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La croce, simbolo di una vita donata agli altri per amore e nella libertà

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03/12/2014

Tratto da:
Paolo Ricca, Pietro “fondamento” e “scandalo”: che senso ha?, Riforma, 26 ottobre 2012

Guida alla lettura

In questo articolo ampio e articolato, Paolo Ricca, teologo della Chiesa Evangelica Valdese, affronta il tema centrale della fede cristiana: che cosa significa “prendere la croce” e seguire Cristo? Perché è importante fare ciò? Quali sono gli ostacoli a questa sequela? Che cosa rischia il credente quanto travisa queste parole, o non vi si adegua? Perché Gesù arrivò a chiamare Pietro “Satana”, quando cercò di distoglierlo della morte che lo attendeva?
Temi già toccati con chiarezza in un articolo di Enzo Bianchi pubblicato su questo sito il 14 ottobre 2009 («Chi mi vuol seguire rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua». Meditazione su Mc 8, 27-35), e che Ricca riprende con accenti analoghi, mostrando come su questo aspetto essenziale i cattolici e i protestanti più maturi abbiano sostanzialmente lo stesso punto di vista: quando in noi la tentazione di essere serviti prevale sulla chiamata a servire, la logica di Satana prende il sopravvento sulla logica di Dio, e noi ci allontaniamo dalla croce che siamo chiamati a portare.
Dove “portare la croce”, vale la pena ribadirlo ancora una volta, non significa, per i credenti, accettare con fatalismo le piccole e grandi difficoltà di tutti i giorni, e nemmeno fare del dolore in sé una ragione di vita, secondo una spiritualità deviata che nulla ha a che vedere con la chiamata cristiana, ma accettare che al centro delle proprie scelte ci sia Dio e non l’idolo del potere, rinunciare a fare di se stessi la misura di tutte le cose e, soprattutto, spendere la propria esistenza al servizio degli altri, per amore e nella libertà, anche a costo della propria vita. Portare la croce, in definitiva, è seguire lo stile di Cristo, e cercare di vivere come lui è vissuto: un proposito difficile, come dimostra la vita degli stessi apostoli, costellata di infedeltà alla parola di Gesù, nonostante il sincero amore che nutrivano per lui; e, dunque, a maggior ragione, difficile per i credenti di ogni tempo.
L’articolo di Ricca contiene anche un’analisi squisitamente protestante del “primato” di Pietro sugli altri apostoli e delle dinamiche storiche che hanno portato i cattolici a vedere nel Papa il suo successore. Secondo Ricca, Pietro è fondamento della Chiesa perché la Chiesa è storicamente cominciata con lui, ma non nel senso che sia stato il primo Papa: e «non è certamente la parola di Gesù che ha generato il papato, ma è il papato che ha suscitato l’interpretazione “papale” della parola di Gesù a Pietro».
Sono argomentazioni che possono disorientare chi sia stato educato a una certa visione della Chiesa e dei suoi rapporti con Dio: ma conoscere un’opinione diversa, ben argomentata, può far crescere nella capacità di ascolto e di dialogo, una capacità di cui c’è disperato bisogno in un mondo sempre più lacerato dai conflitti e dall’odio. Ascoltiamo dunque Ricca con attenzione e rispetto, ben sapendo che – come ci ricorda la parola di Cristo sulla necessità di portare la croce – l’essenziale della fede cristiana non riguarda le strutture del mondo, ma la capacità dell’uomo di vivere nell’amore per se stesso, per gli altri e per Dio.
«Certi episodi narrati nel Vangelo sembrano essere riportati al solo scopo di allungare il racconto, senza un preciso significato, e sono tali da far pensare che potevano essere ignorati per lasciare spazio ad avvenimenti più importanti. Uno di questi episodi ritengo possa essere Matteo 16,18 letto insieme a Matteo 16,23. Vi si legge che Pietro viene prima definito “fondamento della Chiesa” e subito dopo “motivo di scandalo”, perché ha il senso delle cose umane e non il senso delle cose di Dio. Che cosa se ne può dedurre? Se ne può dedurre che prima ancora di crescere la Chiesa non è stata immune dallo scandalo e che il motivo dello scandalo, in conclusione, è sempre lo stesso: avere il senso delle cose umane e non delle cose di Dio. Ma che cosa vuole dire, esattamente, “senso delle cose umane” e come accorgersi di esserci stati trascinati dentro?».
Gianni S. (MN)


