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Diagnosi prenatale: come comunicare in modo positivo

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01/10/2009

Dr.ssa Roberta Natale
Dipartimento Ostetrico Ginecologico
S.O.C. Patologia Ostetrica - Unità di Diagnosi Prenatale
Istituto per l'Infanzia I.R.C.C.S. "Burlo Garofolo" Trieste

Introduzione

L’ecografia ostetrica è diventata parte integrante del percorso di sorveglianza diagnostica della gravidanza e rappresenta per ogni donna uno dei momenti più attesi e carichi di aspettative: nello stesso tempo, è innegabile la sottile apprensione legata alle risposte che questo mezzo può fornire. L’enorme miglioramento della tecnica, se da un lato soddisfa il grande desiderio di “vedere” il proprio bambino, dall’altro fornisce infatti una moltitudine di informazioni non sempre attese e positive.

Sicuramente impegnativo è il ruolo dell’ecografista, costantemente in equilibrio fra le straordinarie possibilità di visualizzazione del feto, oggi estremamente realistiche (si pensi alle metodiche tridimensionali), e la difficoltà di trovare un linguaggio adeguato per ogni situazione e ogni paziente: l’elevatissimo livello dell’imaging ultrasonografico attuale permette frequentemente di evidenziare aspetti ecografici fetali di significato clinico incerto e ciò si traduce in notevoli conseguenze psicologiche per la donna.

In sostanza, ci si può chiedere se “vedere” sempre di più e meglio il feto si traduca in un reale vantaggio psicologico per la gestante e quanto il vedere – specialmente in caso di immagini di dubbia interpretazione o suggestive di un maggior rischio di alterazioni anche minime – possa comunque alterare il percorso di attaccamento tra la madre e il bambino.

L'importanza della comunicazione

La comunicazione tra l’ecografista e la donna assume un’enorme importanza: da un lato per fornire una prestazione professionalmente adeguata alla richiesta, dall’altro per vivere con piena consapevolezza il momento straordinario di “conoscenza” del proprio bambino che l’imaging permette.

Attraverso un corretto approccio si esplica adeguatamente quella funzione di counselling che indica non un semplice consiglio, ma una vera e propria attività di orientamento (il verbo latino consulere significa “venire in aiuto”).

Il counselling prenatale ha determinate caratteristiche:
- ha un valore enorme per la donna e per la sua relazione con il bambino;
- ha a che fare con immagini ed emozioni;
- concerne rischi, numeri e statistiche;
- implica non di rado questioni etiche.

Nello specifico scenario della diagnosi prenatale andrebbero quindi applicati quei principi di base della comunicazione incentrata sul paziente che contemplano un counselling non direttivo, l’educazione del paziente e la condivisione delle decisioni da prendere (1).

Il punto di vista della donna

Che cosa pensa la donna dell’ecografia in gravidanza, prescritta spesso quasi automaticamente? E’ preparata a ricevere tante informazioni riguardanti un soggetto che per l’ecografista è un “feto”, ma per lei è il suo “bambino”? L’esperienza dell’ecografia prenatale dipende molto da alcuni fattori come, per esempio, l’obiettivo che ci si propone di conseguire e la conoscenza che la paziente ha dei suoi presupposti.
Alcuni studi in letteratura (2) hanno tentato di dare risposte oggettive alle domande che riguardano il punto di vista della donna rispetto all’ecografia prenatale.

La donna conosce le ragioni dell'uso degli ultrasuoni e che cosa evidenzia un'ecografia?

Quasi tutti gli studi evidenziano nelle donne una marcata carenza di informazioni su cosa ci si proponga di ottenere con l’esame ecografico, cosa conseguentemente si ricerchi e quali siano i limiti della metodica; molte donne riferiscono inoltre di non aver mai avuto l’opportunità di esprimere un consenso all’esame ecografico e pensano siano obbligate ad eseguirlo.

Uno studio britannico di qualche anno fa (3) riportava l’esperienza di donne che si recano dal medico curante dispiaciute del fatto di non aver assolutamente capito se il proprio bambino avrà o meno la sindrome di Down dopo aver effettuato lo screening del primo trimestre. Nel tempo, la rapida e raffinata evoluzione delle metodiche ha permesso di fornire alla paziente all’inizio della gravidanza una precisa quantificazione del rischio, sebbene ancora i due terzi delle donne intervistate in un ulteriore studio inglese affermassero di non essere state adeguatamente informate riguardo la misura della translucenza nucale (4).

