Guida alla lettura
La libertà che Gesù coltivava nel proprio cuore gli permetteva di porsi in sintonia con le persone ammalate e sole, e di offrire loro una guarigione che era innanzitutto segno e speranza di una vita nuova. E quella medesima libertà lo spingeva a condannare l’ipocrisia dei potenti di allora, gli uomini religiosi, che caricano gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi non li toccano nemmeno con un dito (cfr. Luca 11, 46): una condanna pronunciata con parole limpide, che mettevano in luce «la contraddizione tra realtà e apparenza».
Tutti noi, laici e credenti, qui davvero le differenze di visuale non contano, siamo chiamati a maturare nella stessa libertà di Cristo: perché, in un mondo sempre più lacerato dal dolore e dalla violenza, solo donne e uomini davvero liberi possono agire concretamente per il bene proprio e degli altri, e al tempo stesso respingere con decisione le sirene seduttive delle illusioni a buon mercato, delle ideologie distorte, del male elevato a sistema.
Ma la conquista della libertà interiore non è cosa di un giorno: inizia sui banchi di scuola, affinando la propria cultura e allenandosi al pensiero critico; prosegue coltivando amicizie autentiche e significative; si irrobustisce attraverso l’impegno concreto nella famiglia e nella società; si completa allenandosi a scelte scomode ma indispensabili, quando vengano percepite come le uniche capaci di lenire il dolore di vivere che infuria come una tempesta intorno a noi.
Libertà interiore, solidarietà verso chi soffre, senso di giustizia, lotta all’ipocrisia: che siano questi gli obiettivi del nuovo anno per ciascuno di noi, perché nel nostro mondo ferito ognuno di noi, oggi più che mai, può fare la differenza.
Gesù non è un uomo duro perché pronuncia parole dure, ma è un uomo che si lascia toccare fin nel suo profondo dall’umanità. Si lascia toccare dal dolore, dalla sofferenza, dallo smarrimento delle folle che incontra lungo il suo cammino, facendo trapelare visibilmente la compassione che prova verso di loro. Ma non rimane indifferente verso chi compie il male, anzi quelle viscere di misericordia vengono toccate a tal punto che non può tacere di fronte all’ingiustizia. Proprio per questo la natura del discorso pronunciato nel brano di oggi non è quella della maledizione e della condanna, ma è denuncia del peccato e minaccia di un giudizio che può essere ancora evitato con la conversione. Quando il giudizio fosse ormai inappellabile, il “guai” si trasforma in lamento di compassione (cf. Mt 23, 37-39).
E’ vero, non possiamo nascondere l’asprezza del tono, ma Gesù sta denunciando l’ipocrisia: il male che ha la sembianza del bene, basato sulla menzogna e che provoca confusione e smarrimento in chi è più debole. Gesù denuncia un sapere e un fare che è violenza e morte, ma si traveste con giustificazioni religiose. In particolare i versetti di oggi parlano della contraddizione tra esteriorità ineccepibile e interiorità perversa, mette a nudo la contraddizione tra realtà e apparenza. Tale contraddizione scaturisce da una profonda resistenza a far morire quella parte di noi che si nutre solo di esteriorità e di riconoscimenti.
Il tempo che stiamo vivendo ci aiuti a vigilare sulle nostre parole, per non renderle strumenti di ipocrisia, ma nella loro sobrietà ci avvicinino sempre di più a quella chiarezza e forza di cui il Signore ci ha dato testimonianza.
Il brano del Vangelo di Matteo
Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che costruite le tombe dei profeti e adornate i sepolcri dei giusti, e dite: “Se fossimo vissuti al tempo dei nostri padri, non saremmo stati loro complici nel versare il sangue dei profeti”. Così testimoniate, contro voi stessi, di essere figli di chi uccise i profeti. Ebbene, voi colmate la misura dei vostri padri».