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Sobrietà e temperanza: un tragitto di libertà

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Sobrietà e temperanza: un tragitto di libertà
13/04/2022

Tratto da:
Enzo Bianchi, La forza della sobrietà, La Repubblica, 31 gennaio 2022

Guida alla lettura

In questo articolo Enzo Bianchi, fondatore della comunità monastica di Bose, riprende un tema importante e a lui caro: il rapporto con l’ambiente, l’urgenza di politiche che riducano l’impatto delle attività dell’uomo sulla natura, il destino di infelicità a cui siamo spinti dal dissennato sfruttamento delle risorse del pianeta. Ma lo fa da una nuova, duplice prospettiva: il problema della malnutrizione e della ingiusta distribuzione delle risorse alimentari, che condanna un’ampia parte del mondo a una «vita minacciata dalla morte»; e l’elogio della sobrietà che, lungi dall’essere ascetismo mortificante, è strategia e via di libertà: perché ogni volta che abbiamo la forza di porre in secondo piano certi bisogni diamo valore ad altre esigenze più importanti e gratificanti. E’ la mentalità dello sportivo, che sa imporsi stili di vita severi in vista del miglioramento competitivo; o quella dello studioso, che si guarda dall’ottundimento dei sensi indotto da un’alimentazione eccessiva, dall’abuso di alcol, dal frastuono improduttivo della folla, dalla statica passività davanti al televisore, per mantenersi lucido e reattivo nel confronto con le letture amate, con i progetti di lavoro che danno senso profondo alla sua vita.
Non entriamo nel merito della questione della distribuzione delle risorse alimentari: ci limitiamo a sottolineare come si tratti di una istanza importante e non più rinviabile, ma solo in parte connessa con il problema altrettanto scottante degli sprechi che caratterizzano i Paesi sviluppati, in Oriente come in Occidente. Purtroppo, non sciupare il cibo non lo mette automaticamente a disposizione dei poveri della Terra: i fattori in gioco sono molteplici e, come sempre, occorre guardarsi dalle semplificazioni.
Piuttosto ci preme qui sottolineare l’importanza, altrettanto pressante, di non sprecare il tempo. Ci interessa, in altre parole, cogliere dalla voce di Enzo Bianchi la valenza esistenziale e autorealizzativa della sobrietà. In questo contesto, essere temperanti significa non disperdersi in sogni irrealizzabili, dettati da una malefica presunzione di onnipotenza; significa concentrare le proprie energie sugli obiettivi prescelti, senza distrazioni che compromettano la tensione dell’essere e del fare; significa, una volta raggiunti certi risultati, condividerli con gli altri, per una società più giusta e più “alta”; significa rilanciare le energie della volontà verso sempre nuove mete, perché l’essenza del vivere consiste innanzitutto nel cammino verso l’orizzonte del nostro desiderio. Ricordiamo infatti, ancora una volta, come nell’incipit del salmo 1 – «Beato l’uomo che non segue il consiglio degli empi» – il termine ebraico che in italiano viene reso con l’immagine della beatitudine (‘ashre ha-‘ysh: felicità dell'uomo) abbia la stessa radice del verbo “camminare” (‘ashar): beato è colui che è in cammino e non si arresta di fronte alle difficoltà, perché è questa, e solo questa, la via maestra per la felicità e per una vita colma di significato.

La parola dell'autore

Ci sono fatti, eventi, che turbano sempre chi ne viene a conoscenza, ma ce ne sono alcuni che perdono la loro capacità di scandalizzare, di provocare indignazione, di sollevare inquietudine e interrogativi nelle persone e nella società di oggi. In questi ultimi giorni l’ONU ha notificato che la popolazione mondiale ha raggiunto gli otto miliardi, e che di questa umanità quasi un miliardo soffre la fame e può conoscere soltanto una vita minacciata dalla morte a causa di carestie, guerre, violenze, disastri naturali. Ma accanto a questo dato bisogna accostarne un altro che rende ancora più scandalosa la situazione: un terzo del cibo prodotto sulla terra va perduto o viene sprecato e non arriva alla bocca degli affamati e sottoalimentati nelle diverse regioni del pianeta.
Certamente i cittadini ne sono diventati più consapevoli in questi ultimi decenni, nei quali questa produzione e questo spreco hanno generato anche inquinamento e ferito la salute della terra, perché anche l’intero sistema agroalimentare è responsabile delle emissioni che inquinano aria, terra e acqua. Ma l’abitudine al consumo sfrenato – quella bulimia che ha per oggetto la quantità e la diversità dei cibi presenti sui nostri mercati – ci ha fatto perdere la consapevolezza che questa patologia sociale ha delle implicazioni a livello di giustizia. La sobrietà, infatti, prima ancora di essere una virtù è segno di giustizia praticata nell’attenzione agli altri, a quelli che non hanno pane e che nella loro fragilità hanno bisogno delle nostre cure.
Confessiamolo: non sappiamo neppure più pronunciare la parola “temperanza”, virtù cardine dell’etica occidentale, e parlare della sobrietà come atteggiamento che rende onore a chi la pratica. Eppure già nel mondo greco Solone ci lasciava un adagio esigente: «Niente di troppo!». E poi tutte le forme di sapienza, da quella dei filosofi antichi a quella dei contadini, lo hanno sempre ripreso tra i precetti di vita: «Da’ prova di misura», «Non esageriamo…».
L’eccesso mostra che non si sa governare l’esistenza e neppure ordinare i propri appetiti: non solo quello del cibo, ma anche quello del denaro, del potere, del successo. Noi umani siamo abitati da istinti e passioni oscure che finiscono per divorarci se non teniamo conto degli altri, del fatto che costituiamo un “noi”, una comunità che è intrinsecamente solidale.
Sobrietà a livello personale significa riconoscimento e accettazione del limite, diventare consapevoli che non tutto ciò che è possibile tecnicamente o economicamente deve entrare in nostro possesso. La sobrietà non è tiepidezza, non è in alcun modo rinuncia ascetica mortificante, ma è un tragitto di libertà, l’assunzione di una forza che sa subordinare alcuni bisogni per dare valore ad altri, senza sognare un’onnipotenza che noi umani non abbiamo. La sobrietà è quella postura che ci permette di riconoscere il valore di ogni cosa e non solo il suo prezzo sul mercato, una dimensione che, interiorizzata, orienta l’esistenza verso prospettive non ossessionate dal “sempre di più”.
Ma si può ancora fare questo discorso quando assistiamo a un oceano di trasmissioni televisive e quintali di supplementi dei giornali che mai hanno parole di sapienza antropologica ed enogastronomica sul cibo? Quando il cibo viene sempre più ostentato in un’abbuffata continua di animali divoranti, e non di esseri umani che a tavola sanno celebrare insieme la vita?
Siamo otto miliardi, il cibo prodotto basterebbe per tutti se non fosse buttato, e la terra sarebbe meno malata se non ignorassimo la necessità di un’equa distribuzione delle risorse. La bulimia dell’abbondanza di cibo, lo sfruttamento del pianeta, il disinteresse verso le conseguenze future del nostro agire, insieme al grande male della fame di intere popolazioni, sfigurano l’umanità e sono un’offesa al cosmo intero.

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. E’ stato priore dalla fondazione del monastero sino al 25 gennaio 2017: gli è succeduto Luciano Manicardi, poi sostituito, nel gennaio 2022, da Sabino Chialà.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
Il 22 luglio 2014 papa Francesco lo ha nominato Consultore del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.
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