Nel nostro Istituto, da diversi anni, la prima parte dello screening per le anomalie cromosomiche del primo trimestre comprende un colloquio tra operatore e paziente davanti al consenso informato che la gestante, se aderisce, firmerà.
Una migliore conoscenza dell’obiettivo che si prefigge l’ecografia di screening nel secondo trimestre si trova nei Paesi scandinavi, dove le donne e i loro partner comprendevano la ricerca di eventuali malformazioni con l’ecografia delle 20-22 settimane, rivelando che il chiarimento degli obiettivi dell’esame era stato fornito da dépliant distribuiti dall’ospedale durante l’attesa (5). Altri studi condotti in Svezia hanno però dimostrato che il 62% delle donne credeva che l’esame ecografico fosse obbligatorio (6). E solo uno studio danese successivo dimostrava un alto livello di conoscenza e un’elevata soddisfazione legata all’esame ultrasonografico (7).

Che cosa dell'ecografia piace o sembra utile alla donna?

La visualizzazione del feto sullo schermo risulta essere l’attrazione più grande per tutte le donne, arrivando a rappresentare per alcune la certezza oggettiva della propria gravidanza. La maggioranza delle donne intervistate in studi diversi affermava che la vista dei movimenti del feto e del battito cardiaco serviva a rassicurare più di ogni affermazione del medico riguardo il buon andamento della gravidanza e poneva in secondo piano la preoccupazione per l’eventuale scoperta di anomalie (8, 9, 10, 11).
Un altro aspetto che le donne giudicano positivamente è la condivisione delle immagini fetali con il partner o con gli altri componenti della famiglia.

E’ raro oggi incontrare un rifiuto da parte della gestante al momento di richiedere un esame ultrasonografico in gravidanza: anzi, è più facile dover contenere la richiesta di eseguirne di superflui, dato che il fatto che la metodica sia innocua e ripetibile è supportata da numerosissimi studi in letteratura. Resta valida, a tale proposito, una ricerca canadese che già 20 anni fa mostrava come il 99% delle donne non ritenesse l’ecografia un’intrusione in qualcosa di molto privato che avrebbe dovuto essere nascosto (12). Anche l’iconografia è molto richiesta e le donne che non ricevono una stampa fotografica spesso si sentono defraudate; l’indicazione della probabile data del parto e l’evidenza del sesso fetale sono considerate notizie importanti per l’organizzazione della vita pratica.

Che cosa invece le suscita ansia o perplessità?

I moderni test di screening oggi proposti, se da un lato offrono la possibilità di quantificare in modo oggettivo il rischio di anomalie cromosomiche e di indirizzare alla diagnosi prenatale invasiva solo donne effettivamente selezionate, dall’altro aumentano il livello di ansia nella paziente e nel partner (13), spiegabile probabilmente dal conflitto tra il desiderio di conoscere il cariotipo e il timore di un esito sfavorevole e di aborto (14, 15).

Numerosi studi in letteratura hanno cercato di determinare il legame tra ansia materna e diagnosi prenatale; recentemente Sahin e Gungor hanno enfatizzato come sia i test prenatali, sia gli screening di routine e la diagnosi prenatale, causino ansia nelle donne e nei loro partner; nello stesso lavoro, però, hanno trovato un livello estremamente basso di conoscenza dei fattori di rischio che si associano a malformazioni fetali congenite, come il fumo, la malnutrizione, i matrimoni tra consanguinei. E’ logica la conclusione che proprio le fasce sociali più svantaggiate dovrebbero essere maggiormente accompagnate nel percorso di educazione riguardo agli esami prenatali (16).

Che cosa spinge una donna a sottoporsi o meno alla diagnosi prenatale?

Il rifiuto può essere motivato da profonde ragioni personali, morali o religiose, timore di complicazioni per l’evoluzione della gravidanza, paura di lesioni fetali, con un’accettazione completa – solitamente condivisa dall’entourage familiare – di qualsiasi diagnosi alla nascita. Alcuni studi enfatizzano l’aspetto psicologico della decisione, sottolineando come alla base del rifiuto della diagnosi prenatale si collochi l’alto investimento nella gravidanza e la difficoltà di riconoscere il feto non sano (17).

