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La nascita della medicina

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11/12/2013

Liberamente tratto da:
Giovanni Reale e Dario Antiseri, Il pensiero occidentale, 1. Antichità e Medioevo, Editrice La Scuola, Brescia, 2013, p. 101-107

Guida alla lettura

In questo brano, i filosofi Giovanni Reale e Dario Antiseri raccontano la nascita della medicina scientifica, nella Grecia del V secolo avanti Cristo. Sino a quel tempo, la cura dei malati era stata gestita dai sacerdoti di Asclepio, con pratiche magiche e religiose, e da medici spesso itineranti, dotati di conoscenze approssimative e mezzi limitati. E’ Ippocrate, attivo a Cos e ad Atene, a imprimere alla disciplina una svolta razionale, rivendicando l’indipendenza della medicina dalla classe sacerdotale e sottolineando la necessità di fondare diagnosi, prognosi e terapia sull’osservazione dei dati obiettivi e sull’esperienza clinica. Ippocrate è dunque stato – al pari di Socrate per la filosofia ed Erodoto per la storiografia – uno di quegli uomini capaci di rivoluzionare il metodo del proprio lavoro, lasciando ai secoli successivi un’eredità culturale di importanza incalcolabile.
Tre esempi sono sufficienti a illustrare la novità portata da Ippocrate nella pratica medica: la riduzione dell’epilessia, da sempre considerata “male sacro” da guarire con atti di magia, alla dimensione di patologia organica, curabile allo stesso modo di tutte le altre; lo studio dell’influsso dei venti, delle acque e dei luoghi sulla salute delle singole persone, uno studio che lo condusse a concludere che la piena conoscenza di ciascun singolo caso dipende dalla conoscenza dell’insieme di queste coordinate, e che dunque, per capire la parte, bisogna capire il “tutto” cui questa appartiene; l’importanza assegnata agli stili di vita e, in particolare, all’alimentazione nella genesi delle malattie e nella guarigione.
L’opera “Epidemie” mostra in concreto la scrupolosità di Ippocrate nel descrivere in modo sistematico le varie malattie, mentre il detto che apre la raccolta degli “Aforismi” ce ne restituisce l’immagine appassionata e al tempo stesso pensosa di fronte alle immense sfide della medicina: «La vita è breve, l’arte è lunga, l’occasione fuggevole, l’esperimento rischioso, il giudizio difficile».
La più antica pratica medica era esercitata dai sacerdoti. La mitologia vuole che sia stato il centauro Chirone a insegnare agli uomini l’arte di curare i mali. Di Chirone, sempre secondo la mitologia, fu discepolo Asclepio, considerato figlio di Numi e quindi divinizzato a sua volta. I suoi appellativi furono “medico”, “salvatore” e suo simbolo fu il serpente. Di conseguenza, molti templi a lui dedicati vennero eretti in luoghi salubri e in posizioni particolarmente favorevoli, e proliferarono riti e culti nel suo nome. I malati venivano portati ai templi e “curati” mediante pratiche o riti magico-religiosi.
Ma, a poco a poco, accanto ai sacerdoti di Asclepio, apparvero anche medici “laici”, che si distinguevano dai primi per una specifica preparazione. Essi esercitavano la loro arte in botteghe e in dimore fisse oppure viaggiando (medici ambulanti). Per la loro preparazione sorsero scuole, accanto ai templi di Asclepio, dove convenivano i malati ed era possibile quindi il contatto con il maggior numero e la maggior varietà di casi patologici.
Si capisce, pertanto, come il nome di Asclepiadi sia stato usato a lungo per indicare non solo i sacerdoti di Asclepio, ma anche tutti coloro che praticavano l’arte di risanare i mali che era propria del dio Asclepio, ossia tutti i medici.
Le più famose scuole mediche dell’antichità sorsero a Crotone (dove fu celebre Alcmeone, seguace della setta dei pitagorici), a Cirene, a Rodi, a Cnido e a Cos; è soprattutto qui che la medicina si elevò al più alto livello, in particolare per merito di Ippocrate che, sfruttando i risultati delle esperienze delle precedenti generazioni di medici, seppe dare alla medicina la statura di “scienza”, ossia di conoscenza perseguita con un preciso metodo.
E’ dunque chiaro che la scienza medica non nacque dalle pratiche dei sacerdoti guaritori, bensì dall’esperienza e dalle indagini dei medici delle scuole di medicina annesse ai templi, i quali, a poco a poco, presero le distanze dai primi fino a rompere decisamente tutti i legami e a definire concettualmente la propria identità specifica.
Ippocrate può essere considerato l’eroe fondatore della medicina scientifica, anche se purtroppo non possediamo molte informazioni sulla sua vita. Pare che sia vissuto nella seconda metà del V secolo e nei primi decenni del IV a.C. (qualcuno congetturalmente propone le date 460-370 a.C.). Ippocrate fu il capo della Scuola di Cos e insegnò medicina ad Atene, dove già Platone e Aristotele lo considerarono come il paradigma del grande medico. Anzi, egli divenne così famoso, che l’antichità ci ha tramandato sotto il suo nome non solo le sue opere e quelle della sua scuola, ma anche tutte le opere di medicina del V e IV secolo a.C. Nacque così quello che è oggi noto come Corpus Hippocraticum, costituito da oltre cinquanta trattati, che rappresenta la più imponente documentazione antica di carattere scientifico che ci sia pervenuta.
l libri che si possono attribuire con un certo margine di probabilità a Ippocrate, o che comunque possono ritenersi specchio del suo pensiero, sono “L’antica medicina”, una sorta di manifesto proclamante l’autonomia dell’arte medica; “Il male sacro”, una polemica contro la mentalità della medicina magico-religiosa; “Il prognostico”, ossia la scoperta della dimensione essenziale della scienza medica; “Sulle acque, sui venti e sui luoghi”, in cui si evidenziano i legami fra malattie e ambiente; le “Epidemie”, una formidabile raccolta di casi clinici; i famosi “Aforismi” e il celeberrimo “Giuramento”, cui si ispira quello moderno.
Ippocrate e la sua scuola non si limitarono a dare alla medicina lo statuto teoretico di scienza, ma giunsero a determinare con una lucidità veramente impressionante anche la statura etica del medico, l’identità morale che lo deve caratterizzare. A parte lo sfondo sociale ben visibile nel comportamento espressamente tematizzato (la scienza medica anticamente si tramandava di padre in figlio, rapporto cui Ippocrate assimila quello tra maestro e discepolo), il senso del giuramento si riassume nella semplice proposizione che, in termini moderni, potremmo esprimere così: medico, ricordati che il malato non è una cosa, o un mezzo, ma un fine, un valore, e quindi comportati di conseguenza.