Mi stupisco un po’ che il nostro lettore ritenga che l’evangelista Matteo, riferendo la dura parola di Gesù a Pietro «Vattene via da me, Satana; tu mi sei di scandalo. Tu non hai il senso delle cose di Dio, ma delle cose degli uomini» (Matteo 16,23), pochi istanti dopo avergli detto «Tu sei Pietro, e su questa pietra edificherò la mia Chiesa» (Matteo 16,18), abbia semplicemente voluto «allungare il racconto, senza un preciso significato». O il nostro lettore si è espresso male, o io non ho capito bene che cosa egli intenda per «allungare il racconto». Certo è che le due affermazioni di Gesù sono tra loro in un rapporto di alta tensione e l’evangelista, accostandole, sicuramente non ha voluto «allungare il racconto», ma ha voluto che la parola su Pietro «fondamento della Chiesa» non fosse separata da quella su Pietro «motivo di scandalo», affinché i suoi lettori sapessero che Pietro e gli altri apostoli sono stati, sì, il fondamento della Chiesa (i cristiani – scrive l’apostolo Paolo – sono stati «edificati sul fondamento degli apostoli e dei profeti, essendo Cristo Gesù la pietra angolare» Efesini 2,20), ma sono anche stati motivo di scandalo, come si vede chiaramente in Pietro qui e nel suo triplice rinnegamento, in Giuda che ha tradito il Maestro con un bacio, e in tutti gli altri i quali, dopo essersi addormentati nel Getsemani mentre Gesù vegliava e pregava «essendo in agonia» (Luca 22,44), si sono vergognosamente eclissati e hanno abbandonato Gesù al suo destino di morte. Egli infatti è stato crocifisso tra due “ladroni” (probabilmente due partigiani ebrei), non tra due discepoli. Sì, Pietro e gli altri sono anche, per tutti i tempi, motivo di scandalo, sono anche loro grandi peccatori, hanno bisogno anche loro, non meno di noi, del perdono e della grazia di Dio. Sapere questo e dirlo apertamente, come lo dice Matteo, non mi sembra un «allungare il racconto», ma è conferirgli la sua piena consistenza evangelica, da un lato mettendo in luce il valore unico e insostituibile dell’apostolato (qui riassunto nella persona di Pietro), e dall’altro non nascondendo la sua grande fragilità e fallibilità, affinché «nessuno si vanti di fronte a Dio» (I Corinzi 1,29).
A questo punto, per comprendere che cos’è il “senso delle cose di Dio” e “il senso delle cose degli uomini”, conviene vedere un po’ più da vicino le due affermazioni di Gesù su Pietro.
1. Com’è noto, la parola su Pietro come “pietra” o “roccia” su cui Gesù costruirà o edificherà la sua Chiesa, è scritta a caratteri cubitali e dorati all’interno della grande e splendida cupola michelangiolesca della basilica di S. Pietro, a Roma. La ragione è anch’essa nota: la Chiesa cattolica legge in quella parola di Gesù il fondamento biblico del papato, la cui esistenza corrisponderebbe a una precisa volontà di Cristo, che egli avrebbe manifestato proprio con queste parole, in virtù delle quali il papato sarebbe un’istituzione “di diritto divino”. Una lettura di questo genere presuppone diverse circostanze che sono a dir poco incerte, per non dire decisamente dubbie: in primo luogo presuppone che Pietro sia venuto a Roma, cosa quanto meno dubbia in quanto solo vagamente e tardivamente attestata e comunque non dimostrata; in secondo luogo presuppone che Pietro, prima di essere martirizzato appunto a Roma (cosa anche questa per nulla accertata), sia diventato vescovo della comunità romana – cosa, questa, del tutto inverosimile in quanto un apostolo, per definizione potremmo dire, non diventa vescovo, essendo l’apostolato e l’episcopato due ministeri assai diversi; vediamo nel Nuovo Testamento che l’apostolo istituisce i vescovi, ma non vediamo nessun caso di un apostolo che cessi di fare l’apostolo e cominci a fare il vescovo.
Noi non crediamo che quando Gesù disse quelle parole a Pietro pensasse, oltre che a lui, anche ai suoi ipotetici successori e meno ancora poteva pensare, o anche solo immaginare, che questi ipotetici successori sarebbero stati i papi di Roma. Noi non crediamo, insomma, che il fatto che Pietro, secondo la parola di Gesù, sia “fondamento della Chiesa” abbia nulla a che vedere con il papato. Pietro non è stato il primo papa e, come apostolo, non ha avuto successori, per la natura stessa dell’apostolato, che è quella di essere stati testimoni oculari del Cristo risorto. Gli apostoli non hanno successori, il loro ministero è unico e irrepetibile; se vogliamo parlare di “successori” di Pietro e degli altri apostoli, dobbiamo dire che lo sono tutti coloro che credono nella loro testimonianza di testimoni oculari del Risorto, e la trasmettono ad altri.
