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Dopo tanto dolore, il bisogno di tornare a sperare

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29/01/2010

Le vostre lettere alla nostra redazione

Buongiorno a Lei, professoressa Graziottin e a tutte le donne che leggono il suo sito. La mia è purtroppo un’esperienza di “abbandono”. Da 4 anni ho dolori pelvici e cistiti ricorrenti che mi hanno portato a consultare una gran quantità di medici. Naturalmente ginecologi, urologi, uroginecologi... Ma poi, quando non si sa più a chi votarsi, non ci si fa mancare il santone o lo sciamano di turno. Ognuno ha detto la sua. Addirittura qualcuno ha smentito scandalizzato la diagnosi del medico precedente, suggerito di sospendere cure, avviarne di nuove e via discorrendo. Tutti unanimi nel dire che si tratta di una malattia cronica: che sia vescica iperattiva, o sindrome di dolore pelvico, o cistite interstiziale... Questo dolore al pube, continuo, il bruciore che spande fino alla schiena, l’impossibilità di avere rapporti o l’incapacità di urinare senza fastidi: tutto cronico, da tenerselo così com’è.
Cosa fare? Non c’è accordo tra un medico e l’altro, e l’onere di mettere insieme i pezzi di una storia che sta diventando un tarlo nella mia vita (sul lavoro, certo, ma soprattutto in famiglia), di decidere quali farmaci prendere nei momenti di crisi, di fare una diagnosi che sia la risultante di tutte le cose sentite dire, spetta a me. Spetta al paziente. C’è come un’alzata di spalle da parte dei medici, un “non so più cosa dirle”.
Approdo, da sola, a siti che parlano di quello che mi sta accadendo, ma sono ormai atterrita psicologicamente. E’ la prima volta nella mia vita – e nei miei 41 anni ne sono successe di cose – che ho paura. Una paura che mi paralizza, che contrasta con la mia solita voglia di sperare. Ecco. Sperare non mi riesce più. E’ questo che manda a monte la mia vita privata, alla quale tengo più che a me stessa? E’ questo che, alla fine, mi farà perdere l’uomo che amo e che per ora si accolla pazientemente questa croce? La croce anche di non poter avere rapporti intimi. Mi devasta. Mi chiedo quanto possa durare. E quanto dolore porterà con sé mio figlio, che a dieci anni già si angoscia quando mi vede affranta anche se cerco di fare buon viso a cattivo gioco?
Scrivo tutto questo di getto. Chiedo scusa se non riesco a trovare parole migliori. Credo però che molte altre donne siano nelle mie stesse condizioni. Ne ho conosciute tante che, a causa di patologie rare e non facilmente diagnosticabili, brancolano negli ospedali alla ricerca di qualcuno che si illumini. Oggi però leggo dell’energia della professoressa Graziottin, le informazioni incoraggianti contenute in questo sito... e torno a sperare che un contatto così umano possa aiutarmi, ascoltarmi e capire. Oggi stesso chiamerò la Fondazione, perché ho proprio bisogno di tornare a sperare.

Stefania B.

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