Il Giuramento di Ippocrate

«Giuro su Apollo medico e su Asclepio e su Igea e su Panacea e su gli dei tutti e le dee, chiamandoli a testimoni, di tener fede secondo le mie forze e il mio giudizio a questo giuramento e a questo patto scritto. Riterrò chi mi ha insegnato quest’arte pari ai miei stessi genitori, e metterò i miei beni in comune con lui, e quando ne abbia bisogno lo ripagherò del mio debito e i suoi discendenti considererò alla stregua di miei fratelli, e insegnerò loro quest’arte, se desiderano apprenderla, senza compensi né impegni scritti; trasmetterò gli insegnamenti scritti e verbali e ogni altra parte del sapere ai miei figli così come ai figli del mio maestro e agli allievi che hanno sottoscritto il patto e giurato secondo l’uso medicale, ma a nessun altro. Sceglierò il tenore di vita per il bene dei malati secondo le mie forze e il mio giudizio, ma mi asterrò dal recar danno e ingiustizia. Non darò a nessuno alcun farmaco mortale neppure se richiestone, né mai proporrò un tale consiglio: ugualmente non darò alle donne un mezzo per provocare l’aborto. Preserverò pura e santa la mia vita e la mia arte. Non opererò chi soffre di mal della pietra [calcolosi, N.d.R.], ma lascerò il posto a uomini esperti di questa pratica. In quante case entrerò, andrò per aiutare i malati, astenendomi dal recar volontariamente ingiustizia e danno, e specialmente da ogni atto di libidine sui corpi di donne e uomini, liberi o schiavi. E quanto vedrò e udirò esercitando la mia professione, e anche al di fuori di essa nei miei rapporti con gli uomini, se mai non debba essere divulgato attorno, lo tacerò ritenendolo alla stregua di un sacro segreto. Se dunque terrò fede a questo giuramento e non vi verrò meno, mi sia dato godere il meglio della vita e dell’arte, tenuto da tutti e per sempre in onore. Se invece sarò trasgressore e spergiuro, mi incolga il contrario di ciò».

Biografia

Giovanni Reale (1931) è filosofo e storico della filosofia. Formatosi all’Università Cattolica di Milano, ha perfezionato i suoi studi a Marburgo e a Monaco di Baviera. Dopo un periodo di insegnamento nei licei, è stato docente di Filosofia morale e Storia della filosofia presso l’Università di Parma. Poi è ritornato all’Università Cattolica, dove è stato a lungo ordinario di Storia della filosofia antica e ha fondato il Centro di Ricerche di Metafisica, in cui ha studiato la maggior parte dei suoi allievi. Dal 2005 insegna presso la Facoltà di Filosofia dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano.
Anche Dario Antiseri (1940) è filosofo e storico della filosofia. Laureato presso l’Università di Perugia, ha proseguito i suoi studi presso varie università europee sui temi legati alla logica matematica, all’epistemologia e alla filosofia del linguaggio. Nel 1968 ha iniziato ad insegnare presso l’Università “La Sapienza” di Roma e l’Università di Siena. Dal 1975 al 1986 è stato ordinario di Filosofia del linguaggio presso l’Università di Padova; dal 1986 al 2009 ha assunto la cattedra di Metodologia delle scienze sociali alla Libera Università Internazionale degli Studi Sociali “Guido Carli” di Roma (LUISS), presso cui è stato Preside della Facoltà di Scienze politiche fra il 1994 e il 1998. E’ membro dell’Advisory Board del Centro Studi e Ricerche Tocqueville-Acton. Nel febbraio del 2002 è stato insignito, insieme con Giovanni Reale, della laurea honoris causa presso l’Università Statale di Mosca.
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