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Pasqua: una gioia accessibile a tutti?

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07/05/2014

Tratto da: Enzo Bianchi, Pasqua: una gioia per tutti, Avvenire, 20 aprile 2014

Si ringrazia l’Autore per la gentile concessione

Guida alla lettura

Spesso, in questa rubrica, abbiamo tentato di capire se alcune delle logiche che governano la vita dei credenti, e dei cristiani in particolare, siano in qualche modo significative anche per chi non crede. Una religione, infatti, è costituita da dogmi e comportamenti: i dogmi sono, per così dire, patrimonio esclusivo del fedele; i comportamenti, e gli ideali che li animano, possono invece rappresentare un paradigma di vita accessibile da una cerchia più ampia di persone, purché siano orientati all’affermazione del bene.
Nella sua riflessione sul significato della Pasqua, Enzo Bianchi – priore di Bose – segue questo stesso approccio e indaga se la gioia che, per i credenti, origina dalla resurrezione di Cristo sia in qualche misura condivisibile da tutti coloro che sperimentano, giorno dopo giorno, la fatica del vivere. La risposta è affermativa: perché tutti abbiamo bisogno di una «promessa di vita che non muore», e nella Pasqua «si afferma che l’amore vissuto fedelmente e in modo autentico – un amore di cui ogni persona è capace – è l’unica arma che abbiamo contro la violenza e la morte».
A questo principio generale, emerso anche in altri articoli di Bianchi, se ne affiancano altri più particolari, legati al tipo di vita che condusse Gesù: una vita in armonia con la natura, spesa facendo il bene, entrando nella quotidianità delle persone e riscattandola dal male e dall’insignificanza, illuminando «lo sguardo di chi non si era mai sentito riconosciuto». Tutto ciò ha reso la vita di Cristo non solo buona e giusta, ma anche bella e beata: e in questo senso quella vita può diventare modello ispiratore per chiunque tenti di dare un senso non effimero alla propria esistenza.
Solo la fede può consentire di credere all’esistenza trascendente di Dio, e alla sua azione nella storia: e in questo senso il divario fra credenti e non credenti resta netto. La vita umanissima di Gesù, invece, può suggerire a tutti che, se c’è amore, «non vi è più alcuna situazione senza sbocco» e che riaffermare la forza del bene è sempre possibile, anche quando si scatena tutta «la violenza di cui gli uomini sono capaci».
A Pasqua i cristiani sono nella gioia: celebrano la risurrezione del loro Signore, la vittoria della vita sulla morte. Ma questa gioia è destinata solo a loro? La vicenda di Gesù di Nazareth non ha nulla da dire a chi non lo riconosce come figlio di Dio, a chi non crede che un uomo possa essere richiamato dalle tenebre della morte alla luce di una vita senza fine?
A chi appartiene dunque questa gioia pasquale? Se rileggiamo il percorso umano di Gesù così come lo narrano i vangeli, ci possiamo rendere conto che in primo luogo è a Gesù stesso che appartiene la gioia. E’ lui che si rallegra della vita trascorsa tra la Galilea e la Giudea, di quell’esistenza dapprima nel nascondimento e poi nella vita comune itinerante con un gruppo di discepoli e alcune donne, nella predicazione pubblica, nel passare facendo il bene e narrando, raccontando Dio così come egli è: misericordioso e grande nell’amore.
E’ Gesù che gioisce per aver inaugurato con il prendersi cura dell’altro il prevalere della vita sui lacci del male e della morte, per aver aperto all’umanità la strada verso la condizione di “figli della luce e figli del giorno”. E’ lui che si è rallegrato di entrare nelle vicende quotidiane delle persone che incontrava per portarvi la pace, il perdono, la riconciliazione. E’ ancora Gesù che si è compiaciuto di assumere la condizione e il linguaggio umano, di aver riconosciuto la fede-fiducia di tante persone anonime e semplici, di aver saputo destare l’ardore nei cuori, di aver illuminato lo sguardo di chi non si era mai sentito riconosciuto e di aver indotto le vittime della violenza umana ad alzare il capo per scorgere l’imminenza della liberazione.
E’ di Gesù la gioia di una vita spesa per gli altri, in armonia con la creazione, godendo della familiarità con gli uccelli del cielo e i gigli dei campi. Ed è sua la gioia segreta di essere stato consolazione e nutrimento per gli affamati e assetati di pane, come di senso e di conforto. Ma questa gioia di Gesù, una gioia piena che “nessuno potrà rapire” dal cuore dei discepoli, è anche la gioia, ancora oggi, di tutti quelli che nelle loro vite conoscono la sofferenza, di quanti sperano che il cielo non sia chiuso sopra di loro e che le loro esistenze possano conoscere una rinascita, di quanti attendono chi liberi il mondo da ogni violenza, estingua la fame, renda libertà ai prigionieri e la giustizia agli oppressi, conceda il ritorno ai lontani da casa, la salute ai malati, la forza agli anziani, la consolazione ai morenti.
E’ infatti l’umanità intera, anche quanti non conoscono né Dio né il suo disegno, che ospita in cuore il senso dell’eternità e si chiede cosa sperare. E sono in particolare i sofferenti, le vittime della storia che cercano a fatica, a volte per strade tortuose, una risposta ai perché di tante ingiustizie: sono loro a sapere, proprio per il loro assurdo patire, che “liberazione non è se non dalla morte” e dalle sue energie che tutto ammorbano. In questo senso allora la gioia di Pasqua è anche gioia dei credenti: una gioia non esclusiva né escludente, una gioia non privilegio di pochi, ma una gioia gratuitamente ricevuta dal loro Signore Gesù e poi gratuitamente condivisa con i fratelli e le sorelle in umanità, in particolare con gli ultimi, i poveri, i dimenticati.
E’ la gioia del sapere che – attraverso le proprie vite fragili e contraddittorie, attraverso il proprio operare spesso incoerente, attraverso il farsi prossimo – la buona notizia della risurrezione può non solo raggiungere tutti, ma coinvolgerli in una capacità di sguardo nuovo sulle vicende umane, in una contemplazione delle meraviglie di Dio che, nonostante tutto, continuano ad accadere nella storia. In questa luce pasquale i cristiani ritrovano lo sguardo che scruta l’invisibile e coglie all’interno delle vicende quotidiane una promessa di vita che non muore.
Allora riconoscono la presenza del Vivente all’interno di una tomba, la presenza della parola fatta carne all’interno della Scrittura, la presenza di un corpo offerto come pane condiviso, la presenza dell’amore che non viene meno neanche quando si scatena la violenza di cui gli uomini sono capaci. Se è vero che non può essere “svuotata” la croce, è vero anche che non può essere svuotata la risurrezione di Gesù. Solo la fede, solo un evento di rivelazione può far accedere a questa convinzione che ormai la morte è vinta e dunque non siamo più schiavi di una paura della morte, né la nostra vita è più alienata da questa paura.
Ma ciò che la risurrezione significa può essere una sfida per tutti, cristiani o no: nella risurrezione, infatti, si afferma che l’amore vissuto fedelmente e in modo autentico – un amore di cui ogni persona è capace – è l’unica arma che abbiamo contro la violenza e la morte, è l’unica realtà che possiamo vivere per vincere la morte. Il mondo attende ancora oggi cristiani che sappiano narrare questa buona notizia, che con la loro vita svelino che «il solo e vero peccato è rimanere insensibili alla risurrezione», come esclamava Isacco il Siro, che sappiano cantare a tutti e per tutti: «Non temete, non abbiate paura, non provate angoscia! Cristo è risorto e vi precede!».
Sì, Pasqua è annuncio, anche contro ogni malvagia evidenza, che non vi è più alcuna situazione umana senza sbocco, condannata alla tenebre: la risurrezione del Signore spinge il cristiano a render conto della propria speranza nella salvezza universale, a pregare affrettando la venuta del Regno, ad attendere il giorno radioso in cui le lacrime di tutti i sofferenti saranno asciugate. Non la chiesa soltanto, ma l’umanità tutta, la creazione intera è destinataria delle energie che sgorgano incessantemente da quel sepolcro vuoto. La Pasqua apre per tutti l’orizzonte della vita piena, abitata dall’amore: possa questo grido di vita risuonare al più presto anche là dove le potenze di morte continuano a sferrare i loro micidiali attacchi. Davvero la gioia della Pasqua è gioia per tutti!