Le principali ragioni dell’assenso sono invece costituite dalla necessità di rassicurazione, dall’influenza del partner, dalla possibilità di potersi in qualche modo preparare, dall’indicazione del medico, dalla speranza che in caso di diagnosi positiva il feto si possa comunque curare e infine dal desiderio di interrompere la gravidanza in caso di problemi (18).

Come la donna vorrebbe che fosse eseguito l'esame ecografico?

La donna giudica frustrante la mancata comprensione dell’imaging ecografico, spesso non accuratamente spiegato dall’ecografista. E desidera capire l’immagine sullo schermo, riconoscere quanto l’ecografista spiega ed essere informata costantemente durante l’esame (19, 20).

Recentemente è in aumento anche la richiesta di ulteriore documentazione fotografica e filmata per ricordare in futuro un appuntamento diagnostico che ha sempre più i connotati di un evento da mostrare a parenti ed amici; e non stupisce che, in un mondo sempre più attento all’immagine e tecnologicamente in grado di essere dentro gli avvenimenti in tempo reale, negli Stati Uniti molti centri commerciali abbiano un “corner” dove si può eseguire un ecografia 3D del viso del proprio feto.

Ulteriori desideri sono legati alla possibilità che altri componenti della famiglia possano essere presenti all’esame. Di converso, non sempre le donne accettano favorevolmente la presenza di studenti, mentre vivono positivamente la figura dell’ostetrica.

Come l'ecografista dovrebbe iniziare l'esame

Nella pratica quotidiana, data l’enorme richiesta di esami, l’ecografia è parte integrante della professione ostetrica: ma i tempi spesso molto stringati cui tutti siamo obbligati rendono difficoltoso l’iter ideale d’esecuzione dell’esame.
Ogni seduta dovrebbe essere iniziata avendo di fronte una paziente già esaurientemente informata (idealmente dal proprio medico curante) riguardo le potenzialità, i limiti e le indicazioni dell’esame che si appresta ad eseguire.

L’ecografista, in qualità di specialista in tale metodica, dovrebbe solo completare tali informazioni in termini più circostanziati, spiegando preliminarmente anche la modalità dell’esame. Per esempio, comunicando come nella prima fase di un esame lungo come lo screening per le anomalie fetali nel secondo trimestre sia necessaria da parte sua una concentrazione che non consente di colloquiare con la signora. E che il dialogo è quindi rinviato al termine dell’esame, allorché sarà possibile guardare insieme il sesso fetale, il profilo e le strutture più facilmente individuabili anche senza una preparazione specifica. Tutto ciò eviterà spiacevoli interpretazioni dei nostri silenzi, spesso solo frutto di attenzione particolare, e non di scontrosità o preoccupazione.

Come comunicare durante l'esame

L’informazione dovrebbe sempre rispondere a criteri di chiarezza e semplicità; la “quantità” e la “qualità” delle informazioni devono essere sempre ben ponderate.
Un esame ecografico può avere esiti diversi: nel caso l’ecografia non evidenzi nulla di anormale, bisogna comunque considerare la quota di falsi negativi imprescindibile dalla metodica. Inoltre, la nascita di un bambino con un’anomalia non evidenziata in ecografia avviene in un numero limitato ma non trascurabile di casi. Una recente review suggerisce che una migliore informazione incentrata sui limiti della metodica ne diminuirebbe l’impatto sulla donna, che resta comunque sempre impreparata a ricevere novità negative (21).

Particolare cautela andrebbe posta anche quando si comunichi il sesso fetale, un’informazione talvolta non desiderata dalla coppia, o si dia notizia di una gemellarità: in questo secondo caso, occorre un’attenzione ancora maggiore se la gravidanza risulta trigemina, il che pone spesso di fronte a decisioni molto gravose di trattamento.

