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Il lungo viaggio della dimora della vita

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Il lungo viaggio della dimora della vita
13/10/2021

Tratto da:
Friedrich Hölderlin, La veduta
In: Poesie scelte, Feltrinelli, 2018

Guida alla lettura

Accettare serenamente il fluire del tempo: è l’insegnamento di questa elegante lirica di Friedrich Hölderlin, nella splendida traduzione di Susanna Mati, curatrice dell’edizione italiana Feltrinelli.
La struttura è essenziale: due quartine di versi rimati, secondo lo schema AABB, nel testo tedesco; l’efficace sequenza di una paronomasia, ossia dell’accostamento di parole simili nel suono ma diverse nel significato (vita : vite), una rima perfetta (estate : oscurate), un’assonanza vocalica (tempi : svelti), una rima identica interna (splende : splende), un’insistita ricorrenza di termini afferenti alla sfera semantica della vita naturale (vite, campo, selva, natura, cieli, alberi, fiori) nella versione in lingua italiana, che non perde nulla dell’incanto sospeso dell’originale.
Il pensiero del poeta è semplice, eppure sfida in profondità le nostre paure: quando la vita si allontana, quando i nostri giorni assumono le sfumature autunnali della vite, quando i campi estivi perdono le spighe e i boschi la loro luce, è giusto permettere al tempo di concludersi. Perché, se il nostro è breve e corre rapido, il tempo della natura è destinato a permanere dopo di noi: in questo armonico contrasto si compiono la perfezione della vita e la sintonia del tutto, come un albero che in primavera si copra ancora una volta di fiori colorati.
Indimenticabile, in una poesia in cui ogni verso è un capolavoro, l’immagine della “dimora della vita”: l’esistenza non solo come flusso di istanti, come evento biologico, ma come “casa” del nostro io, dei nostri sogni, del nostro dolore. Un’espressione destinata a fissarsi nella memoria di chi legga con attenzione e rispetto i versi di un uomo che, forse senza saperlo, era al termine del suo viaggio terreno.
Secondo la tradizione, infatti, è questa l’ultima lirica scritta da Hölderlin pochi giorni prima di morire, con la stessa datazione irreale della precedente, l’incongruo nome di Scardanelli e firmata “Mit Unterthänigkeit”: con umiltà, deferenza, devozione, ma anche “pietas”, la virtù di chi onora gli dei e non travalica, accecato dalla “hýbris”, dall’arroganza, i limiti della natura umana.
Quando lontano va la dimora della vita,
dove lontano splende il tempo della vite,
là è anche il campo vuoto dell’estate,
la selva appare d’immagini oscurate;

che la natura compia l’immagine dei tempi,
permanga lei, loro scorrano svelti,
allora è perfezione, l’alto dei cieli splende
all’uomo, come gli alberi di fiori si coronano.

Con umiltà, il 24 maggio 1748. Scardanelli.


Wenn in die Ferne geht der Menschen wohnend Leben,
Wo in die Ferne sich erglänzt die Zeit der Reben,
Ist auch dabei des Sommers leer Gefilde,
Der Wald erscheint mit seinem dunklen Bilde;

Dass die Natur ergänzt das Bild der Zeiten,
Dass die verweilt, sie schnell vorübergleiten,
Ist aus Vollkommenheit, des Himmels Höhe glänzet
Den Menschen dann, wie Bäume Blüt’ umkränzet.

Mit Unterhänigkeit, d. 24 Mai 1748. Scardanelli.

