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"Prendere la propria croce": un'espressione cristiana poco compresa

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22/04/2015

Tratto da: Joseph Ratzinger, Il cammino pasquale, Ancora, Milano 1985, p. 19-20
In: Comunità Monastica di Bose (a cura di), Letture dei giorni, Piemme, Casale Monferrato 1994, pag. 124-126

Si ringrazia l’Editore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Questa riflessione di Joseph Ratzinger chiarisce con efficacia il significato di uno dei passi evangelici meno compresi nella storia del Cristianesimo e sul quale ci siamo già soffermati in passato: chi vuol seguire Gesù, «rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà» (MC 8,34-35). Questa affermazione radicale ha finito per alimentare una spiritualità doloristica che nulla a che vedere con la chiamata alla gioia che contraddistingue la “buona notizia”, e che svilisce la portata delle parole di Cristo riducendole a un banale richiamo a sopportare con rassegnazione le sventure della vita.
Come già sottolineato da Enzo Bianchi, priore della comunità monastica di Bose, “prendere la propria croce” e “perdere la propria vita”, nell’autentica prospettiva di Cristo, hanno tutt’altro significato: smettere di considerare se stessi come misura delle cose e come artefici della propria vita, mettersi completamente nelle mani di Dio e accettare pienamente la logica dell’amore, anche quando la fedeltà a questo amore può – proprio come nel caso di Gesù – costare la vita.
Per il credente, e Ratzinger lo sottolinea con forza, sta in questo atteggiamento la vera libertà dell’uomo. L’autentico seguace di Gesù, in altre parole, ripudia la mentalità dell’autosufficienza e accetta che la propria esistenza sia plasmata da Dio, in una sorta di “creazione continua” che dalla nascita prosegue sino alla morte. Ancora Enzo Bianchi ci ricorda poi come la negazione di questa fiduciosa apertura a Dio rappresenti la quintessenza di quello che la Bibbia chiama “peccato originale”: che non va inteso quindi come evento storicamente determinato, collocato all’inizio dei tempi, ma come tentazione costitutiva dell’animo umano, sempre attratto dalla prospettiva di fare a meno di Dio e di agire, se necessario, anche contro Dio.
Tutto ciò chiarito, rimane nelle parole di Ratzinger – e forse addirittura si approfondisce – l’enorme distanza che separa lo spirito evangelico dal pensiero laico, che proprio dell’autorealizzazione voluta e attuata con le proprie forze fa uno dei capisaldi più nobili della vita dell’uomo. Qui il dialogo fra le due istanze si fa difficile, se non impossibile, e non resta che il reciproco rispetto, nella diversità delle prospettive. Chi infatti non crede in una realtà soprannaturale da cui origini tutto l’esistente, ha il diritto (e il dovere) di pensare che ciò che conta, nella vita, siano lo sforzo e il sacrificio individuale; e che il successo personale, senza venir meno all’obbligo della solidarietà, abbia un innegabile valore antropologico e sociale. Chi agisce guidato da questi principi può avere una vita non meno grande e buona di quella del cristiano: non è detto – come afferma invece Ratzinger – che la logica dell’essere contrapposta a quella dell’avere, l’opzione per la vita e per l’amore stiano solo dalla parte del credente. Il panorama è molto più sfumato e rende ragione della varietà delle forze etiche che alimentano la storia.
“Convertirsi” vuol dire: seguire Gesù, andare con lui, sul suo cammino. Ma insistiamo ancora sul fatto che Dio ci converte. La conversione non è un’autorealizzazione dell’uomo, e l’uomo non è l’architetto della propria vita. La conversione consiste essenzialmente in questa decisione, che l’uomo cessa di essere il suo proprio creatore, cessa di cercare soltanto se stesso e la sua autorealizzazione, ma accetta la sua dipendenza dal vero Creatore, dall’amore creativo: accetta che questa dipendenza sia la vera libertà, e che la libertà dell’autonomia emancipatasi dal Creatore non sia libertà, ma illusione, inganno.
Fondamentalmente esistono soltanto queste due possibilità di opzioni essenziali: l’autorealizzazione, nella quale l’uomo cerca di creare se stesso, per possedere il suo essere completamente per sé, per avere la totalità della vita, esclusivamente per sé e da sé; dall’altra parte l’opzione della fede e dell’amore. Questa opzione è nello stesso tempo la decisione per la verità. Essendo creature, non lo siamo da noi stessi, non passiamo farci da noi stessi; soltanto se “perdiamo” la vita, possiamo guadagnarla. Queste opzioni corrispondono al contenuto delle parole “avere” e “essere”. L’autorealizzazione vuole avere la vita, tutte le possibilità, le gioie, le bellezze della vita, poiché considera la vita come un possesso da difendere contro gli altri. La fede e l’amore non intendono il possesso. Sono l’opzione per la reciprocità dell’amore, per la maestà della verità. “In nuce” questa alternativa corrisponde alla scelta fondamentale fra morte e vita: una civiltà dell’avere è una civiltà della morte, di cose morte; solo una cultura dell’amore è anche una cultura della vita: «Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita… la salverà» (Mc 8,35).
Possiamo anche dire che l’alternativa tra autorealizzazione e amore corrisponde all’alternativa delle tentazioni di Gesù: l’alternativa tra il potere terreno e la croce, tra una redenzione consistente nel solo benessere e una redenzione che si apre e si affida all’infinità dell’amore divino…
“Convertirsi” significa: cessare di costruire la propria immagine, non lavorare per costruire un monumento di se stesso, che finisce spesso per divenire un falso Dio. “Convertirsi” vuol dire: accettare le sofferenze della verità. La conversione esige che non solo generalmente, ma giorno per giorno, nelle piccole cose, la verità, la fede, l’amore, diventino più importanti della nostra vita biologica, del benessere, del successo, del prestigio, della tranquillità della nostra vita. Difatti successo, prestigio, tranquillità e comodità sono quei falsi dèi che maggiormente impediscono la verità e il vero progresso nella vita personale e nella vita sociale. Accettando questa priorità della verità seguiamo il Signore, prendiamo la nostra croce e partecipiamo alla cultura dell’amore.