Anche avvisare la paziente che, in alcuni casi, la visualizzazione dell’anatomia fetale non è consentita da una posizione sfavorevole e che è quindi necessario un successivo tentativo, pur sembrando scontato, è invece raccomandabile, onde evitare l’immediato sospetto di una diagnosi sfavorevole che necessiti di un ulteriore inquadramento. I risultati di un audit condotto presso il Liverpool Women’s Hospital mostrava che il 7.6 % delle donne che avevano ripetuto un controllo ecografico per incompletezza aveva manifestato ansia e preoccupazione, legate al sospetto di qualcosa di negativo (22).

Solitamente l’esecuzione di un test di diagnosi prenatale invasiva pone l’operatore di fronte a una paziente che ha già compiuto un percorso di informazione e operato una scelta: il colloquio, quindi, dovrebbe tendere piuttosto a rassicurare riguardo eventuali sensazioni dolorose, oltre che mostrare prima e dopo quanto la procedura non abbia influenzato il benessere fetale.

Il peso e l’importanza del significato delle parole dell’ecografista, e quanto queste possano avere ripercussioni sulla donna creando situazioni di ansia, si evidenziano anche in termini di definizione della crescita fetale e dei test accessori per definirne il benessere: quante volte frasi come “cresce poco” si traducono per la donna in “pericolo imminente”, o “scarso liquido” in “ambiente intrauterino ormai compromesso”!

Una serie di difficoltà, spesso insormontabili, si presentano inoltre in caso di incomprensione linguistica dovuta a gestanti immigrate, oggi sempre più frequente in ogni area del nostro Paese: un problema di comunicazione non sempre e dovunque risolvibile con la presenza di un mediatore culturale. Difficoltà tecniche sono inoltre legate a fattori obiettivi, poco modificabili in gravidanza, come l’obesità materna, in costante incremento e che rappresenta talvolta un fattore insuperabile ed estremamente limitante. In entrambe queste situazioni l’informazione data alla paziente è, per ragioni differenti, sicuramente riduttiva. Nel secondo caso è raccomandabile l’accortezza di evitare che la donna senta come una colpa la limitazione fisica che impedisce la soddisfacente visualizzazione fetale, spiegando però chiaramente quanto ridotta sia la potenzialità diagnostica dell’esame.

L’attenzione e la misura dei termini, oltre che l’empatia creata durante l’esame, dovrebbero quindi rappresentare il ”gold standard” di prestazione professionale.

Quando l'esito dell'esame è infausto

Per un esiguo numero di donne l’esito dell’esame ecografico è infausto – nel senso che indica la presenza di patologie e/o malformazioni serie – e pochi studi sono stati condotti per studiarne l’impatto. Solo alcuni studi si sono occupati dell’esperienza della donna al momento della scoperta di malformazioni fetali; alcuni, di orientamento psicologico, sono incentrati sull’esperienza di dolore e tristezza della coppia e sulla decisione di terminare la gravidanza.

Altri tuttavia (23) hanno esaminato l’esperienza, per esempio, di 105 donne che per aborto spontaneo o per interruzione volontaria avevano avuto una perdita fetale. Le donne avevano eseguito una media di due esami ecografici fino al termine della gravidanza e circa la metà (44%) asseriva che vedere l’immagine del feto aveva contribuito a superarne la perdita. D’altra parte, alcune donne riportano il contraddittorio beneficio degli ultrasuoni nel permettere loro di rendersi conto dell’effettiva fine della loro gravidanza e di avere la visione di una persona per cui piangere (24, 25).

Conclusioni

Perché l’ecografia in gravidanza sia un momento positivo per la donna e la coppia è importante che:
- l’informazione sul significato e i limiti dell’esame sia esaustiva e preliminare all’esame ecografico stesso;
- l’informazione finale venga data dopo che tutta la valutazione è stata completata, e non durante l’esame;
- si evitino commenti ansiogeni, verbali e non verbali (per esempio, con una mimica preoccupata del volto), durante l’esame;
- venga offerto un “counselling “ adeguato, in caso di dubbi o dati ecografici meritevoli di approfondimento;
- venga dato spazio alla riflessione e alla formulazione di eventuali domande chiarificatrici;
- venga data chiara disponibilità a un successivo counselling, se la donna e/o la coppia lo desiderano.

L’attenzione alla qualità della comunicazione medico-paziente, anche in ambito di diagnostica ecografica, è essenziale per ottimizzare le informazioni ottenibili con l’esame e collocarle in modo costruttivo nella diagnostica prenatale.

