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Vulnerabilità e fragilità: due opposti approcci alla vita

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22/01/2020

Tratto da:
Enzo Bianchi, Debolezza evangelica e fragilità umana, Jesus, dicembre 2019

Guida alla lettura

Questa riflessione di Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, ci aiuta a capire la profonda differenza che sussiste fra due atteggiamenti apparentemente analoghi nei confronti della vita: la vulnerabilità e la fragilità. E chiarisce di che cosa abbiamo bisogno per prendere in mano le redini della nostra esistenza e realizzarci pienamente: la fortezza. Il discorso parte da radici di ordine spirituale, ma si estende con estrema facilità a tutte le dimensioni del nostro essere.
Vediamo in dettaglio gli snodi del ragionamento:
- la vulnerabilità, o debolezza, deriva dalla nostra disponibilità ad aprirci agli altri e all’amore, e dunque ci espone al rischio di essere feriti; determina il venir meno dell’indifferenza e trasforma il nostro cuore nel centro pulsante delle passioni che rendono bella la vita: l’amore, l’amicizia, la vocazione a realizzare i talenti naturali di cui siamo dotati (non a caso parliamo di “amore per le lettere”, “amore per la scienza”, “amore per il lavoro”);
- la fragilità, al contrario, è impotenza, incapacità di prendere in mano la propria vita; spesso la difendiamo negli altri per indulgenza verso noi stessi, o per approfittare cinicamente della loro disperata disponibilità ad affidarsi a inconsistenti terapie (si pensi solo ai santoni, alle visioni e all’industria dei miracoli, per restare in ambito cattolico; o a certe soluzioni pseudo-scientifiche, come il recente metodo stamina);
- il vero antidoto alla fragilità è la fortezza – virtù cardinale, ossia cardine della vita – che «non ha nulla a che spartire con la durezza o la violenza» ma, al contrario, «richiede coraggio, audacia, determinazione e perseveranza».
E’ la fortezza che ci consente di discernere con chiarezza la nostra strada nella vita; di affermare il nostro desiderio profondo contro le pressioni contrarie dell’ambiente; di sopravvivere all’abbandono altrui, alla solitudine che a volte ci assedia, alla difficoltà di portare avanti i progetti che rendono la nostra vita degna di essere vissuta. E la fortezza va coltivata giorno dopo giorno, sin dagli anni della giovinezza, con buone letture e il costante confronto con chi – genitore, amico, insegnante – può insegnarci il valore della ricerca di noi stessi e della lotta quotidiana per l’avveramento dei nostri sogni.
Il grande monaco Bernardo di Clairvaux coniò una straordinaria esclamazione: «Optanda infirmitas!», «O desiderabile debolezza!» (Discorsi sul Cantico dei cantici 25,7). Nella vita di ciascuno di noi è infatti decisivo sperimentare la debolezza, esperienza inevitabile che ci può dare la consapevolezza del non essere Dio ma creature “mancanti”, bisognose l’una della presenza e della cura dell’altra. Esperienza che può preservare, se la cecità non è dominante, dall’orgoglio, dal narcisismo e dal culto egolatrico del proprio “io”.
Purtroppo però, soprattutto nello spazio cristiano, anziché cogliere tutta la beatitudine possibile insita nella debolezza, si innalzano spesso inni alla fragilità. C’è una forte confusione nel linguaggio riguardo a debolezza, fragilità e vulnerabilità, e questo non favorisce certo un cammino autentico di crescita umana e cristiana. L’enfasi con cui si parla della fragilità e la si invoca quale giustificazione di molti comportamenti, è solo una strategia per catturare persone fragili ed esercitare su di esse un potere e un’attrattiva che non stanno nello spazio della carità e della solidarietà.
Le persone fragili vanno infatti aiutate ad accedere alla fortezza, che è significativamente una delle quattro virtù cardinali. La loro fragilità chiede piuttosto a chi le incontra di imparare a sentirsi vulnerabile: vulnerabilità non è fragilità! Nello svuotamento e nell’abbassamento in Gesù Cristo (cf. Fil 2,6-8), Dio si è fatto vulnerabile, vero uomo con una vita nella carne (sárx: Gv 1,14), e così si è mostrato solidale con noi fino alla morte. Le ferite, le stigmate della passione, rimaste anche nel corpo glorioso del Cristo risorto, raccontano questa vulnerabilità di Dio per sempre. Sì, in noi umani la vulnerabilità è luogo d’incontro con Dio e con gli altri: così non è una debolezza, ma è la nostra forza. Ecco come si possono comprendere le paradossali parole dell’Apostolo: «Quando sono debole, è allora che sono forte» (2Cor 12,10).
Vulnerabilità significa capacità di essere feriti, apertura ed esposizione all’altro, e nasce da fiducia, rinuncia al controllo, desiderio di apertura all’altro. Dalla vulnerabilità nasce la fraternità, perché cade il muro dell’indifferenza, scompare il velo della legge (cf. 2Co 3,13-16) e il cuore di pietra si trasforma in cuore di carne (cf. Ez 11,19; 36,26). Per questo non è la fragilità che va cercata, perché essa, come ogni male e ogni povertà, ci è data dalla vita e dalle vicende in cui siamo immersi; bisogna invece cercare la fortezza, per essere liberati dalla fragilità e vivere in pienezza. La fragilità non sia dunque un alibi che nasconde l’impotenza o l’incapacità di prendere in mano la propria vita.
Vivere richiede di avere fiducia nella vita, di lottare in favore della vita e di amarla con tutte le proprie forze. L’esistenza di ciascuno di noi non è fatta di azioni eroiche e prodigiose, ma perde sapore e senso se la si consegna alla fragilità, all’indolenza, all’inerzia, all’inconcludenza. E la virtù della fortezza – sia chiaro – non ha nulla a che spartire con la durezza o la violenza, perché esige proprio una lotta contro gli impulsi mortiferi che abitano il cuore umano: essa richiede coraggio, audacia, determinazione e soprattutto perseveranza, con la quale – ci ha detto Gesù – è possibile “salvare” le nostre vite (cf. Lc 21,19).
Occorre pertanto più che mai vigilare per non essere sedotti da queste continue giustificazioni della fragilità, anche perché l’esperienza mi dice che molti finiscono di fatto per servirsi egoisticamente delle fragilità altrui, sempre difese, per difendere così anche le proprie; amano strumentalizzare le fragilità degli altri per conservare il potere esercitato su di essi psicologicamente o con inconsistenti accenti terapeutici. Nelle vite comunitarie e familiari si conoscono bene queste derive che impediscono una vera comunione e contraddicono un cammino comune, mentre giustificano all’interno della convivenza umana sentieri privi di qualsiasi convergenza e senza alcuna solidarietà fraterna.
Non confondiamo dunque fragilità con vulnerabilità e non dimentichiamo che la fortezza è una virtù cardinale, un vero e proprio cardine per la vita umana e cristiana.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. E’ stato priore dalla fondazione del monastero sino al 25 gennaio 2017: gli è succeduto Luciano Manicardi. La comunità oggi conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
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