Il brano del Vangelo di Marco

In quel tempo Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: “Chi dice la gente che io sia?”. Ed essi gli risposero: “Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti”. Ma egli replicò: “E voi chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: “Tu sei il Cristo”. E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare. Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: “Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini”.
Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: “Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà”.

Biografia

Joseph Ratzinger, Papa Benedetto XVI, nasce a Marktl am Inn, in Germania, il 16 aprile 1927 (Sabato Santo). Il padre, commissario di polizia, proviene da un’antica famiglia di agricoltori della Bassa Baviera, di condizioni economiche modeste. La madre è figlia di artigiani.
Trascorre l’infanzia e l’adolescenza a Traunstein, piccola località vicina alla frontiera con l’Austria, nei pressi di Salisburgo. In questo contesto, che egli stesso definirà “mozartiano”, riceve la sua formazione umana, culturale e cristiana. La fede e l’educazione della famiglia lo preparano ad affrontare la dura esperienza del regime nazista, che manterrà sempre un clima di forte ostilità contro la Chiesa cattolica.
Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale viene arruolato nei servizi ausiliari antiaerei. Dopo il conflitto, dal 1946 al 1951, studia filosofia e teologia alla Scuola Superiore di Frisinga e all’Università di Monaco di Baviera. Viene ordinato sacerdote nel 1951. Nel 1953 diviene dottore in teologia, e quattro anni dopo ottiene l’abilitazione all’insegnamento. La sua attività di docenza si svolge a Frisinga, Bonn, Münster e Tubinga. Nel 1969 diviene cattedratico di Teologia dogmatica e Storia del dogma all’Università di Ratisbona, e vicepresidente del medesimo ateneo.
Dal 1962 al 1965 partecipa in qualità di esperto al Concilio Vaticano II. Ricopre numerosi incarichi nella Conferenza Episcopale Tedesca e nella Commissione Teologica Internazionale. Nel 1972, insieme ad Hans Urs von Balthasar, Henri de Lubac e altri grandi teologi, fonda la rivista di teologia “Communio”.
Nel 1977 Paolo VI lo nomina Arcivescovo di Monaco e Frisinga, e successivamente Cardinale. Il suo motto episcopale è “Collaboratore della verità”. Spiega: «Mi sembrava che fosse questo il rapporto esistente tra il mio precedente compito di professore e la nuova missione: anche se in modi diversi, ciò che continuava a restare in gioco era seguire la verità, stare al suo servizio. D’altra parte, ho scelto questo motto perché nel mondo di oggi il tema della verità viene quasi totalmente sottaciuto; appare infatti come qualcosa di troppo grande per l’uomo, nonostante il fatto che tutto si sgretoli, se manca la verità».
Nel 1978, prende parte ai conclavi che eleggono Giovanni Paolo I e, dopo soli due mesi, Giovanni Paolo II. Nel 1981, Papa Woitiła lo nomina Prefetto della “Congregazione per la Dottrina della Fede” e Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Dal 2000 è Accademico Onorario della Pontificia Accademia delle Scienze.
Tra le sue numerose pubblicazioni, occupano un posto particolare “Introduzione al Cristianesimo”, raccolta di lezioni universitarie pubblicate nel 1968 sulla professione della fede apostolica, e “Dogma e predicazione” (1973), antologia di saggi, omelie e riflessioni dedicate alla pastorale.
Nel 2005, viene eletto Pontefice con il nome di Benedetto XVI. Le sue encicliche sono dedicate all’amore (Deus caritas est, 25 dicembre 2005), alla speranza (Spe salvi, 30 novembre 2007) e alla giustizia sociale (Caritas in veritate, 29 giugno 2009).
Nel concistoro ordinario dell’11 febbraio 2013 annuncia la sua rinuncia «al ministero di vescovo di Roma, successore di san Pietro». Al soglio pontificio gli succede papa Francesco, eletto il 13 marzo.

Informazioni biografiche tratte dal sito della Santa Sede www.vatican.va – © Copyright 2008 – Libreria Editrice Vaticana.

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