Biografia

Enzo Bianchi nasce a Castel Boglione, in provincia di Asti, il 3 marzo 1943. Dopo gli studi alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Torino, nel 1965 si reca a Bose, una frazione abbandonata del comune di Magnano sulla Serra di Ivrea, con l’intenzione di dare inizio a una comunità monastica. Raggiunto nel 1968 dai primi fratelli e sorelle, scrive la regola della comunità. È tuttora priore della comunità, che conta un’ottantina di membri tra fratelli e sorelle di sei diverse nazionalità ed è presente, oltre che a Bose, anche a Gerusalemme (Israele), Ostuni (Brindisi), Assisi e San Gimignano.
E’ membro dell’Académie Internationale des Sciences Religieuses (Bruxelles) e dell’International Council of Christians and Jews (Londra).
Fin dall’inizio della sua esperienza monastica, Enzo Bianchi ha coniugato la vita di preghiera e di lavoro in monastero con un’intensa attività di predicazione e di studio e ricerca biblico-teologica che l’ha portato a tenere lezioni, conferenze e corsi in Italia e all’estero (Canada, Giappone, Indonesia, Hong Kong, Bangladesh, Repubblica Democratica del Congo ex-Zaire, Ruanda, Burundi, Etiopia, Algeria, Egitto, Libano, Israele, Portogallo, Spagna, Francia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Germania, Ungheria, Romania, Grecia, Turchia), e a pubblicare un consistente numero di libri e di articoli su riviste specializzate, italiane ed estere (Collectanea Cisterciensia, Vie consacrée, La Vie Spirituelle, Cistercium, American Benedictine Review).
E’ opinionista e recensore per i quotidiani La Stampa e Avvenire, membro del comitato scientifico del mensile Luoghi dell’infinito, titolare di una rubrica fissa su Famiglia Cristiana, collaboratore e consulente per il programma “Uomini e profeti” di Radiotre. Fa inoltre parte della redazione della rivista teologica internazionale “Concilium” e della redazione della rivista biblica “Parola Spirito e Vita”, di cui è stato direttore fino al 2005.
Nel 2009 ha ricevuto il “Premio Cesare Pavese” e il “Premio Cesare Angelini” per il libro “Il pane di ieri”.
Ha partecipato come “esperto” nominato da Benedetto XVI ai Sinodi dei vescovi sulla “Parola di Dio” (ottobre 2008) e sulla “Nuova evangelizzazione per la trasmissione della fede cristiana” (ottobre 2012).
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