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Nella lucida consapevolezza della realtà

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12/11/2008

Tratto da:
Romano Guardini, Le età della vita, Vita e pensiero, Milano, 1986, p. 55-56; 58-59
in: Comunità Monastica di Bose (a cura di), Letture dei giorni, Piemme, Casale Monferrato 1994, pag. 961-962

Guida alla lettura

La crisi di mezza età è un’esperienza con cui tutti, prima o poi, uomini e donne, dobbiamo fare i conti. Può iniziare con un fallimento professionale, una malattia, una separazione, la morte di una persona amata, l’improvviso sbandamento di un figlio: attraverso questo fatto, il senso del limite si fa strada nel nostro cuore, le certezze – e l’incoscienza – della giovinezza si frantumano come cristallo, e i giorni sembrano assumere un colore diverso.
In quel momento, ci troviamo di fronte a un bivio cruciale: la crisi può destabilizzare definitivamente i nostri equilibri, e allora ripieghiamo nel giovanilismo, nell’autosvalutazione, nella depressione, nell’ottundimento. Oppure troviamo la forza di viverla per quel che è: un momento necessario del nostro divenire, un appello a ripensare noi stessi e a situarci con responsabilità in una nuova fase della nostra esistenza. In questo caso, la crisi si rivela un’alleata e, come intuisce acutamente Christiane Singer, scrittrice francese, un giorno potremo dire che è avvenuta “per evitarci il peggio” (Du bon usage de crises, Albin Michel, Paris, 1996).
Romano Guardini – teologo e scrittore fra i più brillanti del secolo scorso – tratteggia in questo brano i risultati fecondi che possiamo cogliere quando non ci lasciamo sopraffare dagli eventi ma, attraverso di essi, riusciamo ad assumere le insufficienze della vita, diventando persone pienamente compiute e sulle quali «l’esistenza può fare affidamento».
Se la crisi “della metà della vita” è positivamente superata, nasce allora la figura di vita dell’uomo giunto a una lucida consapevolezza della realtà. Tale figura di vita è caratterizzata dal fatto che l’uomo vede e accetta ciò che si chiama limite, ossia le ristrettezze, le insufficienze e le miserie dell’esistenza umana. Con questo, egli non viene a definire l’ingiustizia, il male e la volgarità come aspetti del bene; né pretende di emendare il disordine, la sofferenza, i vicoli ciechi in cui s’imbatte l’esistenza; e neppure dichiara ricchezza ciò che è povertà, o verità ciò che è apparenza, o reale ciò che è infondato. Tutto questo è visto, ma è “accettato” nel senso che le cose stanno così e che bisogna capacitarsene. Non smette neppure di lavorare, continuando anzi fedelmente le opere intraprese; vi è costretto dalle esigenze della famiglia, della professione, della collettività, verso le quali si sente vincolato da obblighi. Anzi, svolge il lavoro con la stessa correttezza di prima, nonostante tutti i fallimenti, perché è nel lavoro stesso che sta il senso del dovere, e ricomincia sempre daccapo i suoi tentativi di organizzare e di aiutare, perché è conscio che le azioni umane, in apparenza vane, generano gli impulsi, non controllabili singolarmente, che conservano l’esistenza umana, peraltro così profondamente minacciata.
In questo atteggiamento sta molta disciplina e molta rinuncia: un coraggio che non ha tanto il carattere dell’audacia, quanto quello della risolutezza.
Si può qui vedere come ciò che si chiama carattere giunge al suo completamento. E’ su questi uomini che l’esistenza può fare affidamento. Proprio perché non hanno più l’illusione del grande successo e delle brillanti vittorie, essi sono capaci di compiere opere che hanno valore e durano nel tempo. Questa dovrebbe essere la natura dell’autentico statista, del medico, dell’educatore, in tutte le sue forme. A questo punto nasce l’uomo maturo, che è capace di dare garanzia...
La fase della vita che abbiamo chiamato età adulta tende più di tutte a dimenticare la morte. In questo periodo, l’uomo è talmente occupato dalle esigenze immediate, è talmente sicuro della sua forza e della sua autonomia, da riuscire a rimuovere più facilmente la consapevolezza della morte... Nella fase della maturità il senso della fine si fa strada nell’esperienza del limite. Tuttavia, tale senso è qui trasformato nella risolutezza di cui abbiamo prima parlato. Esso rende la vita densa, seria e preziosa.

Biografia

Romano Guardini nasce a Verona nel 1885. La famiglia, di origine trentina, si trasferisce in Germania l’anno successivo. Il giovane studia teologia a Friburgo in Brisgovia e Tubinga, e nel 1910 è ordinato sacerdote. Nel 1923 ottiene la cattedra di Filosofia della religione e visione cristiana a Berlino. Nel 1939 i nazisti lo sollevano dall’incarico e lo confinano a Mooshausen, un piccolo villaggio dove, in compagnia di una ristretta cerchia di amici, riesce a proseguire i suoi studi.
Nel 1945, dopo la fine della guerra, diviene docente di Filosofia della religione a Tubinga e, dal 1948, a Monaco di Baviera. Nel 1962 si ritira per motivi di salute: morirà a Monaco di Baviera nel 1968.
Guardini è uno dei teologi di riferimento di Benedetto XVI ed è considerato uno dei più significativi rappresentanti della filosofia e teologia cattolica del Ventesimo secolo, soprattutto per quanto riguarda la liturgia, la filosofia della religione, la pedagogia, l’ecumenismo e la storia della spiritualità. Le sue analisi critiche di scrittori come Dante, Rilke e Dostoevskij, così come di filosofi e pensatori come Socrate, Platone, Agostino, Pascal, Kierkegaard e Nietzsche, sono apprezzate in tutto il mondo per la profondità e la chiarezza espositiva.
Con l’opera “Lo spirito della liturgia” (1917), Guardini pose le basi del rinnovamento liturgico cattolico, che troverà pieno compimento nella riforma avviata dal Concilio Vaticano II. In ambito politico, elaborò un’etica del potere valida non solo per le grandi ideologie, ma anche per i nuovi poteri anonimi dell’epoca contemporanea (media, burocrazia, economia). In pedagogia, evidenziò l’importanza dell’autocontrollo, dell’equilibrio fra autorità e libertà, e della creativa obbedienza alla propria coscienza.
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