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Il ricordo dei fiori

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Il ricordo dei fiori
20/07/2022

Tratto da:
Emily Dickinson, Poesie, a cura di Barbara Lanati, traduzione di Margherita Guidacci, Bur Rizzoli, 2017

Guida alla lettura

In questa delicata e asciutta lirica, la poetessa americana Emily Dickinson riflette su un dato esistenziale che tocca da vicino tutti noi: la sofferenza dell’oggi sarebbe meno dolorosa, e più facile da sopportare, se non serbassimo il ricordo della felicità trascorsa per sempre. Parole che ricordano quelle, immortali, che Francesca da Rimini rivolge a Dante nel quinto canto dell’Inferno: «Nessun maggior dolore / che ricordarsi del tempo felice / ne la miseria».
Il componimento si articola in tre brevi quadri: l’immediata messa a fuoco del sentire dell’anima; una metafora che traduce il sentire in un’immagine naturale di grande forza e semplicità; la conseguenza del sentire, con il sapiente sovrapporsi di metafora e realtà: Emily, un tempo «quasi audace», si smarrisce sino a perire per il freddo di quel novembre interiore.
La lirica descrive una dinamica verificabile in tante situazioni della vita: il ricordo di un amore finito, la nostalgia di una terra perduta, il rimpianto della giovinezza e delle sue energie. Stati d’animo in cui è facile sentirsi sul punto di cedere per sempre alle forze del nulla, di lasciarsi andare al fluire di un tempo senza più sogni. Il concetto di resilienza ci insegna però che una reazione attiva può essere possibile anche in quei momenti drammatici, che il freddo dell’autunno, pur segnando il venir meno della bella stagione, può non avere l’ultima parola: anzi, ci può offrire nuovi fiori da ammirare e un nuovo cielo in cui smarrire lo sguardo, spronandoci alla semplificazione della nostra volontà, alla focalizzazione delle forze su un progetto che conti, a una felice sfrondatura di tutto ciò che, imposto da convenienze di superficie, grava sul nostro passo e ostacola la visione dell’orizzonte.
Ma tutto ciò riesce meglio se accettiamo di chiedere aiuto. Ancora Dante, nel suo straordinario viaggio oltre i confini della morte, ci insegna che non viviamo da soli, e non ci salviamo da soli. Le guide che egli impone al proprio cammino – Virgilio, Beatrice, Bernardo di Chiaravalle – sono l’esemplificazione di ciò di cui tutti abbiamo bisogno: qualcuno che ci consigli e ci sostenga non solo nei momenti più bui, ma anche quando facciamo chiarezza dentro e intorno a noi, e ci predisponiamo a ripartire, ad affrontare con passo rinfrancato un nuovo tratto di via. Quelle presenze, autorevoli e discrete, possono riscaldare un poco il freddo del novembre che tutti ci attende.

Il testo

Se potessi scordare la mia gioia passata,
ricordare soltanto la tristezza presente,
sarebbe un lieve male.
Ma il ricordo dei fiori
sempre mi fa difficile il Novembre.
Io che ero quasi audace
mi smarrisco alla fine come un bimbo
E perisco di freddo.

How happy I was if I could forget
To remember how sad I am
Would be an easy adversity,
But the recollecting of bloom
Keeps making November difficult
Till I, who was almost bold,
Lose my way like a little child
And perish of the cold.

Biografia

«Mi piace il volto dell’agonia perché so che è sincero». Questa affermazione, asciutta e spietata, rende immediatamente cara alle nostre lettrici Emily Dickinson, tra le poetesse più lette dell’Ottocento romantico americano, una vita priva di eventi esteriori, tutta essere e niente apparire, culminata dopo i trent’anni in un volontario isolamento nella casa paterna.
Nata nel dicembre 1830 ad Amherst, Massachusetts, secondogenita di Edward Dickinson, avvocato che diventerà deputato al Congresso di Washington, prende lo stesso nome della madre, Emily Norcross, dalla personalità fragilissima: e ancora oggi i biografi s’interrogano su quanto questa scelta abbia influito nell’elaborazione della personalità della Emily figlia e poetessa, che già a 23 anni inizia a isolarsi.
Compie studi essenzialmente da autodidatta, dopo che il padre l’aveva ritirata da scuola ai tempi delle superiori. Nel 1852 conosce un’altra poetessa, Susan Gilbert, che diventa sua cognata dopo avere sposato il fratello maggiore, Austin. Matrimonio che le farà fare un importante incontro: con Ralph Emerson, tra i più influenti filosofi e scrittori americani.
Grazie a questa “liason” Emily conosce Samuel Bowles, direttore dello Springfield Daily Republican, un quotidiano che nel 1861 – anno in cui in Italia nasce la lira e si proclama l’Unità del Regno, e negli Stati Uniti diventa presidente Abraham Lincoln – pubblica per la prima volta alcune sue poesie. A poco a poco la casa dei Dickinson diventa il centro culturale del piccolo paese, e in questa atmosfera di effervescenza intellettuale Emily inizia a scrivere. Da qui in poi aumenta la produzione letteraria in versi ed esplode l’ispirazione nel senso più romantico del termine, perché stilisticamente parlando è al Romanticismo che la poesia di Emily Dickinson appartiene.
In questi anni compone circa quattrocento liriche, nonostante gran parte dei versi rimangano nel cassetto: la fama – e dunque le riflessioni della critica sul valore della sua poesia – sarà quasi tutta postuma. A questo contribuisce Thomas Wentworth Higginson, giornalista e scrittore, al cui giudizio Emily sottopone un centinaio di poesie, che tuttavia Higginson, pur intuendone il valore, le sconsiglia di pubblicare: il vero motivo non è noto, ma è probabile che nella società americana dell’epoca, segnata dalle rigidità religiose protestanti, risultasse sconveniente che una donna scrivesse in modo così libero e aperto delle proprie inquietudini.
I lutti iniziano a colpire la famiglia: muoiono il padre, la madre, il nipote. Dal 1864 Emily si chiude in modo totale nella sua stanza: rifiuta di vedere estranei, veste solo di bianco, e dà sfogo al suo dolore interiore nelle poesie e nelle lettere. Nel 1885 si ammala. Muore il 15 maggio 1886, a 56 anni, nella casa di Amherst, senza essersi mai allontanata dal paese eccetto brevi viaggi. E’ la sorella Vinnie a scoprire i suoi versi nascosti e a quel punto iniziano varie pubblicazioni, sino all’edizione critica completa del 1955, che comprende 1775 poesie.
L’Enciclopedia Treccani, nella sua essenzialità, ci aiuta a capire il mondo interiore di questa autrice: «La tematica della poesia dickinsoniana è senza zone intermedie: dalle piccolissime cose della vita quotidiana che rappresentano la cornice esterna della sua esistenza, ai grandi temi della vita dell’anima (amore, morte, eternità) che ne rappresentano le angosce essenziali e permanenti e che acquistano effettiva dimensione lirica nel dominante tema della solitudine, che si risolve in stato di sospensione e paura, senso di esclusione ed esasperata consapevolezza della fragilità del reale».
(Biografia a cura di Pino Pignatta)
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