riabilitazione: controllo dello stress, attenuazione della depressione e dell’insonnia, miglioramento delle funzioni cardiache e respiratorie, cura del mal di schiena e del torcicollo.
Esiste, per esempio, un centro laico di Vipassana, il Dhamma Atala, a Lutirano di Marradi, in provincia di Firenze, a circa 400 metri di altitudine sull’appennino tosco-emiliano. Ma ovviamente questo tipo di meditazione si può anche imparare in un ambiente più spirituale, religioso, come il Monastero buddhista Santacittarama a Poggio Nativo, nel Lazio, che si rifà alla tradizione Theravada (l’Insegnamento degli Anziani), tuttora fiorente nello Sri Lanka, in Birmania e in Thailandia: una delle tre principali correnti del buddhismo, che pone al centro della propria pratica quotidiana proprio la meditazione Vipassana, cioè la meditazione di “visione profonda”, che secondo questa scuola risale agli insegnamenti del Buddha storico in persona, Gautama Siddharta.
«La meditazione Vipassana è uno strumento per cambiare se stessi attraverso l’osservazione di se stessi», spiegano al Centro Dhamma Atala. «Si focalizza sulla profonda interconnessione tra la mente e il corpo, di cui può esser fatta esperienza direttamente attraverso la disciplinata attenzione delle sensazioni fisiche nel corpo, che continuamente si interconnettono e condizionano la mente. Questo viaggio basato sull’esplorazione delle comuni radici di mente e corpo dissolve le impurità mentali, e si risolve in una mente bilanciata piena di amore e compassione».
Vediamo in concreto come si svolge questa tecnica di meditazione: con l’avvertenza che, se si desidera conoscerla e praticarla, è sempre meglio non affidarsi solo all’auto-apprendimento, ma rivolgersi a insegnanti qualificati, laici o monaci buddhisti. Un corso serio, e praticato con impegno, non è una passeggiata, richiede un duro e serio lavoro. Si articola in tre fasi. Lo analizziamo attraverso le parole dell’insegnante birmano Satya Narayan Goenka, del quale abbiamo letto il frammento di un saggio e che considera la meditazione Vipassana, un’arte di vivere.
In primo luogo ci si deve astenere da ogni azione fisica e verbale che disturbi la pace e l’armonia degli altri. Non si può lavorare per liberarsi dalle impurità della mente e, nel contempo, continuare a compiere atti, con il corpo e con la parola, che le moltiplichino. Quindi, un codice di moralità è il primo passo essenziale della pratica. Ci si impegna a non uccidere, a non rubare, a non avere un comportamento sessuale scorretto, a non mentire e a non usare intossicanti. Astenendosi da queste azioni, si permette alla mente di acquietarsi quanto basta per procedere ulteriormente. Questo semplice codice di condotta morale serve a calmare la mente, che altrimenti sarebbe troppo agitata per intraprendere il lavoro di auto-osservazione.
La fase successiva prevede lo sviluppo di una certa padronanza sulla mente imparando a concentrare l’attenzione sul flusso del respiro, così come entra e così come esce dalle narici che, a ben vedere, non sono altro che una porta battente attraverso la quale, attraverso il respiro, il mondo esteriore è collegato al mondo interiore. L’aria fragrante di un bosco entra dentro di noi, e ciò che proviene da noi ritorna nell’aria del bosco: noi e il bosco siamo uniti, non c’è dualità, siamo la stessa cosa.
Più in dettaglio, un monaco buddhista theravada, Rewata Dhamma, spiega: «Quando si concentra con continuità l’attenzione sul respiro all’ingresso delle narici, la coscienza diviene gradualmente sempre più acuta e consistente. Se, mentre si sperimenta la sensazione tattile del fiato nelle narici e nel naso, appare qualche altra sensazione nel naso o nelle sue prossimità, si concentra l’attenzione anche su di quella. Sono molti i tipi di sensazioni che possono insorgere, come, per esempio, dolore, pizzicore, formicolio, pulsazioni o fremiti, calore, tepore, freddo e così via. Qualunque sia la sensazione che si sperimenta, va esaminata. Alcune possono essere semplicemente frutto di autosuggestione o d’immaginazione, ma il maestro sarà d’aiuto nel distinguere la realtà dall’immaginazione. Dopo questa fase, si comincia a osservare le sensazioni lungo tutto il corpo, dalla testa ai piedi e dai piedi alla testa. Questo è ciò che è chiamato vipâssanâ, che in realtà significa osservare le cose in modo corretto, nella giusta prospettiva, per vedere le cose come realmente sono e non solo come sembrano. La vipâssanâ insegna ad essere osservatori distaccati delle sensazioni fisiche e delle emozioni mentali. Il meditante impara ad accettare tutte le sensazioni, piacevoli e spiacevoli, senza alcuna reazione, cioè con serenità, equilibrio, intelligenza. In questo modo, la vipâssanâ è una tecnica efficacissima e, nello stesso tempo, assai semplice, per liberarsi dalla fatica mentale e dalle frustrazioni che sono così comuni al giorno d’oggi. Come risultato della continua pratica, il meditante impara ad aver coscienza delle sensazioni in modo completamente distaccato, senza desiderio o avversione, e continuando nell’osservazione distaccata, a notare come le sensazioni vadano e vengano. Comincerà a rendersi conto che tutte le sensazioni, piacevoli o spiacevoli, sono impermanenti e caduche. Il desiderio si fa meno forte e allora si può vedere che le sensazioni spiacevoli sono effettivamente spiacevoli, mentre quelle avvertite come piacevoli diventano anch’esse motivo di sofferenza quando scompaiono, a causa dell’attaccamento che si nutre per loro. Il desiderio diminuisce ulteriormente mentre si penetra più profondamente nella realtà del corpo e si scopre che ogni cosa dentro di esso è in uno stato di flusso continuo; che non c’è nulla nel corpo o nella mente che possa essere chiamato “io” o “mio” e che il mondo del corpo e della mente è falso, illusorio e privo d’essenza».
Al quarto giorno di un normale corso la mente è più calma e concentrata, capace di intraprendere l’effettiva pratica di Vipassana: osservare le sensazioni su tutto il corpo, capirne la natura, e sviluppare equanimità imparando a non reagire a esse.
Infine, nell’ultimo giorno, i partecipanti imparano la meditazione dell’amore compassionevole verso gli altri, nella quale la purezza sviluppata durante il corso è condivisa con tutti gli esseri.
Questa pratica (ma anche le successive che presenteremo) è di fatto un allenamento per la mente, che smette di essere libera di vagare nel passato o nel futuro, perché non ne abbiamo il dominio, e “torna a casa”, cioè torna dove dovrebbe essere, insieme con il corpo, che invece è immobile in una postura seduta (la più celebre la postura del loto) e dunque radicata nel momento presente. Dunque è una ginnastica mentale: così come facciamo esercizio fisico per migliorare la salute fisica, la meditazione Vipassana può essere usata per sviluppare una mente sana, ed è da questa condizione di sanità della mente, di benessere mentale, di equilibrio, che permette di liberarsi dalle negatività interiori, spesso così forti, così tossiche, da influenzare e peggiorare lo stato di salute fisico, del corpo, degli organi, inducendo sofferenza anche fisica.
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