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La speranza, fondamento del senso e della vita

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La speranza, fondamento del senso e della vita
10/05/2023

Tratto da:
Autori vari, Not too late: changing the climate story from despair to possibility
A cura di Rebecca Solnit e Thelma Young Lutunatabua, Haymarket Books (USA), 2023

Guida alla lettura

Questa breve raccolta di frasi, secche come aforismi, è tratta dall’introduzione che la scrittrice e attivista statunitense Rebecca Solnit ha preparato per l’antologia «Not too late: changing the climate story from despair to possibility». Un titolo che, tradotto liberamente in italiano, suona più o meno così: «Non è troppo tardi: come cambiare la storia del clima passando dalla disperazione agli orizzonti della possibilità».
Il testo è stato recentemente ripreso dal giornalista Giovanni De Mauro per il blog di Enzo Bianchi, accanto (non per caso) a una riflessione dello stesso Bianchi sulla fragilità e, al tempo stesso, la bellezza del creato: «Poche cose sono precarie come un fiore, ma chi, contemplandolo nella sua precarietà, non sa vederne la bellezza?» (La Repubblica, 8 maggio 2023).
Le parole di Rebecca Solnit sono talmente profonde e belle che qualsiasi commento rischierebbe di soffocarle come una sovrastruttura non necessaria. Ma ci sembra importante sottolineare almeno alcuni dei concetti che emergono dalla densissima riflessione: la speranza non presuppone una certezza sul futuro ma, anzi, significa correre dei rischi e agire senza avere garanzie sull’esito delle nostre azioni; significa «accettare la disperazione come emozione, ma non come analisi», inquadrandola cioè nella categoria delle reazioni istintuali dell’essere umano, ma senza permetterle di condizionare la nostra visione del mondo e la nostra motivazione a migliorarlo; significa non dare mai nulla per scontato, o per impossibile; e significa infine avvertire nell’intimo di sé stessi che gli atti di giustizia vanno compiuti perché è bene che sia così, indipendentemente dal loro risultato.
Il pensiero corre all’esigente morale di Kant, a certe liriche di Brecht, e al sentire del salmista, per il quale il cammino conta più della meta: concetti su cui siamo più volte tornati in questo sito. La speranza, d’altronde, è per i cristiani virtù teologale, ossia ispirata e resa possibile dal lógos di Dio. Ma è divino sperare in generale, anche in una vita per ogni altro aspetto agnostica, contro ogni evidenza di destino, contro ogni ostacolo, contro ogni tentativo di perfido condizionamento: perché la categoria concettuale del “divino” indica semplicemente ciò che noi, nei diversi tempi della storia e nelle diverse culture, consideriamo fondamento ultimo e ragione suprema dell’essere – e cosa c’è di più fondativo dell’essere di una speranza ostinata, per affermare, sempre e comunque, le ragioni della vita e del senso?
Rebecca Solnit scrive in qualità di attivista per l’ambiente, ed è sulle grandi e drammatiche questioni del cambiamento climatico che lancia il suo messaggio. Ma quelle parole hanno una portata così generale che andrebbero lette e studiate a scuola, per fare di ogni giovane un “attivista” di lucidità, impegno e speranza per il proprio avvenire. Perché, in un momento storico che sembra dominato dal decadimento e dalla mediocrità, solo dalla chiarezza di visione e dal coraggio della fatica, sorretti da un’incrollabile speranza, potranno scaturire azioni capaci di restituire senso alla vita di ciascuno e di tutti.

La parola dell'Autrice

La speranza è diversa dall’ottimismo. L’ottimismo presuppone il meglio e la sua inevitabilità, il che porta alla passività, proprio come il pessimismo e il cinismo che presuppongono il peggio.
Sperare, come amare, significa correre dei rischi ed essere vulnerabili agli effetti di una perdita.
Significa riconoscere l’incertezza del futuro e impegnarsi a cercare di partecipare alla sua creazione.
Significa affrontare le difficoltà e accettare l’incertezza. Sperare significa riconoscere che si può proteggere qualcosa di ciò che si ama anche se si soffre per ciò che non si può proteggere – e sapere che dobbiamo agire senza conoscere l’esito di queste azioni.
Più e più volte il mondo è stato cambiato da persone che, all’inizio, sembravano troppo deboli per sfidare le istituzioni più potenti del loro tempo. Sperare significa accettare la disperazione come emozione, ma non come analisi. Riconoscere che ciò che è improbabile è possibile, così come ciò che è probabile non è inevitabile. Capire che difficile non equivale a impossibile. Pianificare e accettare il fatto che l’imprevisto spesso sconvolge i piani, sia in meglio sia in peggio.
Sapere che i potenti hanno le loro debolezze e che noi, che in teoria siamo deboli, abbiamo un grande potere insieme, il potere di cambiare il mondo, lo abbiamo fatto in passato e lo faremo ancora. Sapere che il futuro sarà come lo costruiamo nel presente. Sapere che la gioia può apparire nel bel mezzo di una crisi e che una crisi è un bivio.
Forse la speranza è il coraggio di perseverare quando vincere sembra difficile; forse non è la speranza, ma la fede che sostiene le persone quando il successo sembra inconcepibile.
E’ in questo senso che ne parla il drammaturgo Václav Havel, che è stato un catalizzatore della rivoluzione e del cambio di regime in Cecoslovacchia negli anni Settanta e Ottanta: «La speranza non è la convinzione che qualcosa andrà bene, ma la certezza che vale la pena fare qualcosa a prescindere da come andrà a finire».

Biografia

Rebecca Solnit nasce nel 1961 a Bridgeport, una cittadina del Connecticut affacciata sul braccio di Oceano Atlantico che, verso sud-ovest, conduce a New York.
Nel 1966 si trasferisce con la famiglia in California. Negli anni successivi studia a Parigi, alla San Francisco State University e infine all’Università di California a Berkeley, ove consegue la laurea magistrale in Giornalismo. Dalla fine degli anni Ottanta opera come scrittrice indipendente in materia di ambiente, politica, arte e viaggi.
Rebecca Solnit sostiene da sempre campagne ambientaliste e per i diritti umani e delle donne, collaborando in particolare con il Western Shoshone Defense Project, un programma a favore dei nativi americani. Scrive per The Guardian e Harper’s Magazine, sul quale è stata la prima donna a curare la rubrica “Easy Chair”, fondata nel 1851. Pubblica inoltre con regolarità sul blog di argomento politico TomDispatch (che si dichiara «A regular antidote to the mainstream media») e su Literary Hub, un portale di critica letteraria.
Solnit è autrice di diciassette libri e numerosi saggi. Il volume “Not too late”, raccolta di articoli e interviste curata in collaborazione con l’attivista Thelma Young Lutunatabua, è stato definito «un caso tonificante di speranza sul clima», purtroppo non ancora tradotto in italiano. La quarta di copertina dell’edizione americana recita: «Not Too Late porta forti voci sul clima da tutto il mondo, per affrontare le dimensioni politiche, scientifiche, sociali ed emotive del problema più urgente che gli esseri umani abbiano mai affrontato. Accessibile, incoraggiante e coinvolgente, è un invito a tutti a comprendere più a fondo le questioni sul tappeto, partecipare al dibattito con più coraggio e immaginare il futuro in modo più creativo».
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