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Il mio frammento di azzurro nel cielo nero del dolore

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27/01/2012

Le vostre lettere alla nostra redazione

Il viaggio che racconterò è il viaggio della mia storia, della mia vita, della vittoria della speranza. La motivazione che mi porta a renderlo pubblico è la certezza che la condivisione di ciò che ha valore produce altrettanto valore.
Il mio viaggio inizia con il desiderio di essere madre. Visite, controlli, accertamenti, esami, prognosi… alla fine sempre la stessa diagnosi: «La sua incapacità a concepire è di tipo psicologico». Sapevo e soprattutto sentivo che non era così. Questo supplizio è durato circa tre anni: poi, a seguito di un esame molto invasivo, ho deciso di mettere la parola “fine” ai miei sogni.
Ho rifatto una visita ginecologica dopo cinque anni, quando un ritardo di un mese mi ha portato a bussare alla porta di un ginecologo. Seconda fase del supplizio, molto più traumatica e umiliante: «Lei, signora, non è incinta: è in menopausa». Mi sono sentita amputata dalla freddezza e dalla mancanza di cura nel comunicarmi la diagnosi. Non volevo crederci, quelle parole risuonavano in me come una sentenza di morte. Ogni speranza, ogni possibilità mi veniva negata! Ho lottato contro me stessa, contro quella diagnosi crudele che non trovava sentenza di appello, ma di menopausa precoce si trattava.
Avevo un corpo che non riconoscevo più, un corpo che temevo perché mi procurava dolore fisico e spirituale. La mia capacità di fronteggiare con entusiasmo le situazioni, la mia voglia di vivere e la vita di coppia erano fortemente compromesse. Non mi sentivo più una donna, ma un utero che non aveva mai funzionato. La vecchia ferita, rimarginata a fatica, tornava nuovamente a sanguinare più prepotente che mai. Ero il mio utero inceppato. Lo ero per i medici che consultavo, che ancora una volta non mi riconoscevano come donna. La mia femminilità negata, la narrazione del mio dolore fisico non trovava diritto di cittadinanza e intanto la vestibolite, che nessuno mai mi aveva diagnosticato, e i sintomi della menopausa precoce peggioravano nonostante le cure.
Ma la vita possiede una forza atavica e questa forza sta nella cura autentica. Ho trovato il mio angelo maieutico che ha saputo accogliere e decifrare i codici della narrazione del mio dolore, che ha permesso che io non fossi più solo un caso clinico, ma la donna che sono. Le cure non autentiche di prima amputavano i miei spazi di gioia, mentre l’eccellente dottoressa a cui alla fine mi sono affidata si è presa cura della mia persona, curandomi anche dalla malattia. Ha parlato con me di me in uno spazio relazionale professionale, consapevole ed efficace a produrre fiducia. In meno di sei mesi, ho risolto a pieno la vestibolite, di cui mai nessun medico mi aveva fino a quel momento parlato: da una diagnosi di vestibolite severa, al primo controllo, sono passata, solo dopo due mesi, a una diagnosi di netto miglioramento e, dopo soli cinque mesi, alla guarigione completa. Per non parlare poi degli esiti della cura per la menopausa precoce: ho ritrovato il gusto per della vita, ho ritrovato il sapore di far l’amore con mio marito e di godere di un atto intimo sano e consapevole. E soprattutto ho ritrovato me stessa, grazie a una donna e a un’eccellente professionista che mi ha curata autenticamente con passione.
Questa testimonianza appassionata la offro a me stessa come memoriale e a tutte le donne che come me hanno vissuto o stanno vivendo con disperazione e mancanza di fiducia uno stato di salute precario che può essere guarito. È possibile, davvero possibile, trovare “il proprio frammento di azzurro anche nel cielo più nero”, quando lo spazio del prendersi cura si “autentica” nell’aver cura della persona nella sua interezza. Il mio frammento di azzurro io l’ho trovato in questa dottoressa, e nella sua cura autentica. Grazie.
Chiara

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