Ma che la parola di Gesù a Pietro come “fondamento” non abbia nulla a che vedere con il papato risulta anche da un’altra considerazione: nessuno, nella Chiesa antica, ha letto in quella parola il fondamento biblico del papato, per il semplice motivo che allora il papato nel senso moderno del termine non esisteva ancora. Esisteva – questa sì – la rivendicazione di una sorta di primato da parte del vescovo di Roma a partire quanto meno dal III secolo, ma questa rivendicazione non era affatto riconosciuta come legittima da parte degli altri vescovi. E’ solo a partire dalla metà del V secolo, con Leone Magno (440-461), che il primato della Chiesa di Roma e del suo vescovo si impongono, almeno in Occidente. Ma un papato con le prerogative odierne era sconosciuto nella Chiesa antica. E non è certamente la parola di Gesù che ha generato il papato, ma è il papato che ha suscitato l’interpretazione “papale” della parola di Gesù a Pietro.
Ma qual è, allora, il significato di questa parola? Mi sembra abbastanza chiaro: Pietro, che ha appena confessato la fede in Gesù come Messia (Matteo 16,16), quindi Pietro, in quanto confessore di Cristo, è il fondamento su cui Cristo edificherà la sua Chiesa. E proprio questo è ciò che è accaduto a Gerusalemme subito dopo Pentecoste: la Chiesa è nata dalla predicazione di Pietro (Atti 2,14-40). Certo, Pietro non è stato l’unico: tutti gli apostoli sono stati “fondamento” della Chiesa. Pietro però è stato il primo: la Chiesa è cominciata con lui; Gesù ha iniziato a edificarla a partire e sul fondamento della sua predicazione: in questo senso Pietro è effettivamente la “pietra” o la “roccia” sulla quale Gesù ha cominciato a edificare la sua Chiesa.
2. Tra la bella parola su Pietro “fondamento” (v. 18) e la durissima parola su Pietro “Satana” (v. 23) c’è in mezzo l’annuncio dell’imminente passione di Gesù (v. 21), che però suscita l’immediata reazione di Pietro, il quale quasi con uno scongiuro rimprovera Gesù dicendo: «Questo non ti avverrà mai!» (v. 22) – come se fosse lui il Signore della storia e tenesse lui il destino di Gesù nelle sue mani. La risposta di Gesù è la più violenta tra tutte quelle rivolte ai suoi discepoli: «Vattene via da me, Satana; tu mi sei di scandalo!» (v. 23). Gesù non ha mai chiamato “Satana” nessuna persona umana, né discepoli, né avversari, neppure Giuda.
Gesù, un giorno, aveva detto a Pietro (e agli altri): «Tu, seguimi!», ora invece gli dice il contrario: «Vattene via da me!», cacciandolo in malo modo dalla sua presenza. Perché? Perché Pietro diventa improvvisamente agli occhi di Gesù addirittura “Satana”, un suo emissario, una sua personificazione? La ragione è evidente: perché Pietro rifiuta l’idea che Gesù, che egli aveva poco prima riconosciuto e confessato come Messia, dovesse soffrire e morire. Il Messia – così ragiona Pietro – non deve morire e soffrire, deve vincere e regnare. Il suo ragionamento è più che comprensibile: Israele aspettava un Messia vittorioso, e non poteva neanche immaginare un Messia crocifisso. Ma quello di Pietro è un ragionamento umano, molto umano, troppo umano, che scandalizza Gesù: «Tu mi sei di scandalo!». Gesù scandalizza Pietro annunciando la sua passione e Pietro scandalizza Gesù contestandola. Anche l’apostolo Paolo dirà che la croce è «scandalo per i Giudei» (I Corinzi 1,23). “Scandalo” qui significa pietra d’inciampo, ostacolo sul cammino, occasione di caduta. Pietro – la pietra, la roccia, il solido fondamento su cui edificare la Chiesa – è diventato la pietra d’inciampo, l’ostacolo che vorrebbe far cadere, se fosse possibile, anche Gesù.
Perché la “pietra-fondamento” è diventata “pietra d’inciampo”? Perché Pietro vuole distogliere Gesù dalla via della croce, vuole, sì, il Messia, ma non il Messia crocifisso. In questo Pietro rassomiglia al diavolo della terza tentazione, quando propose a Gesù di regnare anziché di servire, di percorrere la via della gloria anziché la via della croce (Matteo 4, 8-10). Ecco perché Gesù lo chiama “Satana”: perché lo vuole allontanare dalla croce. Ed ecco allora – e così rispondo all’ultima domanda del nostro lettore – che cos’è il “senso delle cose degli uomini”: è tutto ciò che ci allontana dalla croce di Gesù, perché è lì, e non altrove, che in ogni tempo Dio ci dà appuntamento per incontrarlo, conoscerlo e riconoscerlo. E che cos’è il “senso delle cose di Dio”: è tutto ciò che ci avvicina alla croce di Gesù, sapienza e giustizia di Dio.

Biografia

Paolo Ricca nasce a Torre Pellice (in provincia di Torino) nel 1936. Dopo aver conseguito la maturità classica a Firenze, studia Teologia a Roma, negli Stati Uniti e a Basilea (Svizzera), ove consegue il dottorato con una tesi sull’escatologia del Vangelo secondo Giovanni.
Consacrato pastore della Chiesa valdese nel 1962, esercita il ministero a Forano e a Torino, e segue il Concilio Vaticano II per conto dell’Alleanza Riformata Mondiale. Dal 1976 al 2002 insegna Storia della Chiesa e, per alcuni anni, Teologia Pratica presso la Facoltà Valdese di Teologia di Roma.
Membro per quindici anni della Commissione “Fede e Costituzione” del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Ginevra), opera in diversi organismi ecumenici ed è per due mandati presidente della Società Biblica in Italia.
Attualmente è professore ospite presso il Pontificio Ateneo Sant’Anselmo di Roma e dirige la collana “Lutero. Opere scelte” dell’editrice Claudiana di Torino.

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