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Gli ulivi della vita

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Gli ulivi della vita
22/06/2022

Tratto da:
Nazim Hikmet, Poesie d’amore, Mondadori, 2016

Guida alla lettura

Il poeta Nazim Hikmet, che altrove rappresentava con intensa drammaticità l’angoscia che talora afferra il nostro cuore, ci invita oggi a cogliere la bellezza della vita: una bellezza intessuta non di banali buoni sentimenti, ma di un senso acuto ed esigente della serietà dell’esistenza, dell’importanza di saper donare la vita proprio quando più la si ama, della fiducia nel futuro che deve sempre animare i nostri giorni. Un’intensità dei sensi e del pensiero che coglie nella sete di esserci dello scoiattolo la propria cifra più eloquente, e che vede nell’indimenticabile immagine degli ulivi piantati in tarda età, non per i figli ma per se stessi, l’espressione più originale e vera.
La lirica corre sul filo di un linguaggio quotidiano, colloquiale (si noti la doppia ricorrenza dell’intercalare “ad esempio”, ben poco aulico e quasi prosaico), ma capace di esortare con forza a una decisa presa di responsabilità verso se stessi e il tempo che, a tutti, è concesso una volta per tutte. L’iterazione, in apertura delle prime due strofe, della secca affermazione «La vita non è uno scherzo» suona come un monito severo; la seconda e la terza strofa, a loro volta, sono legate dall’invito «Prendila sul serio»: due versi che dicono tutto l’essenziale, il resto è ermeneutica, interpretazione asciutta ma esaustiva di questo appello. La vivace energia dell’animaletto che, immaginiamo, appare all’improvviso nel bosco, il coraggio di vivere e di morire perché altri esistano, altri di cui nulla sappiamo ma che condividono con noi la chiamata al qui e ora, la felice incoscienza del vecchio che pianta ulivi perché nel proprio cuore crede, contro ogni evidenza, che li vedrà crescere e fiorire e dare frutto, sono la conseguenza della serietà con cui avremo preso i nostri giorni, del non scambiare la vita con un gioco.
Ci sono racconti, romanzi, poesie in cui ci dovremmo imbattere da ragazzi, quando le strade dinanzi a noi si aprono rettilinee e chiedono soltanto di essere scelte e percorse. I brevi versi di Hikmet, che seppe prendere sul serio la propria vita fino a soffrire per la libertà, fanno parte di questi preziosi lasciti della cultura.

Il testo

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
come fa lo scoiattolo, ad esempio,
senza aspettarti nulla
dal di fuori o nell’aldilà.
Non avrai altro da fare che vivere.

La vita non è uno scherzo.
Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che messo contro un muro, ad esempio, le mani legate,
o dentro un laboratorio
col camice bianco e grandi occhiali,
tu muoia affinché vivano gli uomini
gli uomini di cui non conoscerai la faccia,
e morrai sapendo
che nulla è più bello, più vero della vita.

Prendila sul serio
ma sul serio a tal punto
che a settant’anni, ad esempio, pianterai degli ulivi
non perché restino ai tuoi figli
ma perché non crederai alla morte
pur temendola,
e la vita peserà di più sulla bilancia.

