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Vaccini anti Papillomavirus (HPV): quello che le donne vogliono sapere - Parte 1

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17/01/2018

Dott. Paolo Cattani
Ginecologo, Verona – Membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico-Vaginale
Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore, Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica, H. San Raffaele Resnati, Milano – Presidente, Fondazione Alessandra Graziottin per la cura del dolore nella donna Onlus

Cosa sono e quanti sono i Papillomavirus?

I Papillomavirus (Human Papilloma Virus, HPV) sono un numeroso gruppo di virus costituiti da un involucro esterno di proteine (il “capside”, di cui una parte, la proteina L1, viene usata nel vaccino) e dal codice genetico interno (Acido Desossiribonucleico, DNA) che ne regola le funzioni e l’aggressività.
Alcuni di questi virus infettano i bovini, altri i cani, altri i conigli, e altri ancora l’uomo. Sono stati riconosciuti più di 150 tipi di HPV umani che mostrano tra loro differenze non solo nella struttura, ma anche nel tessuto bersaglio: alcuni si localizzano sulla pelle (verruche delle mani e dei piedi), altri sulle mucose (genitali, bocca, vie respiratorie). Gli HPV che interessano il tratto genitale maschile e femminile sono 35.

Come si trasmettono?

Le vie di trasmissione dell’HPV sono molteplici e ancora non del tutto chiare. La via sessuale per contatto diretto pelle-pelle o mucose-mucose è certamente la via principale per gli HPV a tropismo genitale. Non è necessario che il rapporto sia penetrativo: infatti il profilattico non protegge completamente dall’infezione ma ne riduce di molto il rischio.
Anche nei rapporti anali ed in quelli orali ci può essere la trasmissione del virus, che può essere ridotta significativamente se il profilattico venisse usato prima del contatto in tutte le forme di rapporto sessuale (vaginale, orale e anale).
Nelle forme cutanee, per esempio dai ceppi HPV 6 e 11, responsabili della condilomatosi delle mani, è sufficiente il contatto delle mani stesse. Sono infatti diffuse in collegi, scuole primarie e caserme. Inoltre, il fatto che il virus sopravviva a lungo su oggetti e superfici, e che sempre più spesso si riscontrino infezioni da HPV in individui che non hanno avuto rapporti sessuali, induce a supporre che la trasmissione non sessuale del virus, tramite fomiti, oggetti o altri materiali non biologici, possa essere più frequente di quanto finora ipotizzato.
Bisogna però avere ben chiaro che l’infezione da HPV non è una malattia. Per causare la malattia il virus non solo deve essere presente, ma deve anche attaccare e modificare il DNA della cellula ospite, rendendola non più controllabile dal sistema immunitario. L’evoluzione da “infezione da HPV” a “malattia da HPV” è fortunatamente un fenomeno molto raro e condizionato da numerosi fattori, quali il tipo di virus, la carica virale, la regione del corpo colpita (la parte più a rischio è la cervice uterina, molto meno la vagina, la vulva, il cavo orale) e soprattutto la risposta immunitaria dell’ospite verso il virus (principio su cui si basa la prevenzione primaria con il vaccino).

E' possibile la trasmissione dalla mamma al feto?

La trasmissione “verticale”, ossia dalla mamma al feto, è possibile: numerosi studi hanno evidenziato come il passaggio del virus al feto possa avvenire non solo durante il parto per via vaginale, ma anche nel corso della gravidanza attraverso il sangue, la placenta o il liquido amniotico. A fronte di una trasmissione che, a seconda dei vari studi, può arrivare anche al 50% dei casi in cui la mamma sia portatrice dell’HPV, rare e contraddittorie sono le conseguenze che l’infezione materna può avere sull’andamento della gravidanza e sul benessere del neonato: la maggior parte dei neonati positivi al virus si negativizza nei primi 6 mesi di vita spontaneamente e senza sequele. Anche i neonati che rimangono positivi più a lungo molto raramente presentano complicanze: la papillomatosi respiratoria giovanile ricorrente (rara malattia causata dai ceppi 6 e 11, che comporta la crescita di papille vegetanti a livello delle vie aeree e soprattutto della laringe) ha negli USA un’incidenza di 4,3 casi su 100.000 neonati, estremamente inferiore a quella dell’infezione da HPV nelle donne gravide che, a seconda dei vari studi, può, come anticipato, arrivare anche al 50%.
Le molteplici possibilità di trasmissione dalla mamma al feto rendono chiaramente inutile l’esecuzione del taglio cesareo di routine nelle donne gravide con HPV, se non in presenza di condilomi così voluminosi da ostruire parzialmente la vagina e rendere problematico il passaggio del feto.
Anche gli studi condotti sulle donne che affrontano percorsi di procreazione medico-assistita e di fertilizzazione in vitro confermano come l’infezione da HPV abbia effetti molto scarsi sull’andamento della gravidanza e sulle condizioni del feto. Ugualmente incerti sono i dati che supportano la riduzione, peraltro transitoria, della fertilità nel partner maschile colpito da infezione da HPV.
Questa mancanza di certezze assolute in tema di HPV e fertilità ci induce a sostenere con ancora maggiore convinzione l’unica certezza vera che oggi abbiamo: per combattere le patologie correlate all’HPV la migliore opportunità è la vaccinazione universale, che comprenda cioè sia le femmine che i maschi.

Perché è possibile il passaggio dalla mamma al feto?