Approfondimenti specialistici

1. Bitzer J, Tschudin S, Holzgreve W, Tercanli S. Communication skills for prenatal counselling. Praxis (Bern 1994). 2007 Apr 18; 96 (16): 629-636. German
2. Garcia J. Women’s views of pregnancy ultrasound: a systematic review. Birth 2002; 29 (4): 225-250
3. Venn-Treloar J. Nuchal translucency screening without consent. BMJ 1998; 316: 1027
4. Layng J. Counselling should be considered an integral part of screening programmes. BMJ 1998; 317: 749
5. Eurenius K. Perception of information, expectations and experiences among women and their partners attending a second trimester routine ultrasound scan. Ultrasound Obstet Gynecol 1997; 9: 86-90
6. Crang-Svalenius E. Organized routine ultrasound in the second trimestre: one hundred women’s experiences. J Matern Fetal Invest 1996; 6: 219-222
7. Larsen T. Ultrasound screening in the second trimester: the pregnant woman’s background knowledge, expectations, experiences and acceptances. Ultrasound Obstet Gynecol 2000; 15: 383-386
8. Draper J. The early parenthood project: an evaluation of a community antenatal clinic. Cambridge: Hughes Hall 1984
9. Oakley ME. Women’s subjective experience of the ultrasound examination durino pregnancy. Master of Health Science Thesis. University of Otago, Dunedin 1997
10. Clement S. Psychological perspectives on pregnancy and chilbirth. Edinburgh: Churchill Livingstone, 1998: 7-24
11. Thorpe K. Women’s views of ultrasonography. A comparison of women’s experiences of antenatal ultrasound screening with cerebral ultrasound of their newborn infant. Soc Sci Med 1993; 36: 311-315
12. Villeneuve C. Psychological aspects of ultrasound imaging during pregnancy. Can J Psychiatry 1988; 33: 530-536
13. Hertling-Schaal E. Maternal anxiety induced by prenatal diagnostic techniques: detection and management. Ginecologie, Obstetrique & Fertilitè 2001; 29, 440-446
14. Kowalcek I. Anxiety scorse bifore and after prenatal testing for congenital anomalies. Archives of Gynecology & Obstetrics 2003; 267, 126-129
15. Petersen J. Suspicious findings in antenatal care and their implications from the mothers’perspective: a prospective study in Germany. Birth 2008; 35 (1): 41-49
16. Sahin NH, Gungor I. Congenital anomalies: parents' anxiety and women's concerns before prenatal testing and women's opinions towards the risk factors. J Clin Nurs. 2008 Mar; 17 (6): 827-836
17. French BN. Evaluation of the health belief model and decision making regarding amniocentesis in women of advanced maternal age. Health Educ Q 1992; 19 (2): 177-186
18. Browner CH, Preloran HM, Cox SJ. Ethnicity, bioethics and prenatal diagnosis: the amniocentesis decision of Mexican-origin women and their partner. Am J Public Health 1999; 89 (11): 1658-1666
19. Garel M, Franc M. Women reactions to ultrasound scanning during pregnancy. J Gynecol Obstet Biol Reprod (Paris). 1980; 9 (3): 347-354. French (author's transl)
20. Mitchell LM. Baby’s first picture: the cyborg fetus of ultrasound imaging. In: Cyborg babies: from techno-sex to techno-tots. London 1998: 105-124
21. Petticrew M. False negative results in screening programmes: impact and implications. Health Technol Assess 2000; 4 (5)
22. Bricker L, Garcia J, Henderson J, Mugford M, Neilson J, Roberts T, Martin MA. Ultrasound screening in pregnancy: a systematic review of the clinical effectiveness, cost-effectinevess and women’s views. Heath Technol Assess 2000; 4 (16): I-VI, 1-193
23. Black RB. The impact of ultrasound technology. J Genet Counsel 1992; 1: 45-55
24. Jorgensen C. Diagnosis of fetal malformation in the 32nd week of gestation: a psychological challenge to the woman and the doctor. J Psychosom Obstet Gynaecol 1985; 4: 73-82
25. Detraux JJ. Psychological impact of the announcement of a fetal abnormality on pregnant woman and on professionals. Ann NY Acad Sci 1998; 847: 210-219

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