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L'Ottuplice Sentiero: la via buddhista alla cessazione della sofferenza - Prima parte

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07/12/2011

Serena Tallarico

Guida alla lettura

Ciò che accomuna tutti gli esseri umani – anzi, secondo il Buddhismo, tutti gli esseri senzienti – sono il desiderio di non soffrire e la ricerca della felicità. La risposta della dottrina buddhista a questa aspirazione universale è un complesso cammino di ricerca che porta a comprendere la vera natura della realtà: la “Vacuità”. Secondo il principio della Vacuità, il mondo fenomenico che percepiamo è privo di reale esistenza, le emozioni che scaturiscono da tale percezione sono frutto di un’errata visione della realtà, i sensi sono essi stessi “oscurazioni mentali” e, in ultima analisi, il nostro stesso “Io” è vuoto di esistenza intrinseca.
Esistono, naturalmente, diversi livelli di comprensione di questa verità. Un primo stadio di applicazione, che potremmo definire “intellettuale”, porta il praticante a identificarsi un po’ meno con le proprie esperienze di dolore e quindi ad esserne meno pervaso. L’applicazione piena permette invece il raggiungimento dello stato di Buddha, e il metodo per arrivare a questa realizzazione è l’“Ottuplice Sentiero”.
Nella prima parte dell’articolo illustriamo il cammino concettuale che conduce a postulare l’Ottuplice Sentiero come condizione necessaria e sufficiente per la liberazione dalla sofferenza: il dolore, così come il piacere, nasce da un’interpretazione distorta della vera natura della realtà; solo il “Sentiero” consente di superare questa radicale forma di ignoranza, i “veleni mentali” che ne scaturiscono (odio, attaccamento, invidia, orgoglio e dubbio) e, in ultima analisi, il nostro istintivo e distruttivo approccio al mondo.
Nella seconda parte approfondiremo le caratteristiche delle otto dimensioni che compongono il “Sentiero”; e scopriremo come esso non sia un cammino trascendentale che eleva l’uomo verso una dimensione superiore ma, al contrario, un percorso che l’uomo realizza all’interno di se stesso, per lasciar emergere la propria innata natura di “illuminato” e realizzare così pienamente la propria vocazione umana e universale. Al tempo stesso vedremo come proprio questa dimensione “umanizzante” lo renda talora sorprendentemente simile, sul piano pratico se non su quello speculativo, ad alcuni principi etici che improntano di sé la tradizione cristiana.
Un giorno un giovane monaco buddhista chiese al suo Maestro: «Come posso raggiungere l’Illuminazione, lo stato del Buddha?». L’anziano Maestro gli rispose di andare al fiume e di tornare con un bicchiere di acqua limpida e pura. Il discepolo ubbidì e si recò sulle sponde del fiume che, però, in quel punto era estremamente agitato. Nonostante tutti i suoi sforzi, il monaco non riusciva a raccogliere nel bicchiere altro che acqua torbida. Affranto tornò del Maestro, mostrando il bicchiere di acqua fangosa. Egli lo accolse con un sorriso e gli disse di attendere, e di lasciare che il fango si depositasse sul fondo rivelando, così, un’acqua trasparente.
Il saggio allora spiegò: «La nostra mente è come l’acqua di questa storia. La sua natura è pura ma, al tempo stesso, è offuscata dai nostri difetti mentali e dal “karma” che abbiamo accumulato nel corso delle nostre vite. Se noi riusciamo a calmare la nostra mente, come quest’acqua essa rivelerà la sua vera natura. L’obiettivo della nostra pratica è dunque questo: far emergere la vera natura della mente e a raggiungere così lo stato di Buddha. Noi possediamo la mente del Buddha, l’Illuminato, colui che ha messo in luce, e realizzato pienamente, la natura chiara, limpida e luminosa della mente».
Secondo il Buddhismo, infatti, l’obbiettivo della pratica è quello di far germogliare il seme di “buddhità” che ognuno ha dentro di sé, levare gli “strati” costituiti dalle impronte karmiche delle vite passate e di quella presente, mettere completamente a frutto le proprie potenzialità raggiungendo così lo stato di “Bodhisatva”, il Nirvana, a beneficio di tutti gli esseri senzienti.
Leggiamo nel Sutra del Cuore della “Grande Sapienza Profonda”, il Maha Prajna Paramita Hrdaya Sutra: «I bodhisatva vivono nel perfetto intendimento, senza più ostacolo alla mente; senza più ostacolo e dunque senza più paura. Molto al di là dei pensieri illusori, e questo è il Nirvana».
Qual è, secondo il buddhismo, il principale ostacolo a questa realizzazione? E’ l’ignoranza, cioè l’incapacità di comprendere la vera natura dei fenomeni. La nostra mente, oscurata dal velo dell’ignoranza, percepisce i fenomeni come realmente esistenti: taluni li giudica sgradevoli, e pertanto sviluppa odio ed avversione; taluni li considera piacevoli, generando attaccamento.
Afferma il Maestro Khensur Ciampa Thegciog: «Il concetto errato da smantellare riguardo alla realtà è l’esistenza autonoma dei fenomeni e delle persone: questa è l’ignoranza di base su cui sorgono tutte le forme di distorsione e di afflizione, è questa la confusione, il fraintendimento di fondo che ci fa concepire in un modo falso le cose, e ci induce ad afferrarci a un’apparenza che non corrisponde alla realtà» (Khensur Ciampa Thegciog, Fiori di Saggezza, dal cuore di un Lama del Tibet, Edizioni Daigo Press, Limena (PD), 2010, pag. 99).
Da questa visione errata della realtà, detta anche “ignoranza-radice”, si sviluppano gli altri difetti mentali, denominati anche “veleni mentali”, che possono essere raggruppati in cinque categorie fondamentali: odio, attaccamento, invidia, orgoglio e dubbio.
Come poter tagliare alla radice l’albero delle affiliazioni mentali e procedere, quindi, verso la realizzazione del Nirvana? Nella Quarta Nobile Verità – l’ultima enunciata nel primo discorso del Buddha – la via da seguire viene denominata “Ottuplice Sentiero”.

[Fine della prima parte]

Biografia

Serena Tallarico è nata a Cecina (LI) nel 1983. Laureata in Discipline Etnoantropologiche e specializzata in Antropologia Medica, con una tesi su “Etnografia dell’accompagnamento alla morte tra Biomedicina e Buddhismo”, ha recentemente conseguito un Master in Religioni e Mediazioni Culturale. E’ stata Consigliera delegata dell’Unione Buddhista Italiana (UBI) per la “Consulta Giovanile per il pluralismo religioso e culturale”, presso il Ministero dell’Interno e il Ministero delle Politiche Giovanili e Attività Sportive. Ha collaborato per diversi anni con la rivista “Confronti”, mensile di politica, attualità, dialogo culturale e interreligioso.
Attualmente opera come antropologa medica e mediatrice linguistico-culturale nel “Servizio richiedenti protezione internazionale, rifugiati e vittime di tortura” dell’Istituto nazionale per la promozione della salute delle popolazioni migranti e per la prevenzione delle malattie della povertà (INMP).
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