Gli HPV viaggiano anche nel sangue, soprattutto se le difese immunitarie non sono ottimali. Possono raggiungere e infettare la placenta, percorrere il cordone ombelicale e infettare il feto.
In uno studio recente (Teixeira et Al, 2015) sono stati riscontrati HPV nel 4% di donne dal lato materno, 3,3% dal lato fetale della placenta, nel 2,2% del sangue tratto dal cordone ombelicale e nello 0,84% del colostro esaminato. I Papillomavirus possono quindi passare anche nel latte materno.
I genotipi virali più frequentemente documentati nella trasmissione verticale sono:
- l’HPV 6 (responsabile dei condilomi, o verruche veneree) nel 60% dei casi;
- gli HPV 16 e 18 (responsabili di lesioni pretumorali e carcinomi) nel 20% dei casi.

Ci sono fattori che indichino una maggiore vulnerabilità alla trasmissione da mamma a feto?

Sì. Avere un pap-test alterato, con lesioni che indicano alterazioni cellulari di varia gravità causate dal papillomavirus (CIN 1, CIN 2, CIN 3), aumenta il rischio di un passaggio dell’HPV attraverso la placenta e il cordone ombelicale. L’avere o aver avuto condilomi genitali è un fattore di rischio indipendente per avere l’HPV a livello di placenta e di cordone, con un rischio aumentato di 4 volte (OR= 4.0) rispetto alle donne che non hanno avuto condilomi.
Aver documentato la presenza dell’HPV nel sangue del cordone ombelicale conferma l’aumento di 4 volte (OR=4.0) del rischio che il neonato abbia l’HPV a livello genitale e di 4,4 volte (OR=4.4) del rischio che l’abbia a livello della bocca e del cavo orale. La presenza di HPV a livello placentare aumenta di 8.6 volte il rischio che il neonato abbia l’HPV a livello orale (Sarkola et Al, 2008).
Il passaggio transplacentare aumenta fino al 24,5% nelle mamme immunodepresse, per esempio se sono anche HIV positive (Rombaldi et Al, 2008).
Il tipo di parto, vaginale vs cesareo, non predice lo stato HPV positivo o negativo del neonato, perché la variabile principale è il passaggio transplacentare.
Studi più recenti come l’Heritage, effettuato in Canada, con metodologie più raffinate, documentano una presenza di papillomavirus in mamme e bambini ancora più alte: 45% nel sangue materno di donne con lesioni genitali da HPV, 14% nella placenta, 11% nei neonati, in sedi diverse del corpo (Trottier et Al, 2016).

Approfondimenti specialistici

Rombaldi RL, Serafini EP, Mandelli J, Zimmermann E, Losquiavo KP.
Transplacental transmission of Human Papillomavirus
Virol J. 2008 Sep 25;5:106

Sarkola ME, Grénman SE, Rintala MA, Syrjänen KJ, Syrjänen SM.
Human papillomavirus in the placenta and umbilical cord blood
Acta Obstet Gynecol Scand. 2008;87(11):1181-8

Teixeira LO, Amaral SC, Finger-Jardim F, da Hora VP, Gonçalves CV, Soares MA, de Martinez AM.
[Frequency of Human Papillomavirus in the placenta, in the colostrum and in the umbilical cord blood]
Rev Bras Ginecol Obstet. 2015 May;37(5):203-7. [Article in Portuguese]

Trottier H, Mayrand MH, Coutlée F, Monnier P, Laporte L, Niyibizi J, Carceller AM, Fraser WD, Brassard P, Lacroix J, Francoeur D, Bédard MJ, Girard I, Audibert F.
Human papillomavirus (HPV) perinatal transmission and risk of HPV persistence among children: Design, methods and preliminary results of the HERITAGE study
Papillomavirus Res. 2016 Dec;2:145-152

Curriculum del dottor Paolo Cattani

Laureato con il massimo dei voti in Medicina e Chirurgia nel 1978 e specializzato nel 1982 con lode in Ginecologia ed Ostetricia presso l’Università degli Studi di Padova – sede di Verona.
1985: Assistente presso la Divisione di Ostetricia e Ginecologia Ospedale di Bussolengo (VR).
Dal 1985 al 2008: prima Ricercatore e poi Professore Aggregato presso la Clinica Ostetrico-Ginecologica dell’Università di Verona. In questo periodo ha svolto attività didattica per l’Università degli Studi di Padova, l’Università degli Studi di Verona, la Regione Veneto, la Regione Emilia-Romagna, la Regione Friuli-Venezia Giulia.
1989: Idoneità a Primario di Ostetricia e Ginecologia.
Dal 1993 al 1998: vari periodi di formazione in Chirurgia Oncologica Ginecologica presso Università straniere.
Dal 2005 al 2008: Responsabile del Centro di Colposcopia e Patologia Cervico–Vaginale della Clinica Ostetrico-Ginecologica dell’Università di Verona.
Dal 2008 al 2016: Responsabile del Centro Ginecologia Oncologica Preventiva – II° Livello Screening Regionale per il Cervicocarcinoma dell’ULSS 20 Verona.
Attualmente membro del Consiglio Direttivo della Società Italiana di Colposcopia e Patologia Cervico-Vaginale e del Gruppo di Lavoro per la stesura delle Linee Guida Nazionali per la Gestione Clinica della Donna con Test di Screening per il Cervicocarcinoma Anormale.
Autore di numerosi articoli comparsi su riviste scientifiche, monografie e atti di Congressi e Corsi.
Il dottor Paolo Cattani
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