Gli Autori hanno identificato uno schema dietetico associato ad elevati livelli plasmatici dei marker infiammatori (proteina C-reattiva, interleuchina-6, recettore 2 del fattore di necrosi tumorale alfa), e hanno condotto un’analisi prospettica delle correlazioni fra questo schema e la depressione fra le donne partecipanti allo Nurses’ Health Study, avviato nel 1976 e a tutt’oggi considerato come uno dei più vasti studi mai condotti sulla salute femminile.
E’ stato analizzato un totale di 43.685 donne di età compresa fra i 50 e i 77 anni, inizialmente senza depressione e seguite dal 1996 al 2008 (12 anni di follow up). Le informazioni sull’alimentazione sono state ottenute con regolari questionari somministrati dal 1984 al 2002. Sono state infine utilizzate due diverse definizioni di depressione:
- una “ristretta”: richiede sia una diagnosi clinica di depressione sia l’assunzione di antidepressivi;
- una “allargata”: richiede uno soltanto dei precedenti requisiti (diagnosi clinica o uso di psicofarmaci).
Questi, in sintesi, i risultati:
- nei 12 anni di follow up, sono stato documentati 2594 casi di depressione secondo la definizione ristretta e 6446 secondo la definizione allargata;
- dopo aver corretto i dati per l’indice di massa corporea e altri fattori potenzialmente confondenti, il rischio relativo (OR) di depressione in funzione dell’alimentazione è risultato 1.41 (95% CI, 1.22, 1.63; P-trend<.001) per la definizione ristretta e 1.29 (95% CI, 1.18, 1.41; P-trend<.001) per la definizione allargata.
Queste indicazioni permettono di concludere che l’infiammazione indotta dall’alimentazione è effettivamente associata a un più elevato rischio di depressione. Lo studio ribadisce dunque l’importanza degli stili di vita (di cui l’alimentazione è, insieme con il movimento fisico, l’espressione più rilevante) nella prevenzione dell’infiammazione, della neuroinfiammazione e della depressione ad esse correlata.