Biografia

Friedrich Hölderlin nasce a Lauffen am Neckar, nel land del Baden-Württemberg, il 20 marzo 1770. Rimasto orfano di padre in giovanissima età, prende lezioni private di greco, latino, dialettica, retorica; studia flauto e pianoforte. Legge Schiller, Euripide, i Canti di Ossian e si appassiona progressivamente all’antichità classica.
A 18 anni viene ammesso nel collegio Stift di Tübingen, ove studia filosofia (che include matematica e fisica) e teologia. Fra i suoi compagni di studi spiccano i futuri filosofi Hegel e Schelling: con loro legge Spinoza, Kant, Rousseau, Fichte, e sogna per la Germania una rivoluzione simile a quella francese. Nonostante l’evoluzione sanguinaria del Terrore, Hölderlin vedrà sempre in quell’evento un'occasione di liberazione spirituale, di ritorno dell’individuo all’armonia con i propri simili e con la natura.
Il 17 settembre 1790, al termine del primo biennio di studi, ottiene il titolo di “Magister philosophiae” con due dissertazioni: una sulla storia dell’arte greca, e l’altra centrata su un originale parallelismo fra i Proverbi di Salomone e «Le opere e i giorni» di Esiodo. Nei due anni successivi scrive inni idealistici alla libertà e, nel 1793, la prima stesura, andata perduta, del romanzo epistolare «Iperione», storia un giovane in lotta per la Grecia oppressa dall'Impero ottomano. Nel 1793 si laurea in teologia, lasciando lo Stift. Il 6 dicembre diviene pastore; ma, contrariamente ai desideri della madre, rifiuta di avviarsi all'attività ecclesiastica: si manterrà negli anni con diversi incarichi di precettore.
Dopo un intenso periodo intellettuale trascorso a Jena, nel 1796 diviene precettore nella casa del banchiere Jakob Friedrich Gontard, a Francoforte: è l’evento che imprime una svolta decisiva, anche se infelice, alla sua vita. Il banchiere è sposato con Susette Borkenstein, una donna di ventisette anni, bella, colta e intelligente. Hölderlin si innamora di un amore subito ricambiato: Susette rappresenta per lui la bellezza e la serenità greca, l’ordine nell’inquietudine e nel caos interiore e storico.
Nell’aprile del 1797 viene pubblicato il primo volume di Iperione, accolto da molti intellettuali come un romanzo di importanza epocale. Ma il suo rapporto con Susette comincia a destare, all’inizio del 1798, i sospetti del banchiere Gontard. Il poeta si trasferisce a Homburg, da cui continua la relazione clandestina; lavora alla tragedia, che resterà incompiuta, «La morte di Empedocle» e pubblica altre odi e brevi liriche.
Nel 1799 esce il secondo volume dell’Iperione, che il poeta invia a Susette con la dedica «A chi, se non a te?». I loro incontri ormai sono rari, ma la corrispondenza si mantiene costante. Nonostante l’intensa attività letteraria, le condizioni economiche del poeta sono precarie. Accetta altri incarichi come precettore, che lo portano in Svizzera e poi in Francia, a Bordeaux.
Susette, sofferente di tisi, muore il 22 giugno 1802: in Friedrich iniziano a manifestarsi le prime turbe psichiche che lo porteranno alla schizofrenia.
Nell’aprile del 1804 pubblica le traduzioni dell’«Antigone» e dell’«Edipo re» di Sofocle, accolte tiepidamente dalla critica. Escono anche i «Canti della Patria», vertice del suo impegno poetico e politico. Il 19 giugno 1804 torna a Homburg, prendendo servizio come bibliotecario di corte. Coinvolto in tempestose vicende private, nonostante il disagio psichico, riesce a dedicarsi ancora alla poesia e a tradurre e commentare le odi di Pindaro.
L'11 settembre 1807, a seguito di una nuova crisi, Hölderlin viene ricoverato nella clinica psichiatrica di Ferdinand Autenrieth a Tübingen. I metodi del medico sono avanzati, per l’epoca, ma le sue condizioni non migliorano e viene dichiarato incurabile. Viene allora affidato alla famiglia di Ernst Zimmer, piccolo imprenditore di buona cultura. La stanza del poeta si trova nel retro della casa ed è di forma circolare: verrà chiamata “la torre di Hölderlin”. Ha una vista bellissima sulla città e sul fiume Neckar. Qui Friedrich trascorrerà gli ultimi trentasei anni della sua vita.
La figura di poeta folle comincia ad assumere contorni mitici, e molti vengono a fargli visita. Nel 1838 muore Ernst Zimmer e del poeta, da quel momento, si prende cura la figlia Lotte. Hölderlin, in condizioni mentali sempre più confuse, inizia a firmare le sue poesie con il nome di Scardanelli, apponendovi incongrue date di fantasia. Malato di polmonite, muore il 7 giugno 1843. Sottoposto nei decenni successivi, e soprattutto nel Novecento, a un attento lavoro di approfondimento critico, è oggi considerato uno dei più grandi poeti di tutti i tempi.
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