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L’aurora dell’ultima luce

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L’aurora dell’ultima luce
06/07/2022

Tratto da: Ada Negri, Pensiero d’autunno
In: Vespertina, a cura di Cristina Tagliaferri, Marsilio, 2020

Guida alla lettura

Questa delicata lirica di Ada Negri si apre come una preghiera al Dio della tradizione cristiana, ma poi diventa l’espressione di un desiderio che tutti noi potremmo fare nostro: il desiderio di morire con dolcezza, «per ricongiungersi alla terra» che ci ha generato e nutrito, non solo di acqua e di cibo, ma anche di suoni e colori; il desiderio di vivere l’agonia come una «mite aurora», messaggera di un nuovo modo di essere, nell’abbraccio di un creatore o, più semplicemente, nel silenzio della materia in eterno divenire; il desiderio di essere scaldati dal sole dell’amore degli altri, e di ciò che avremo fatto nella vita seguendo i nostri desideri più veri e profondi.
E’ un modo di spegnersi che ricorda il morire dei grandi vecchi della Bibbia, che se ne andavano “sazi di giorni”; il morire di cui parla spesso Enzo Bianchi, a proposito del “restituire puntualmente” la vita a Colui che l’ha donata; ma soprattutto, per restare in ambito letterario, il morire della Laura amata da Francesco Petrarca, che nel “Triumphus mortis” ci lascia un’immagine indimenticabile del trapasso della donna che aveva ispirato tanti versi struggenti: «Non come fiamma che per forza è spenta / ma che per sé medesma si consume, / se n’andò in pace l’anima contenta, / a guisa d’un soave e chiaro lume / cui nutrimento a poco a poco manca, / tenendo al fine il suo caro costume. / Pallida no, ma più che neve bianca / che senza venti in un bel colle fiocchi, / parea posar come persona stanca. / Quasi un dolce dormir ne’ suo’ begli occhi, / sendo lo spirto già da lei diviso, / era quel che morir chiaman gli sciocchi. / Morte bella parea nel suo bel viso».
Una fine nella pace, però, non è il frutto del caso o della buona sorte: va preparata con una vita in pace con se stessi, e se possibile con gli altri, nel dipanarsi di giorni dedicati all’inveramento dei propri talenti, all’espressione dell’amore, all’esercizio della tenacia, del coraggio e della speranza. E’ a questo che la Natura ci chiama: al governo di noi stessi, nei mari non sempre calmi dell’esistenza, secondo una rotta precisa e ispirata da stelle buone e luminose. Anche l’approdo, allora, potrà essere un luogo di luce: un momento in cui – avendo messo a frutto il tempo a noi concesso – non ci dorrà troppo accomiatarci dall’aurora di un nuovo giorno, sapendo che altri, dopo di noi, vedranno il sorgere del sole e affronteranno, con spirito giovane, l’avventura della vita.

La parola dell'autrice

Fammi uguale, Signore, a quelle foglie
moribonde che vedo oggi nel sole
tremar dell’olmo sul più alto ramo.
Tremano sì, ma non di pena: è tanto
limpido il sole, e dolce il distaccarsi
dal ramo, per congiungersi alla terra.
S’accendono alla luce ultima, cuori
pronti all’offerta; e l’agonia, per esse,
ha la clemenza d’una mite aurora.
Fa’ ch’io mi stacchi dal più alto ramo
di mia vita, così, senza lamento,
penetrata di Te come del sole.

Biografia

Ada Negri nasce a Lodi nel 1870, da un famiglia di umili condizioni. All’età di un anno perde il padre, ma grazie ai sacrifici della madre potrà studiare, ottenendo infine il diploma di maestra elementare. Ottiene il suo primo impiego di insegnante nel 1887, in una piccola scuola di provincia. E in quegli anni matura anche la vocazione di poetessa: nel 1892 pubblica la raccolta “Fatalità”, il cui notevole successo le vale il titolo di “docente per chiara fama” presso un istituto superiore di Milano.
Nel capoluogo lombardo entra in contatto con il Partito socialista italiano. Conosce il giornalista Ettore Patrizi, con il quale avrà un’intensa relazione epistolare, Filippo Turati e il giovane Benito Mussolini.
Nel 1894 vince il Premio Milli per la poesia. Nello stesso anno esce la seconda raccolta di poesie, “Tempeste”, centrata sui temi sociali ma stroncata da Luigi Pirandello. Nel 1896 si sposa con Giovanni Garlanda, industriale tessile di Biella, da cui si separerà nel 1913. In questo periodo – contrassegnato dalla perdita di una figlia di un anno e di un figlio nella guerra libica, che la segna profondamente – le sue opere divengono più introspettive e autobiografiche: “Maternità” viene pubblicata nel 1904, “Dal Profondo” nel 1910.
Dopo la separazione si trasferisce a Zurigo, dove rimane fino all’inizio della Prima guerra mondiale: qui scrive “Esilio”, e la raccolta di novelle “Le solitarie”, attenta alle tematiche femminili. L’anno seguente esce “Orazioni”, raccolta di odi alla patria. Ma la corda principale della sua poesia è ormai il sentimento personale, come traspare dalla “Il libro di Mara” e dal romanzo autobiografico “Stella mattutina”, romanzo autobiografico di successo.
Nel 1931 riceve insignita il Premio Mussolini per la carriera, che la consacra come intellettuale di regime. Nel 1940 è la prima donna ammessa all’Accademia d’Italia. I rapporti con il Duce risalivano al periodo di comune militanza socialista, e non ricuserà mai apertamente il regime fascista. Ma ormai la sua vita è permeata dalla solitudine e dal pessimismo. Muore a Milano nel 1945.
La facilità dello stile neoromantico, che Attilio Momigliano giudicò «insignificante nei risultati artistici», lo spiccato sentimentalismo del pensiero e forsanche il rapporto ambiguo con il fascismo le valsero da parte della critica il titolo poco lusinghiero di “maestrina di Lodi”. Ma, ancora oggi, una lettura attenta delle sue liriche può condurre a riconoscervi momenti meno convenzionali e più profondi, piccole gemme anche formali, capaci di colpire il cuore e stimolare una riflessione non scontata sul dolore del mondo.
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