Biografia

Nato nel 1902 a Salonicco, oggi principale città della Macedonia greca, ma fino al 1912, cioè fino alla prima guerra dei Balcani, sotto il controllo ottomano, Hikmet è in realtà turco perché figlio di un diplomatico, a sua volta figlio di un console turco. Si forma inizialmente nel liceo francese di Galatasaray, quartiere di Istanbul; poi, per adeguarsi all’alto lignaggio del padre e del nonno, viene orientato all’Accademia della Marina militare, che tuttavia lascia per motivi di salute.
Inizia a scrivere poesie a 14 anni, e a poco a poco introduce un’innovazione radicale: i versi liberi nella tradizione poetica turca. La sua vita assume presto una connotazione politica perché durante la guerra d’indipendenza in Anatolia si schiera inizialmente con Atatürk, padre della Turchia moderna, rimanendo presto deluso dagli ideali nazionalisti. Decide così di iscriversi al partito comunista e per un certo periodo insegna a Bolu, fra Ankara e Istanbul. Subisce una condanna per marxismo e nel 1922 va in esilio in Russia, anche per l’impossibilità di rimanere in patria dopo aver denunciato i massacri in Armenia. Si iscrive all’Università di Mosca, facoltà di Sociologia. Ed è proprio durante gli studi accademici che incontra letterati e scrittori russi, tra i quali uno dei suoi maestri, il poeta Majakovskij. A Mosca si sposa una prima volta: le nozze verranno annullate al rientro in Turchia nel 1928.
Ritorna in patria senza un regolare visto, finisce in prigione: circa cinque anni durante i quali scrive cinque raccolte di versi. Torna libero grazie all’amnistia generale del 1935. Oltre che alla poesia si dedica al romanzo, al giornalismo, e ad altri lavori letterari più umili come la correzione di bozze, perché deve mantenere la seconda moglie e la madre anziana e vedova.
La sua poesia comincia a essere invisa al regime. Nel 1937, accusato d’avere incitato, con le sue liriche, la Marina turca a ribellarsi, è di nuovo arrestato e subisce un’altra pesante condanna, oltre 28 anni di prigione, a causa anche di attività anti-naziste e anti-franchiste, e per l’opposizione alla dittatura nazionalista di Atatürk. Una commissione internazionale alla quale partecipano Jean-Paul Sartre e Pablo Picasso interviene per far ridurre la condanna e chiedere la scarcerazione, che avverrà comunque dopo 12 anni di prigionia.
In questo periodo scrive i versi più belli, che allargano la sua notorietà in molti Paesi del mondo. Liriche d’amore e d’impegno politico, tanto che Nazim Hikmet è definito il “comunista romantico”: «Nasceranno da noi / uomini migliori. / La generazione / che dovrà venire / sarà migliore / di chi è nato / dalla terra, / dal ferro e dal fuoco». E ancora: «I tuoi occhi i tuoi occhi i tuoi occhi: / che tu venga all’ospedale o in prigione / nei tuoi occhi porti sempre il sole».
Durante il secondo periodo di prigionia divorzia ancora per sposare una traduttrice. Diventa padre di un figlio. Scarcerato nel 1949, subisce due attentati a opera di emissari del regime. Si salva, ma fugge di nuovo in Russia: su una barchetta, attraverso il Bosforo, rischia il naufragio per una tormenta, e viene salvato da una nave bulgara. La Turchia gli toglie la cittadinanza, ma diventa cittadino polacco per fama di poeta. A Mosca, nel 1960, divorzia ancora per sposare la giovane Vera Tuljakova, una giornalista russa. Da questo momento scrive quasi esclusivamente brevi poesie d’amore, di nostalgia, soprattutto quando è lontano dalla moglie per motivi letterari: «Sono cent’anni che non ho visto il suo viso».
Nazim Hikmet muore a 61 anni per un attacco di cuore. Solo 40 anni dopo, nel 2002, il governo turco, a seguito di una petizione firmata da mezzo milione di cittadini, gli restituisce la cittadinanza. Dopo una vita di sofferenze, di battaglie e di odio per motivi politici, Hikmet viene riabilitato.
L’amico poeta Pablo Neruda racconta così il trattamento riservato in carcere a Hikmet: «Condannato alle punizioni più terribili. Costretto a camminare sul ponte di una nave fino a sentirsi troppo debole per rimanere in piedi. Legato in una latrina dove gli escrementi arrivavano a mezzo metro sopra il pavimento… Il mio fratello poeta sente le sue forze mancare; resiste con orgoglio; comincia a cantare; all’inizio la sua voce è bassa, poi sempre più alta fino a urlare; canta tutte le canzoni, tutti i poemi d’amore che riesce a ricordare, i suoi stessi versi, le ballate d’amore dei contadini, gli inni di battaglia della gente comune; canta qualsiasi cosa che la sua mente ricordi; e così vince i suoi torturatori».
(Biografia a cura di Pino Pignatta)
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